Ebbene sì… sono passati quattordici anni dal
“fantastico” evento chiamato Prog Exhibition…
Un dovere ricordarlo, con le recensioni di
allora…
Prog Exhibition - Roma
5-6 novembre 2010
Hello boys and girls,
era dagli antichi fasti degli anni '70 che non
si teneva un festival, raduno, così importante, per qualità e partecipazione di
artisti.
Tutto questo ha un nome, "Prog
Exhibition", che si tenne a Roma il 5-6 novembre 2010, grazie
all'intuito e professionalità di Iaia De Capitani, organizzatrice, e Franz Di
Cioccio, direttore artistico.
A Roma, in due giorni, si celebrarono i 40
anni del pop-progressive italiano, con la partecipazione di tutti i musicisti
che hanno fatto la storia del prog nostrano, più nuove proposte. La grande
trovata fu quella di accoppiare un "big" straniero ai gruppi
italiani, quasi un interscambio tra le varie culture e stili musicali.
Per la gioia dei 2000 fans accorsi a serata da
tutta Italia, e molti stranieri, si esibirono sul palco accoppiate del tipo Premiata
Forneria Marconi + Ian Anderson, Banco Del Mutuo Soccorso + John Wetton, Osanna
+ David Jackson, Nuova Raccomadata + Thijs Van Leer, Tagliapietra, Pagliuca,
Marton+David Cross.
Furono due serate eccezionali, sia dal punto musicale
che da quello della condivisone, tre generazioni che convivevano perfettamente
sotto lo stesso tendone, c'erano i "reduci" di Villa Pamphili, di
Caracalla, del Parco Lambro, giovanissimi che non avevano mai visto tanta
"grazia di Dio", tutti assieme, emozioni indescrivibili per due
giorni.
Purtroppo, le edizioni che sono seguite non
hanno avuto lo stesso successo, non per la qualità dei musicisti, ma per il
disinteressamento del popolo prog (!!??): in Italia possiamo avere il
"Grande Fratello" 20° edizione, ma non siamo preparati, per cose,
culturalmente più complesse!
Buona la prima...
Personalmente ho un bellissimo ricordo di
tutto il periodo festival (prima-durante-dopo), uno degli eventi musicali più
belli che abbia mai visto.
Ancora tanto di cappello a Iaia per questi
concerti, che saranno sempre nella mente e nella storia di chi ha partecipato
Wazza
Commento di Alberto Sgarlato…
Nel 1970, anno di grandi fermenti musicali
internazionali, mentre sull’Isola di Wight si contendevano (letteralmente, come
rivelano gli aneddoti narrati dagli stessi musicisti) il palco Hendrix, Jethro Tull, Miles Davis, i
neo-costituiti Emerson Lake and
Palmer e tanti altri grandi, in Italia, a Roma, per la precisione, si
avvicendava sul palco di Caracalla tutta la crème di quel movimento che
all’epoca fu semplicemente battezzato “nuovo pop italiano”, e che negli anni
conquistò una planetaria popolarità, dal Giappone al Sud America, con il nome
di Italian Progressive Rock.
Venerdì 5 e sabato 6 novembre 2010, le Edizioni Musicali Aereostella di Iaia De
Capitani hanno voluto commemorare il quarantennale di quello straordinario
evento con una due-giorni di progressive rock presso il Teatro Tendastrisce di
Roma, la Roma ProgExhibition Festival. Tra il foltissimo pubblico accorso,
anche delegazioni, con bandiere e striscioni, dagli USA, dal Messico, dalla
Costarica, dal Giappone e da quasi tutte le nazioni europee.
5 novembre
L’arduo compito di rompere il ghiaccio è
affidato ai Synesthesia, in
rappresentanza di quel recente filone che fonde certe atmosfere del prog con la
violenza del power-metal. Il connubio esalta i più giovani tra i presenti ma fa
un pò storcere il naso ai vecchi puristi.
Dopo di loro salgono sul palco i genovesi La Maschera di Cera, band nata all’inizio di
questo decennio ma con l’intento di riproporre in maniera fedele nelle proprie
originali composizioni le sonorità (e persino la grafica e il packaging) dei
grandi concept album prog dell’epoca. La loro performance è potente e grintosa,
in particolar modo da parte del front-man Alessandro Corvaglia, che si scatena
con grande teatralità, ma purtroppo la band è in assoluto quella più
penalizzata in termini di suoni. Soprattutto le tastiere di Agostino Macor,
sempre molto attento nel ricreare timbriche vintage, sono soffocate quando
invece meriterebbero di emergere con vigore.
Iniziano le band storiche: i primi sono The
Trip, che propongono materiale dai due loro album più famosi, cioè Caronte” e Atlantide”.
