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giovedì 28 dicembre 2023

Nel dicembre del 1969 i Fairport Convention rilasciavano “Liege & Lief”



Magical Fairport Convention 1969, backstage at Top Of The Pops. Dave Swarbrick, RT, Dave Mattacks, Ashley Hutchings, Simon Nicol, Sandy Denny.

 

Nel dicembre del 1969 usciva uno dei capolavori del folk-rock inglese, “Liege & Lief” dei Fairport Convention.

Ascoltare per credere…

Wazza


Il folk revival inglese fu un movimento che ebbe un breve periodo di luce tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo; un periodo breve ma che brillò di una luce fulgida.

Come per il blues – che prendeva le mosse dalla musica rurale degli afroamericani rielaborata con gli strumenti urbani inglesi –, il fenomeno si basava sul folk tradizionale celtico, attualizzato con l’introduzione della tipica sezione ritmica del rock e facendo convivere strumenti classici come flauto e violino con la chitarra elettrica.

Il folk rock ebbe inizialmente grande successo oltreoceano, con gli esperimenti dei Byrds che – riarrangiando i successi di Bob Dylan in chiave elettrica – aprirono la strada allo stesso folksinger di Duluth che, dal 1965 in poi, passò alla strumentazione più moderna, scioccando i puristi del genere. Va tuttavia fatta una distinzione tra il folk rock americano e quello inglese; se il fil rouge che lega il primo alla tradizione passa attraverso il country di Woody Guhtrie, il bluegrass e la musica degli hobo e dei cowboy in generale, il folk rock inglese affonda le radici molto più in profondità, nelle canzoni e musiche tradizionali celtiche e nelle ataviche gighe suonate con la cornamusa e altri strumenti antichi. Siamo quindi in presenza di una musica basata su ancestrali melodie e su tematiche spesso esoteriche e inerenti a fatti di sangue o storie soprannaturali legate alle leggende del piccolo popolo.

Due furono le figure che inizialmente si distinsero nel movimento e che diedero vita ad altrettanti gruppi: Richard Thompson coi suoi Fairport Convention e John Renbourn coi Pentangle. Le due band rimangono a tutt’oggi i più fulgidi esempi di folk revival inglese, autrici di alcuni capolavori che resero il movimento leggendario; le radici del folk celtico, tuttavia, hanno influenzato e dato grande lustro anche a molte opere di solisti come Nick Drake e John Martyn e di band come Jethro Tull, Led Zeppelin e Traffic, oltre ad aver influenzato – per musica e tematiche – molti complessi di rock progressivo.

I Fairport Convention si formarono inizialmente nel 1967, esibendosi per la prima volta in una chiesa del nord di Londra; ne fanno parte Asheley Hutchings, bassista e cantante, Richard Thompson alla chitarra solista e Simon Nicol a quella ritmica, e il batterista Shaun Frater, presto sostituito da Martin Lamble. Il nome della band nasce dalla casa di Nicol – Fairport, appunto – dove i quattro si incontrano per provare. Al principio i ragazzi suonano cover della west coast americana, da Dylan a Joni Mitchell; una volta messi sotto contratto dalla Island e aggiunte le voci di Judy Dyble e Iain Matthews, i Fairport Convention esordiscono con l’opera prima, che porta il loro nome come titolo.


La band viene subito etichettata come una sorta di clone inglese dei Jefferson Airplane, band di folk rock psichedelico allora di gran voga a San Francisco; il 1969 è l’anno della svolta per la band, nel bene e nel male, con l’ingresso in formazione della portentosa vocalist Sandy Denny che esordisce in “What We Did on Our Holidays”. La Denny porta in dotazione la sua voce, dal timbro peculiare e assai suggestivo, dalla grana nebbiosa, quasi a evocare la brughiera e i tipici paesaggi britannici, e la propria passione per le radici del folk tradizionale; sicuramente debitrice al folklore e alla grande lezione di Shirley Collins, Sandy Denny riesce comunque a lasciare la sua impronta personale e a diventare il personaggio più iconico del folk revival. L’album, molto buono, si pone a metà tra le derivazioni west coast e i primi aneliti celtici.

