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giovedì 7 novembre 2024

Compie gli anni Joni Mitchell


 IMMAGINI FORNITE DA WAZZA


Compie gli anni Joni Mitchell, cantautrice, musicista e pittrice canadese-americana. È ampiamente considerata una delle cantautrici più influenti di tutti i tempi. Le sue canzoni sono note per i testi personali e le composizioni non convenzionali, che spesso incorporano elementi di jazz e musica del mondo.


Nata Roberta Joan Anderson il 7 novembre 1943 a Fort Macleod, Alberta, Canada, Mitchell ha iniziato a cantare e suonare la chitarra nei suoi primi anni dell'adolescenza. Si è trasferita a Toronto all'inizio degli anni '60 per intraprendere una carriera musicale e ha rapidamente acquisito la reputazione di talentuosa performer e autrice. Il suo album di debutto, “Song to a Seagull”, è stato pubblicato nel 1968 ed è stato un successo di critica e commerciale.

Negli anni successivi, Mitchell ha pubblicato una serie di album classici, tra cui Clouds (1969), Ladies of the Canyon (1970), Blue (1971), For the Roses (1972), Court and Spark (1974) e The Hissing of Summer Lawns (1975), tutti lavori che l'hanno consacrata come una delle voci più importanti e innovative della musica popolare.


Nella seconda metà degli anni '70, Mitchell ha iniziato a sperimentare con diversi stili musicali, incorporando elementi di jazz, rock e musica del mondo nel suo lavoro. Ha iniziato a concentrarsi anche sulla sua carriera di pittrice. Nonostante la ridotta produzione musicale negli anni '80 e '90, Mitchell è rimasta un'artista acclamata dalla critica.


Nel 2002, Mitchell ha subito un aneurisma cerebrale che le ha impedito di suonare la chitarra o cantare. Tuttavia, ha fatto una ripresa straordinaria e, negli ultimi anni, è tornata alla vita pubblica. Nel 2023, celebra il suo 80esimo compleanno con l'uscita di un nuovo album live, “Joni Mitchell Archives - Volume 9: Live at the Canterbury House, 1967”.

Joni Mitchell è una delle artiste più celebrate e influenti della sua generazione. La sua musica ha ispirato innumerevoli altri artisti e le sue canzoni continuano a risuonare con il pubblico di tutto il mondo.

In particolare, Mitchell è nota per le sue canzoni intime e autobiografiche, che spesso trattano temi come l'amore, la perdita, la natura e la politica. I suoi testi sono caratterizzati da un uso poetico del linguaggio e da una profonda introspezione. La sua musica, invece, è spesso sperimentale e innovativa, incorporando elementi di diversi stili musicali.

Joni Mitchell è stata insignita di numerosi premi, tra cui nove Grammy Award, un premio Oscar per la migliore canzone originale e un premio Juno.

È stata inserita nella Rock and Roll Hall of Fame nel 1997.










mercoledì 6 novembre 2024

Prog Exhibition- Roma, 5-6 novembre 2010...14 anni fa!

Ebbene sì… sono passati quattordici anni dal “fantastico” evento chiamato Prog Exhibition

Un dovere ricordarlo, con le recensioni di allora…


Prog Exhibition - Roma 5-6 novembre 2010

Hello boys and girls,

era dagli antichi fasti degli anni '70 che non si teneva un festival, raduno, così importante, per qualità e partecipazione di artisti.

Tutto questo ha un nome, "Prog Exhibition", che si tenne a Roma il 5-6 novembre 2010, grazie all'intuito e professionalità di Iaia De Capitani, organizzatrice, e Franz Di Cioccio, direttore artistico.

A Roma, in due giorni, si celebrarono i 40 anni del pop-progressive italiano, con la partecipazione di tutti i musicisti che hanno fatto la storia del prog nostrano, più nuove proposte. La grande trovata fu quella di accoppiare un "big" straniero ai gruppi italiani, quasi un interscambio tra le varie culture e stili musicali.

Per la gioia dei 2000 fans accorsi a serata da tutta Italia, e molti stranieri, si esibirono sul palco accoppiate del tipo Premiata Forneria Marconi + Ian Anderson, Banco Del Mutuo Soccorso + John Wetton, Osanna + David Jackson, Nuova Raccomadata + Thijs Van Leer, Tagliapietra, Pagliuca, Marton+David Cross.