Sul palco ritroviamo il tastierista Joe Vescovi, il cantante (e originariamente
bassista, ma oggi purtroppo vittima di problemi articolari) Wegg Andersen
e il drummer Furio Chirico
(anche degli Arti &
Mestieri), oltre a due giovani comprimari alla chitarra e al basso,
rispettivamente Fabrizio Chiarelli e
Angelo Perini.
L’esibizione, seppur penalizzata da qualche
inconveniente tecnico iniziale (inevitabile nei festival, quando molte band
devono condividere una stessa strumentazione sul palco), è talmente emozionante
da far sgorgare più di una lacrima tra chi, nel pubblico, li aveva amati in
gioventù e da lasciare a bocca aperta i più giovani. Serpeggia, però, un pò di
delusione, per non aver visto chiamare sul palco dalla band, neanche per un
saluto, il primo drummer Pino Sinnone,
che pure era presente tra il pubblico.
Dopo i Trip salgono sul palco Tony Pagliuca (tastiere),
Aldo Tagliapietra (voce, basso, chitarra 12 corde) e Tolo Marton (chitarra)
che, pur essendo tutti membri storici de
Le Orme, non possono esibirsi con questo nome per una questione di
diritti (probabilmente dovuta a qualche attrito con il batterista Michi Dei Rossi, che detiene il nome e lo
utilizza con un’altra line-up). Anche in questo caso il materiale eseguito è
quello degli album più amati ma, soprattutto, più progressivi nelle sonorità,
come Collage e Felona & Sorona". Proprio nei momenti finali di Felona & Sorona i musicisti vengono
affiancati sul palco da David Cross,
violinista elettrico dei King Crimson,
che dà un ulteriore valore aggiunto in termini di sonorità magiche a una già
ottima esibizione.
"Le Orme" (concedeteci di chiamarle
così), dal canto loro, ricambiano il favore eseguendo Exiles insieme a Cross. La calda, corposa
voce di Tagliapietra, assai simile a tratti a quella dei vari cantanti
avvicendatisi nella band guidata da
Robert Fripp, è davvero assai a suo agio nel repertorio crimsoniano, ed il
risultato non lascia adito a perplessità.
Chiude la prima serata la Premiata Forneria
Marconi. All’inizio i musicisti sono visibilmente indispettiti da alcuni
inconvenienti tecnici, in particolare all’ampli del basso, ma come abbiamo già
detto in un festival fa tutto parte del gioco.
Di Cioccio salta e corre su e giù per il palco
come un ragazzino ma, diversamente a molti show recenti, siede più spesso alla
batteria (che condivide con l’ottimo
Pietro Monterisi) e lascia a
Franco Mussida la maggior parte
delle parti cantate, riservandosi piccoli e delicati momenti intimisti come
Harlequin, Out of the Roudabout e la blueseggiante Maestro della Voce, dedicata al compianto
Demetrio Stratos che, nell’intro affidata
al basso, viene anche ricordato da
Patrick Djivas con una citazione
da Luglio Agosto Settembre (nero).
Ma il momento sicuramente più emozionante per
i fans, che si alzano in una standing ovation, è quando la PFM divide il palco
con Ian Anderson, dei Jethro Tull. Il flautista/cantante/chitarrista inglese fa
il suo tradizionale ingresso sul palco in posa da fauno (con la gamba destra
alzata e appoggiata al ginocchio sinistro) e manda in visibilio la platea.
Tutti sono emozionati, a cominciare dallo stesso Mussida che, con voce rotta
dalla commozione, ricorda: “Avevo 22 anni quando saltai sulla sedia esattamente
come voi, vedendoli per la prima volta dal vivo. Immaginate come mi sento in
questo istante”. Con Ian la PFM esegue una irrinunciabile Bourée, poi My God (dall’album
“Aqualung”) ma, soprattutto, una spettacolare versione della Carrozza di Hans nella quale Anderson al
flauto non si risparmia. Un momento indimenticabile per tutto il pubblico
presente.
6 novembre
L’apertura è affidata ai Periferia del Mondo,
band molto giovane ma che può già vantare collaborazioni illustri (da Mauro
Pagani a Rodolfo Maltese, e molti altri) nei propri album. Il loro sound è una riuscita contaminazione tra prog-rock
dalle forti aperture romantiche, jazz-rock e influenze etniche arabeggianti e
mediorientali, con in primo piano i molti fiati (sax alto, tenore e soprano,
clarinetto, flauto) del cantante
Alessandro Papotto. Il pubblico mostra di apprezzare la solida e rodata
band come merita.
Dopo di loro, salgono sul palco gli Abash, che danno una ulteriore sterzata al
sound della serata verso atmosfere multietniche, con forti influenze anche della musica popolare
del Sud Italia. Purtroppo, anche nel loro caso tante finezze a livello di
sonorità, come certi piccoli tocchi di percussioni sapientemente posti a
colorare qua e là, si perdono un pò’ nell’impasto generale dei suoni, ma il
loro show è comunque trascinante e coinvolgente.
