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sabato 18 ottobre 2025

Elisa Montaldo – “Il fascino dell’insolito” (2025), commento di Alberto Sgarlato

 


Elisa Montaldo – “Il fascino dell’insolito” (2025) 

Di Alberto Sgarlato


Il nome di Elisa Montaldo è abitualmente associato in modo diretto al Tempio delle Clessidre, una delle pochissime band che nel Nuovo Millennio sono state capaci di riportare il rock progressivo italiano ai fasti della ribalta internazionale, con tanto di tour in Sud Corea e Giappone e partecipazioni a importanti festival.

In realtà, però, chi conosce i progetti solisti della polistrumentista, compositrice, arrangiatrice e cantante genovese, saprà che la sua carriera è molto di più del solo rock progressivo italiano: nei suoi percorsi di ricerca si incontrano elettronica, metal-prog (come dimenticare la cover di “Space-dye vest” dei Dream Theather che talvolta propone live?), rarefazioni post-rock, suggestioni di World music (con l’uso di strumenti appartenenti a diverse etnie del pianeta) e una sorta di incatalogabile “cantautorato internazionale di qualità”, che potremmo paragonare a quello di una Kate Bush o di una Tori Amos. Non perché ci siano delle similitudini reali, con queste due artiste, ma per l’attitudine comune a sfuggire a generi e “gabbie”.

Non solo: chi ha visto qualche concerto di Elisa Montaldo sa che in quelle performance diventa difficile archiviare il tutto anche soltanto sotto il concetto di musica, dal momento che le collaborazioni con visual-artist d’avanguardia (per i quali ha composto e arrangiato colonne sonore) trasformano questi eventi in autentiche situazioni multimediali.

Ed eccoci arrivati al punto nodale di questa recensione: la multimedialità.

ASCOLTO BANDCAMP

L’album di cui andiamo a trattare, infatti, intitolato “Il fascino dell’insolito”, nasce come supporto sonoro per un podcast concepito da Enrico Pietra sulla storia degli sceneggiati dell’Epoca d’Oro della RAI – Radiotelevisione Italiana. I titoli sono quelli che tutti gli appassionati del genere ben ricordano: “A come Andromeda”, “Il fauno di Marmo”, “Ritratto di donna velata”, “Il segno del Comando”, solo per menzionare quelli che maggiormente hanno fatto la storia della tv negli anni ’70.

Nove brevi tracce che rivisitano quei temi scritti da grandi professionisti della composizione per il cinema e la televisione, nomi del calibro di Riz Ortolani e Stelvio Cipriani (anche in questo caso per fare solo due esempi).

E qui torniamo al parallelismo con Il Tempio delle Clessidre citato all’inizio: non similitudini ma attitudini. In questo album, come in quella band, infatti, ritroviamo il giusto mix tra devozione e innovazione. Così come il Tempio riportava in auge l’amore per il prog italiano riabbracciandone gli stilemi ma mai offrendo una riproposizione calligrafica e pedissequa, semmai al contrario introducendo vistosi e gustosi elementi di prog moderno, allo stesso modo la polistrumentista genovese si mostra devota nei confronti dell’operato degli autori originali, ma al tempo stesso ne destruttura, scompone e ricompone i suoni.

Al centro di tutto domina il monumentale parco-tastiere di Elisa Montaldo, a tratti affiancato da strumenti acustici dal gusto antico, come la lira, o da “cimeli” misteriosi e magici, come il Theremin. Tutto però viaggia attraverso le onde sonore dei cosiddetti VST (Virtual Studio Technologies), applicativi digitali che svolgono un ruolo fondamentale sia nella fedele riproduzione di strumenti ed effettistica d’epoca, sia nel generare timbriche un tempo impensabili.

Si viene a creare un turbinante “loop temporale”, nel quale fruscii, ronzii e borborigmi squisitamente “vintage” convivono con immensi pad (cioè tappeti) e arpeggiatori emblematici dell’elettronica attuale. In tutto questo il processo di editing, di arrangiamento, di mixaggio assume un ruolo da protagonista quasi al pari della partitura originale.

E non ci si deve esimere da un plauso per l’eccellente mastering effettuato presso il Neraluce Studio di Barbara Rubin, capace di offrire quel risultato adeguatamente “dipanato” nello spettro sonoro e appagante soprattutto in cuffia. Barbara Rubin, a sua volta eccellente polistrumentista, è sovente “complice” di Elisa Montaldo sia in studio sia in quelle già citate “incursioni” tra live e performance multimediale.

Concludendo: un’opera che saprà coinvolgere e commuovere i nostalgici ma, al tempo stesso, attrarre e incuriosire i giovani e, in generale, chi scopre oggi nuovi linguaggi musicali.






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