21
dicembre
"Tutti mi dicono grazie, dopo. Non brava ma
grazie. Quello che so fare è cantare, e penso forse che questo porti un po' di
bellezza nelle vite, faccia stare meglio le persone."
(Maria
Callas)
Ci
sarai sempre. Buon viaggio Capitano!
Wazza
Una "vecchia" intervista a Francesco
MARINELLA VENEGONI
Francesco Di Giacomo, voce tenorile indimenticabile del Banco di Mutuo
Soccorso, lo ricorda con orgoglio quieto: «Nel 1972 il nostro album
"Darwin" fu proclamato da 300 critici americani il miglior disco
progressive dell’anno». Allora ci si poteva
pure permettere di cantare il tema dell’evoluzionismo,
con le liriche sapienti di Big Francesco. Ma se il tempo passa, e la memoria si
riduce a un soffio di cenere sparsa nel vento, quello stesso vento sta
riportando all’attenzione dei ragazzi più
inquieti uno stile nel quale lItalia ha sparato alcune delle
sue più corpose cartucce, dalla PFM al Banco stesso. Quel Banco, protagonista
di memorabili festival alternativi nei torridi 70, sta
per festeggiare i 40 anni di vita: con un tour che ha come ospiti le Orme, in
partenza il 24 febbraio da Palermo; con un concerto che verrà trasmesso da
Radiouno il 27 prossimo; e con un disco che non potrebbe che essere dal vivo,
la dimensione più consona ad artisti di questo calibro, la cui lontananza
spaziale dalle logiche industriali contemporanee è insieme un problema e una
risorsa. Anzi, aggiunge Francesco: «Stiamo invitando altri artisti a incidere
nostri pezzi a modo loro. Avremo lasciato un segno?».
Intanto Vittorio Nocenzi, compositore eclettico e fondatore carismatico
del primo nucleo BMS nel 1969, nel libro-intervista, «Sguardi dall’estremo
Occidente» racconta le proprie esperienze a tutto campo, dallo studio del
pianoforte al lavoro con Gabriella Ferri, dal progressive rock fino alla
collaborazione con circuiti di studio e ricerca. Un curriculum denso, che ne fa
uno dei personaggi italiani di rilievo nel pop del secondo Novecento. E se
anche, in questi ultimi due decenni convulsi, del Banco di Mutuo Soccorso sè parlato
pochino, esso non ha mai smesso l’attività dal vivo: della band
originaria sono rimasti Nocenzi, Di Giacomo e Maltese, in pausa per problemi di
salute; nuovi musicisti hanno innervato nel tempo la formazione, che si prepara
a calcare le scene sotto occhi più attenti.
«In realtà - spiega Di Giacomo - per i nostri 40 anni stavamo cercando,
senza snobberia, di evitare nostalgia e festeggiamenti. Ci sono colori, storie
e autori che ci siamo portati dietro: siamo arrivati a oggi con convincimenti
forti. Per esempio, abbiamo detto di no al programma tv "I Migliori
Anni" perché il tempo che ci avevano dato era così stretto, e il
batterista doveva suonare in playback. C’è un
asservimento totale agli ospiti stranieri, se mi tolgono un minuto e mezzo e
poi Michael Bublé o chiunque altro si fa mezz’ora,
punto i piedi. Noi abbiamo fatto, come lui, concerti veri e tour in America ma
non a Little Italy con tutto il rispetto; e in Giappone, Inghilterra, sempre
sold out, e ci trattano come provincia dell’impero.
Allora ti metti il cuore in pace e dici: il mio motore reale è il live dove io
mi sento me. Questo è il mio mestiere, questo so fare e questo faccio».
La coerenza paga: «Abbiamo scoperto con enorme piacere che da un paio d’anni ai
concerti abbiamo un pubblico di giovani che riscopre un movimento storico, e
anche che cosa significhi suonare non solo per il sogno di guadagnare quanto i
calciatori. Vedo con raccapriccio in tv bimbi mandati allo sbaraglio a cantare,
hanno dieci anni e la voce da quarantenni».
Ma il
prog del Banco non è solo progressive; è unamalgama che oltrepassa l’etichetta per tingersi di
melodia e storia della musica, con testi immaginifici: «Credo che abbiamo
scavalcato tale etichetta senza neanche rendercene conto - racconta ancora Di
Giacomo -. Oggi ci piace far diventare quasi minimalisti certi brani ponderosi.
Ma non cè dubbio
che volendo ricavalcare l’onda sarebbe facile...». L’autore e il vocalist, Nocenzi e Di Giacomo, dopo tanti anni non sono
diventati fratelli/coltelli alla Keith&Mick: «Il nostro è un rapporto
spesso conflittuale, guai se così non fosse, però le nostre cose son sempre
nate da un confronto forte. Conosciamo qualità e difetti, possiamo montare un
pezzo e distruggerlo dopo una settimana di lavoro perché non è quello che
volevamo».
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