Furono due serate eccezionali, sia dal punto musicale che da quello della condivisone, tre generazioni che convivevano perfettamente sotto lo stesso tendone, c'erano i "reduci" di Villa Pamphili, di Caracalla, del Parco Lambro, giovanissimi che non avevano mai visto tanta "grazia di Dio", tutti assieme, emozioni indescrivibili per due giorni.

Purtroppo, le edizioni che sono seguite non hanno avuto lo stesso successo, non per la qualità dei musicisti, ma per il disinteressamento del popolo prog (!!??): in Italia possiamo avere il "Grande Fratello" 20° edizione, ma non siamo preparati, per cose, culturalmente più complesse!

Buona la prima...

Personalmente ho un bellissimo ricordo di tutto il periodo festival (prima-durante-dopo), uno degli eventi musicali più belli che abbia mai visto.

Ancora tanto di cappello a Iaia per questi concerti, che saranno sempre nella mente e nella storia di chi ha partecipato

Wazza

Commento di Alberto Sgarlato

Nel 1970, anno di grandi fermenti musicali internazionali, mentre sull’Isola di Wight si contendevano (letteralmente, come rivelano gli aneddoti narrati dagli stessi musicisti) il palco   Hendrix, Jethro Tull, Miles Davis, i neo-costituiti  Emerson Lake   and  Palmer e tanti altri grandi, in Italia, a Roma, per la precisione, si avvicendava sul palco di Caracalla tutta la crème di quel movimento che all’epoca fu semplicemente battezzato “nuovo pop italiano”, e che negli anni conquistò una planetaria popolarità, dal Giappone al Sud America, con il nome di Italian Progressive Rock.

Venerdì 5 e sabato 6 novembre 2010, le   Edizioni Musicali Aereostella di Iaia De Capitani hanno voluto commemorare il quarantennale di quello straordinario evento con una due-giorni di progressive rock presso il Teatro Tendastrisce di Roma, la Roma ProgExhibition Festival. Tra il foltissimo pubblico accorso, anche delegazioni, con bandiere e striscioni, dagli USA, dal Messico, dalla Costarica, dal Giappone e da quasi tutte le nazioni europee.

5 novembre

L’arduo compito di rompere il ghiaccio è affidato ai   Synesthesia, in rappresentanza di quel recente filone che fonde certe atmosfere del prog con la violenza del power-metal. Il connubio esalta i più giovani tra i presenti ma fa un pò storcere il naso ai vecchi puristi.

Dopo di loro salgono sul palco i genovesi   La Maschera di Cera, band nata all’inizio di questo decennio ma con l’intento di riproporre in maniera fedele nelle proprie originali composizioni le sonorità (e persino la grafica e il packaging) dei grandi concept album prog dell’epoca. La loro performance è potente e grintosa, in particolar modo da parte del front-man Alessandro Corvaglia, che si scatena con grande teatralità, ma purtroppo la band è in assoluto quella più penalizzata in termini di suoni. Soprattutto le tastiere di Agostino Macor, sempre molto attento nel ricreare timbriche vintage, sono soffocate quando invece meriterebbero di emergere con vigore.

Iniziano le band storiche: i primi sono The Trip, che propongono materiale dai due loro album più famosi, cioè Caronte” e Atlantide”. Sul palco ritroviamo il tastierista Joe Vescovi, il cantante (e originariamente bassista, ma oggi purtroppo vittima di problemi articolari)  Wegg Andersen  e il  drummer  Furio Chirico  (anche degli   Arti & Mestieri), oltre a due giovani comprimari alla chitarra e al basso, rispettivamente   Fabrizio Chiarelli  e   Angelo Perini. 

L’esibizione, seppur penalizzata da qualche inconveniente tecnico iniziale (inevitabile nei festival, quando molte band devono condividere una stessa strumentazione sul palco), è talmente emozionante da far sgorgare più di una lacrima tra chi, nel pubblico, li aveva amati in gioventù e da lasciare a bocca aperta i più giovani. Serpeggia, però, un pò di delusione, per non aver visto chiamare sul palco dalla band, neanche per un saluto, il primo drummer   Pino Sinnone, che pure era presente tra il pubblico.

Dopo i Trip salgono sul palco Tony Pagliuca (tastiere), Aldo Tagliapietra (voce, basso, chitarra 12 corde) e Tolo Marton (chitarra) che, pur essendo tutti membri storici de   Le Orme, non possono esibirsi con questo nome per una questione di diritti (probabilmente dovuta a qualche attrito con il batterista   Michi Dei Rossi, che detiene il nome e lo utilizza con un’altra line-up). Anche in questo caso il materiale eseguito è quello degli album più amati ma, soprattutto, più progressivi nelle sonorità, come Collage e Felona & Sorona". Proprio nei momenti finali di   Felona & Sorona i musicisti vengono affiancati sul palco da   David Cross, violinista elettrico dei   King Crimson, che dà un ulteriore valore aggiunto in termini di sonorità magiche a una già ottima esibizione. 