È la volta di una band che nel 1972 lasciò una
traccia tangibile, con l’album Per un mondo di cristallo, nella scena prog
romana: la (Nuova) Raccomandata con Ricevuta di Ritorno. La voce del cantante
nonché ‘pittore volante’ (come recita il titolo del nuovo album) Luciano Regoli
è ancora più potente, alta, brillante e versatile che negli anni ’70, frutto di
un lungo periodo di studio e di esercizio. Con lui sul palco, della vecchia
formazione, troviamo Nanni Civitenga, che all’epoca del primo album era il
chitarrista e oggi è invece un bassista dalle quotazioni molto elevate (ha
lavorato, tra gli altri, con Ennio Morricone).
Il loro ospite sul palco è Thijs Van Leer,
flautista e organista dei Focus, con il
quale eseguono The house of the King,
di certo il brano più famoso della band olandese (fu usato anche dalla Rai come
sigla) e Palco di Marionette,
dall’album dei RRR “Per un mondo di cristallo. Ma oltre a Van Leer un altro
ospite, totalmente a sorpresa e ingiustamente non citato sui manifesti, divide
il palco con la Raccomandata: è Claudio
Simonetti, dei Goblin, che delizia il
pubblico con un’introduzione pianistica
d’alta scuola, in cui cita anche alcuni dei suoi temi più famosi (
Profondo Rosso su tutti), prima di porsi
totalmente al servizio della band con risultati notevoli, anche nelle
interazioni con il mattacchione Van Leer, che intervalla le sue performances ad
alto livello tecnico con bizzarre gag ironiche.
Salgono sul palco gli Osanna e, senza nulla voler togliere a
nessuna delle straordinarie band avvicendatesi nel corso del festival, sono
forse il miglior live-act di prog-rock italiano di sempre: potenti,
trascinanti, travolgenti, energici come un fiume in piena, precisi e perfetti
come una macchina, un ben oliato macchinario in cui ogni suono è al suo posto e
non può essere che lì.
Gli Osanna, poi, hanno un ulteriore valore
aggiunto: i due straordinari ospiti che li affiancano sul palco, David
Jackson dei Van Der Graaf Generator (sax sopranino, soprano, alto, tenore, flauto
e tin whistle) e Gianni Leone del Balletto di Bronzo (all’organo Hammond) non sono due star di
passaggio che si sono preparati un paio di pezzi, sono ormai da parecchio tempo
due membri effettivi della band e sanno interagire con gli altri musicisti in
ogni dettaglio. E il pubblico dà prova di apprezzare tutto ciò con un’ovazione
tra le più esplosive di questi due giorni.
Chiude la rassegna il Banco del Mutuo Soccorso, con la formazione
rinforzata da Papotto, dei Periferia del Mondo, che integra perfettamente le sue parti di fiati con gli arrangiamenti
storici della band. Il Banco, però, come è spesso nello stile di questa
formazione dal vivo, sceglie di chiudere il festival con una punta di
malinconia, che traspare dagli amari monologhi di Di Giacomo e di Nocenzi sul tema Come eravamo, chi siamo, cosa saremo.
Francesco‘Big Di Giacomo denuncia apertamente
alcuni problemi vocali, ma ciononostante la sua performance è egregia. Il
repertorio, come da tradizione, è soprattutto quello dei primi tre album, con
poche incursioni leggermente più recenti, come
Il Ragno (dall’Lp Come in
un’ultima cena”), mentre in generale è Darwin l’album più saccheggiato.
L’ospite speciale del Banco è John Wetton,
bassista-cantante che ha militato in alcune tra le più grandi formazioni degli
anni ’70: King Crimson, Family, Uriah Heep, Uk, Roxy Music, Asia e
collaborazioni con diversi artisti, da Phil Manzanera, a Martin Orford, a Peter
Banks, e non solo. Con Wetton il BMS esegue Leave me alone (edizione inglese
della famosa Non mi rompete, dall’album
"Io sono nato libero”) e
Starless dei King Crimson.
Conclusioni
Non una semplice rassegna di concerti, ma un
evento con qualcosa di unico che resterà nel cuore di ogni vero amante del rock
progressivo italiano e mondiale. Meravigliosa l’atmosfera che si respirava non
soltanto sul palco, ma anche prima e dopo le due serate, grazie anche alla
straordinaria disponibilità verso i fan dimostrata dalla maggior parte degli
artisti italiani e internazionali coinvolti.
Ottima, infine, l’idea di alleviare i tempi
morti del cambio palco con interviste e presentazioni di libri, condotte dal
giornalista Donato Zoppo o dalla stessa
Iaia De Capitani. Molte e interessanti le opere letterarie citate, tra
cui il bel giallo “Com’era nero il vinile", di Glauco Cartocci, il volume
antologico a molteplici firme Prog 40,
dedicato ai quarant’anni di storia di questo genere musicale in ogni sua
accezione e sfumatura, e un’autobiografia di Bill Brudford.