SUBMARINE
SILENCE - Atonement of a former sailor turned painter
Ma.ra.cash
records
2024-ITA
Di Valentino
Butti
A distanza di quattro anni
dal precedente “Did swans ever see God?”, eccoci nuovamente a parlare dei Submarine Silence, uno dei numerosi progetti di Cristiano
Roversi (Moongarden, Il porto di Venere, Catafalchi del Cyber, Lanzetti
& Roversi… solo per rimanere in ambito prog). “Atonement of a former sailor turned painter”,
questo il titolo dell’album, vede impegnati, oltre a Roversi (organo, piano,
mellotron, tastiere, pedali bassi), il cantante Guillermo Gonzales, il
chitarrista David Cremoni (entrambi “sottomarini” di lungo corso),
l’altra vocalist Manuela Milanese (ospite già nell’album precedente) ed
una sezione ritmica nuova di zecca con Marco Croci (Maxophone e Julius
Project) al basso e Maurizio Di Tollo (già nei Moongarden, La maschera
di Cera, Hostsonaten; ora Il porto di Venere e due album da solista all’attivo)
alla batteria (e percussioni). L’immancabile, splendido, artwork di Ed
Unitsky, fa da corollario al tutto. Mai come in questa occasione le
abbondanti note di copertina (oltre alle liriche) sono necessarie per capire la
storia di “Atonement…”. E, proprio dalle spiegazioni, mi farò aiutare per
addentrarmi nei quarantacinque minuti dell’album (prevista pure la
pubblicazione in formato LP). Un lavoro a tema, ma non solo. I vari brani sono
come capitoli di una storia che si svolge in luoghi marittimi immaginari e
senza tempo, ed ogni brano è pure un bozzetto, un quadro, con riferimenti sia
letterari che cinematografici. In aggiunta, le liriche sono precedute da
ulteriori osservazioni che specificano ed ampliano le vicende narrate ed il
“viaggio” che sottintendono. Non ci soffermeremo più a lungo su queste
ulteriori note, per non appesantire queste righe, ma ne avremmo gradito anche
la versione in italiano.
Quattro sono i brani che
compongono l’opera a cui si aggiunge la bonus-track “Zena”,
presente nella sola versione in CD. Si inizia con “Majestic Whales”
(che riprende e “stravolge” un brano di Anthony Phillips presente su “Sail the
world” del 1994), uno splendido strumentale “liquido”, con un notevole
“guitar-solo” di Roine Stolt (The Flower Kings), batteria possente ed atmosfere
“genesisiane” molto spiccate (quelle dei brani più potenti di “A trick of the
tail” per intenderci).
Una bordata ritmica e di
hammond ed è subito “Les mots que tu ne dis pas”, la seconda
traccia. Iniziamo ad apprezzare la voce di Guillermo Gonzales, il sound è
sempre incalzante e la chitarra di Cremoni pare rivaleggiare con le tastiere di
Roversi, mentre la sezione ritmica ci dà dentro che è un piacere. Poi tutto si
placa per lasciare spazio anche alla voce di Manuela Milanese e al “solo” di
Cremoni che ci conduce al finale. Ma non c’è tregua.
È la volta di “Limbo
of the rootless”: chitarre arpeggiate, la voce della Milanese, poi
cresce l’intensità, si inserisce anche Gonzales ed inizia un’epica, vorticosa,
cavalcata strumentale con una ritmica davvero spumeggiante. Il cantato diventa
ancora più enfatico, le digressioni ritmiche sempre più articolate e
spericolate.
Il finale è per sola voce (Manuela)
e chitarra arpeggiata. La suite, nonché title track, chiude
l’album “ufficiale”: ventuno minuti di grandissimo progressive rock d’annata.
Il vertice assoluto, ad oggi, della produzione della band. E’ presente un
impianto melodico di prim’ordine, con le due voci ed i cori davvero superbi; ci
sono repentini sbalzi di umore musicale con le atmosfere acustiche e pastorali
che si fondono con quelle decisamente rock; ci sono gli squarci sinfonici che
conciliano i “vecchi maestri” seventies con il new prog del decennio successivo;
ci sono le trame ritmiche articolate e la “semplicità” di qualche arpeggio
della sei corde; ci sono, infine, le “grandeur orgiastiche” di un suono pieno e
dirompente frutto (anche) di una qualità di registrazione ottimale. Insomma, se
la parola “capolavoro” è sempre impegnativa (e non a tutti concesso l’uso…), mi
permetto questa volta di “spenderla” senza esitazioni. La versione CD, come
anticipato, comprende pure “Zena”: tre minuti di struggente
malinconia, nati da un’idea melodica di Sergio Lattuada, tastierista dei
Maxophone, scomparso qualche anno fa, che i Submarine Silence hanno completato
e pubblicato come doveroso omaggio.
“Atonement of a former sailor turned painter” si candida prepotentemente come disco progressive italiano dell’anno e sicuramente sarà tra i protagonisti dell’”Arlecchino Azzurro”, sondaggio indetto (assieme all’”Arlecchino Doro”, scritto così) dalla storica Webzine “Arlequins” e che premia l’album italiano e straniero che più è piaciuto ai membri del forum.