"Le Orme" (concedeteci di chiamarle così), dal canto loro, ricambiano il favore eseguendo   Exiles insieme a Cross. La calda, corposa voce di Tagliapietra, assai simile a tratti a quella dei vari cantanti avvicendatisi nella band guidata da   Robert Fripp, è davvero assai a suo agio nel repertorio crimsoniano, ed il risultato non lascia adito a perplessità.


Chiude la prima serata la Premiata Forneria Marconi. All’inizio i musicisti sono visibilmente indispettiti da alcuni inconvenienti tecnici, in particolare all’ampli del basso, ma come abbiamo già detto in un festival fa tutto parte del gioco. 

Di Cioccio salta e corre su e giù per il palco come un ragazzino ma, diversamente a molti show recenti, siede più spesso alla batteria (che condivide con l’ottimo   Pietro Monterisi) e lascia a   Franco Mussida  la maggior parte delle parti cantate, riservandosi piccoli e delicati momenti intimisti come Harlequin, Out of the Roudabout e la blueseggiante   Maestro della Voce, dedicata al compianto Demetrio Stratos  che, nell’intro affidata al basso, viene anche ricordato da   Patrick Djivas  con una citazione da   Luglio Agosto Settembre (nero).

Ma il momento sicuramente più emozionante per i fans, che si alzano in una standing ovation, è quando la PFM divide il palco con Ian Anderson, dei Jethro Tull. Il flautista/cantante/chitarrista inglese fa il suo tradizionale ingresso sul palco in posa da fauno (con la gamba destra alzata e appoggiata al ginocchio sinistro) e manda in visibilio la platea. Tutti sono emozionati, a cominciare dallo stesso Mussida che, con voce rotta dalla commozione, ricorda: “Avevo 22 anni quando saltai sulla sedia esattamente come voi, vedendoli per la prima volta dal vivo. Immaginate come mi sento in questo istante”. Con Ian la PFM esegue una irrinunciabile Bourée, poi My God (dall’album “Aqualung”) ma, soprattutto, una spettacolare versione della   Carrozza di Hans nella quale Anderson al flauto non si risparmia. Un momento indimenticabile per tutto il pubblico presente.


6 novembre

L’apertura è affidata ai Periferia del Mondo, band molto giovane ma che può già vantare collaborazioni illustri (da Mauro Pagani a Rodolfo Maltese, e molti altri) nei propri album. Il loro sound   è una riuscita contaminazione tra prog-rock dalle forti aperture romantiche, jazz-rock e influenze etniche arabeggianti e mediorientali, con in primo piano i molti fiati (sax alto, tenore e soprano, clarinetto, flauto) del cantante   Alessandro Papotto. Il pubblico mostra di apprezzare la solida e rodata band come merita.

Dopo di loro, salgono sul palco gli   Abash, che danno una ulteriore sterzata al sound della serata verso atmosfere multietniche, con    forti influenze anche della musica popolare del Sud Italia. Purtroppo, anche nel loro caso tante finezze a livello di sonorità, come certi piccoli tocchi di percussioni sapientemente posti a colorare qua e là, si perdono un pò’ nell’impasto generale dei suoni, ma il loro show è comunque trascinante e coinvolgente.

È la volta di una band che nel 1972 lasciò una traccia tangibile, con l’album Per un mondo di cristallo, nella scena prog romana: la (Nuova) Raccomandata con Ricevuta di Ritorno. La voce del cantante nonché ‘pittore volante’ (come recita il titolo del nuovo album) Luciano Regoli è ancora più potente, alta, brillante e versatile che negli anni ’70, frutto di un lungo periodo di studio e di esercizio. Con lui sul palco, della vecchia formazione, troviamo Nanni Civitenga, che all’epoca del primo album era il chitarrista e oggi è invece un bassista dalle quotazioni molto elevate (ha lavorato, tra gli altri, con Ennio Morricone). 

Il loro ospite sul palco è Thijs Van Leer, flautista e organista dei   Focus, con il quale eseguono   The house of the King, di certo il brano più famoso della band olandese (fu usato anche dalla Rai come sigla) e   Palco di Marionette, dall’album dei RRR “Per un mondo di cristallo. Ma oltre a Van Leer un altro ospite, totalmente a sorpresa e ingiustamente non citato sui manifesti, divide il palco con la Raccomandata: è   Claudio Simonetti, dei   Goblin, che delizia il pubblico con un’introduzione pianistica  d’alta scuola, in cui cita anche alcuni dei suoi temi più famosi ( Profondo Rosso  su tutti), prima di porsi totalmente al servizio della band con risultati notevoli, anche nelle interazioni con il mattacchione Van Leer, che intervalla le sue performances ad alto livello tecnico con bizzarre gag ironiche.

Salgono sul palco gli   Osanna e, senza nulla voler togliere a nessuna delle straordinarie band avvicendatesi nel corso del festival, sono forse il miglior live-act di prog-rock italiano di sempre: potenti, trascinanti, travolgenti, energici come un fiume in piena, precisi e perfetti come una macchina, un ben oliato macchinario in cui ogni suono è al suo posto e non può essere che lì.  


Gli Osanna, poi, hanno un ulteriore valore aggiunto: i due straordinari ospiti che li affiancano sul palco, David Jackson  dei  Van Der Graaf Generator  (sax sopranino, soprano, alto, tenore, flauto e tin whistle) e  Gianni Leone  del Balletto di Bronzo  (all’organo Hammond) non sono due star di passaggio che si sono preparati un paio di pezzi, sono ormai da parecchio tempo due membri effettivi della band e sanno interagire con gli altri musicisti in ogni dettaglio. E il pubblico dà prova di apprezzare tutto ciò con un’ovazione tra le più esplosive di questi due giorni.

Chiude la rassegna il   Banco del Mutuo Soccorso, con la formazione rinforzata da Papotto, dei Periferia del Mondo, che integra perfettamente   le sue parti di fiati con gli arrangiamenti storici della band. Il Banco, però, come è spesso nello stile di questa formazione dal vivo, sceglie di chiudere il festival con una punta di malinconia, che traspare dagli amari monologhi di   Di Giacomo e di   Nocenzi sul tema   Come eravamo, chi siamo, cosa saremo.

Francesco‘Big Di Giacomo denuncia apertamente alcuni problemi vocali, ma ciononostante la sua performance è egregia. Il repertorio, come da tradizione, è soprattutto quello dei primi tre album, con poche incursioni leggermente più recenti, come   Il Ragno (dall’Lp   Come in un’ultima cena”), mentre in generale è Darwin l’album più saccheggiato. 

L’ospite speciale del Banco è John Wetton, bassista-cantante che ha militato in alcune tra le più grandi formazioni degli anni ’70: King Crimson, Family, Uriah Heep, Uk, Roxy Music, Asia e collaborazioni con diversi artisti, da Phil Manzanera, a Martin Orford, a Peter Banks, e non solo. Con Wetton il BMS esegue Leave me alone (edizione inglese della famosa Non mi rompete, dall’album   "Io sono nato libero”) e   Starless dei King Crimson.

Conclusioni

Non una semplice rassegna di concerti, ma un evento con qualcosa di unico che resterà nel cuore di ogni vero amante del rock progressivo italiano e mondiale. Meravigliosa l’atmosfera che si respirava non soltanto sul palco, ma anche prima e dopo le due serate, grazie anche alla straordinaria disponibilità verso i fan dimostrata dalla maggior parte degli artisti italiani e internazionali coinvolti.

Ottima, infine, l’idea di alleviare i tempi morti del cambio palco con interviste e presentazioni di libri, condotte dal giornalista Donato Zoppo o dalla stessa   Iaia De Capitani. Molte e interessanti le opere letterarie citate, tra cui il bel giallo “Com’era nero il vinile", di Glauco Cartocci, il volume antologico a molteplici firme  Prog 40, dedicato ai quarant’anni di storia di questo genere musicale in ogni sua accezione e sfumatura, e un’autobiografia di  Bill Brudford. 



 

martedì 5 novembre 2024

Il compleanno di Peter Hammill

Compie gli anni oggi, 5 novembre, Peter Hammill, autore, compositore, cantante dei Van der Graaf Generator e protagonista di una sterminata discografia da solista.

La sua voce è un vero e proprio strumento, con un’ampia tonalità, dal "sussurrato" all'urlo devastante (IL VIDEO A FINE ARTICOLO NE È UNA TESTIMONIANZA).

Un'icona del progressive rock mondiale, a cui ha regalato autentici capolavori!

Happy Birthday Peter!

Wazza











Ricordando Pierangelo Bertoli nel giorno della sua nascita


Nasceva a Sassuolo il 5 novembre del 1942 Pierangelo Bertoli, cantautore italiano.

Considerato un vero e proprio "cantastorie" e una voce sincera della sua terra, Bertoli fu una figura emblematica della canzone d'autore italiana dagli anni Settanta ai primi anni 2000, spaziando dalla musica popolare al rock, con testi diretti e densi di riferimenti sociali e politici.

Di lui è stato scritto che «l'immediatezza dei messaggi e la sincerità dell'ispirazione sono la peculiarità delle sue composizioni; la denuncia sociale, ora più meditata ora più aggressiva, connota il suo modo di raccontare l'uomo e il tempo in cui vive. Non ci sono coinvolgimenti nel consumismo del mercato, ma semmai una rabbia autentica certo non più attuale nel dilagante qualunquismo, ma frutto anche della maggiore sensibilità che egli ha come portatore di handicap» (venne colpito dalla poliomielite durante l'infanzia).

Sofferente di tumore ai polmoni, all'inizio del settembre 2002 Bertoli fu sottoposto a una serie di cure presso il Policlinico di Modena, dove ritornò qualche giorno dopo, per morirvi la mattina del 7 ottobre, all'età di 60 anni. La salma venne cremata e le ceneri tumulate nella tomba di famiglia presso il cimitero nuovo di Sassuolo.

 




lunedì 4 novembre 2024

Jethro Tull, Carnegie Hall - November 4, 1970

It was November 4, 1970 when Jethro Tull held their first triumphant concert at the "Carneige Hall" in New York, which has always been a temple of classical music in America.

The concert was made to raise funds for drug addiction recovery, a counter-trend choice, given that at the time artists took drugs in touches, such as chocolate!

Anderson's image was the mirror of the boiled hippie, but in reality he hated and rejected both!

Of all a Pop...

Wazza



Live At Carnegie Hall 1970 (Click on the blue to listen)

Label:

On The Air (2) ‎– AIR 33

Format:

CD, Album, Reissue, Unofficial Release

Country:

France

Released:

2016

Genre:

Rock

Style:

Blues Rock, Hard Rock, Folk Rock, Prog Rock. 

Tracklist:

1 Nothing Is Easy 9:16

2 My God

Written By – Ian Anderson/Jennie Anderson

Written-By – Ian Anderson, Jennie Anderson

14:43

3 With You There To Help Me / By Kind Permission Of

Written By – Anderson/Evan

Written-By – Anderson*, Evan*

15:13

4 A Song For Jeffrey 6:26

5 To Cry You A Song 6:12

6 Sossity, You're A Woman / Reasons For Waiting 5:25

7 Dharma For One (Edited)

Written By – Anderson/Bunker

Written-By – Bunker*, Anderson*

6:20

8 We Used To Know 3:23

9 Guitar Solo

Written-By – Barre*

8:34

10 For A Thousand Mothers 4:23.

Companies, etc.

Copyright (c) – On The Air (2)

Recorded At – Carnegie Hall

Credits

Bass Guitar – Glenn Cornick

Composed By – Ian Anderson (tracks: 1, 4 to 6, 8, 10)

Drums – Clive Bunker

Guitar – Martin Barre

Organ [Hammond Organ], Grand Piano – John Evan

Vocals, Flute, Acoustic Guitar – Ian Anderson

Notes

Recorded live at Carnegie Hall, New York City on 4th November 1970. Contains early version of "My God" with different lyrics.

© 2016 ON THE AIR 

Unofficial release of Jethro Tull - Live At Carnegie Hall 1970 on CD





ZZ Top: rilasciato nel novembre 1976 l'album "Tejas"

Usciva a novembre del 1976Tejas”, quinto album dei granitici ZZ Top, un album “pregno” di rock-blues, su tutti “El diablo” … tutto questo prima che crescessero le barbe e il conto in banca!

Consigliatissimo per chi non vive di solo prog!

Di tutto un Pop…

Wazza

Non sono in pochi a ritenere che "Tejas" (1976) sia il miglior album dei texani ZZ Top. Io credo che, anche se effettivamente non lo è, poco ci manca. Gibbons, Hill e Beard, all’epoca di queste registrazioni, dovevano essere particolarmente ispirati e molto, molto preparati. Un album così ragionato e pieno di spunti, per chi si accingeva ad entrare in studio per la quinta volta, doveva essere frutto di incontri, chiacchiere, prove, discussioni e un certo clima. Anche quello atmosferico che, si dice, in quegli anni stesse rendendo la vita impossibile alle popolazioni di quelle latitudini. Avranno anche preso il bue di copertina per le corna, lo avranno calmato e coinvolto nel preparatorio dibattito su come trovare nuova ispirazione per raccontare la propria terra, questa volta tutta la loro terra, sempre attraverso aneddoti riguardanti personaggi e storie di quello che era il vecchio west, ma stavolta con una proposta musicale un po’ più orientata alla ricerca. "Tejas" diventa così un disco territoriale, che varca i confini di ranch, motel e birrerie, per allargare il panorama su canyon e una wildlife sorniona e solo apparentemente sonnacchiosa. Un ritorno alla natura di Rio Grande Mud che va oltre la voglia di Fandango.


Su questi presupposti si assiste ad un lieve ma intenso cambio di stile che regala più profondità ai brani proposti dalle barbe. Blues, boogie e southern rock sono sempre presenti ma cambia il tono di voce che si fa più d’autore, sperimentale e meno dirompente, manifestando una voglia matta di esplorare ed aprire nuove strade. Ma ritorniamo un attimo all’artwork. Illustrazione ad acquerello che sembra ritrarre il momento in cui nasce il giorno, mentre un bue rumina tra i cespugli e la luna inizia a perdere il dominio della volta celeste. Il tutto in una valle dai monti erosi nei secoli. Le bucoliche in salsa piccante, verrebbe da pensare. Ma sicuramente il miglior contesto e l’ora perfetta in cui ascoltare questo disco. Anche se alcuni episodi non mancano, questa non è più musica da interno giorno. Questa è musica da esterno notte che può accompagnare i cowboy attorno al fuoco, in un periodo di migrazione delle mandrie.

Il riff calmo e irresistibilmente sicuro, che apre l’opener "It’s Only Love", sembra proprio inaugurare la stagione del desert rock e consolida la posizione di Gibbons tra i più grandi chitarristi (per ispirazione) a stelle e strisce. I solos di tutto l’album valgono l’acquisto del disco originale. Hill & Beard sono la premiata ditta che, anche dopo una pantagruelica mangiata, sarebbe in grado creare ritmo per ore ed ore. Dopo il chitarristico blues dal titolo che mi fa ridere di gusto, "Arrested For Driving While Blind", c’è "El Diablo". Il brano è una fenomenale favola sull’uomo nero, diciamo così, per mandriani in cerchio che respingono l’escursione termica notturna scaldando il corpo davanti ad un falò e l’animo con una storia da tramandare ai figli. Le atmosfere da racconto che aprono il brano si fanno man mano più rarefatte, misteriose ed oniriche, con un pregevole lavoro di chitarra sblusata e lievemente distorta, mentre Beard trova il modo di fare da contrappunto pestando in maniera inquietante sulla batteria. Una delle migliori canzoni della carriera degli ZZ Top.

Il trio va anche alla ricerca di punti di contatto con i rock altri dell’epoca amalgamando suoni blues e country con basi hard evolute per i tempi e molto tecniche, ottenendo ottimi risultati con "Snappy Kakkie" ed "Enjoy And Get It On". Soprattutto la seconda, alterna fasi hendrixiane a menestrellate tipiche della doppia Z. "Ten Dollar Man" è un rock rabbioso e a tratti ipnotico, strapazzato dalla batteria. Giunti alla sesta traccia sarà facile riflettere anche sui sei diversi tipi di voce con cui Gibbons ha sollecitato le proprie corde vocali. Doti canore di questo tipo sono difficili da trovare in questo tipo di gruppi. Con "Pan Am Highway Blues" il blues mette l’anello nuziale all’hard rock, facendosi accompagnare da strimpelli hawaiani. Il terzetto di chiusura è molto particolare. "Avalon Hideaway" e "She’s A Heartbreaker" continuano a segnare la felice unione di blues e country con il rock duro. Ma è con "Asleep In The Desert", chiusa strumentale di questo album, che gli ZZ Top rendono omaggio alle sonorità ispaniche già abbondantemente penetrate nel tessuto sociale del sud degli states. Si tratta di un country tango riservato e desertico, che continua sulla falsa riga di El Diablo.

Mi piace questo "Tejas", forse l’album più personale di una band alla quale sono legato a doppia mandata.