Matthews abbandona, lasciando a Sandy campo libero come vocalist e si aggiunge Dave Swarbrick, mandolinista e soprattutto violinista di limpida classe. Esce “Unhalfbricking”, secondo dei tre album dell’anno e primo capolavoro folk del gruppo. Purtroppo – come si dice in questi casi – il destino è in agguato: un terribile incidente del pullman su cui la band si sposta, costa la vita a Lamble e a Jeannie Franklyn, la fidanzata di Richard Thompson. Gli altri componenti si feriscono in modo più o meno grave e meditano di abbandonare le scene, svuotati dalla drammatica vicenda. Il manager Joe Boyd, che crede molto nel progetto, invita i giovani a non prendere decisioni a caldo, e affitta loro una dimora vittoriana nelle campagne dell’Hampshire, nei pressi di Winchester. La quiete del luogo, l’immersione nella vita della campagna e degli splendidi boschi locali, unità al consolidamento dei rapporti e all’ispirazione quasi trascendentale di Sandy Denny verso la musica tradizionale fanno il miracolo. Il compless Pin on ROCK MUSIC SOLDIERSo ne esce rinfrancato e, in preda a un sentimento quasi mistico, registra il capolavoro della propria discografia: “Liege & Liefe”.

L’Album si compone di otto brani, di cui ben cinque sono riarrangiamenti di canzoni folk le cui origini si perdono tra le pieghe del tempo. Non basta, i tre pezzi originali suonano ancora più attinenti alle regole del genere rispetto alle cover, a testimonianza del genuino trasporto dei musicisti verso quelle musiche. Il disco si apre con “Come all ye”, pezzo originale composto in collaborazione dalla Denny e dal bassista Ashely Hutchings; siamo subito di fronte a una sarabanda di suoni e atmosfere fiabesche, rotte da un ritornello che contiene ancora qualche assonanza col country rock americano. Un brano travolgente che oltre a mettere in luce le straordinarie qualità vocali di Sandy Denny, offre un assaggio dei duelli tra chitarra e violino che caratterizzeranno il suono dei “nuovi” Fairport Convention.

“Reynardine” offre subito un cambio di registro importante; la voce di Sandy si fa solenne, da vera sacerdotessa del folk rock, declamando i versi sul bordone di viola di Swarbrick, solo a tratti punteggiato dagli altri strumenti. L’atmosfera è quella di un qualche rito druidico, magari tra le rovine di Stonehenge all’alba; lo sappiamo, sono stereotipi del genere, eppure è difficile non abbandonarsi alle suggestioni fiabesche dei Fairport Convention, e l’ispirazione di Sandy Denny in questo lavoro ha davvero contorni mistici. Quattro minuti di pura magia.

“Matty Groves”, a seguire, è forse il pezzo più celebre della band e quasi un manifesto programmatico dell’intero movimento. Il brano, un tipico traditional sul tema dell’adulterio, affonda le radici forse nella Scozia del ‘600 e fu importato negli Stati Uniti proprio dagli immigrati scozzesi in USA e in Canada, dove è conosciuto anche col titolo di “Little Musgrave and the Lady Barnard”. La versione che ne danno i Fairport Convention è archetipica del loro approccio al folk e di come riuscivano a portare nella realtà evoluta del 1969 le antiche radici musicali di cui erano appassionati: la base è fortemente ritmica, col basso e la batteria di Dave Mattacks che pompano come uno stantuffo; i cambi di registro vocale di Sandy Denny sono impressionanti nel rendere la drammaticità della storia, mentre il violino di Swarbrick e la chitarra di Richard Thompson si prendono a turno la scena. La durata di otto minuti permette una serie di evoluzioni strumentali che paiono quasi anticipare i cambi di ritmo che saranno tipici del prog; a un certo punto l’incedere si fa più veloce e, su quella che sembra quasi una giga scozzese, Thompson e Swarbrick si producono in una serie di fraseggi che allora erano qualcosa di totalmente nuovo. Nessuna assonanza né col jazz e tantomeno col blues, all’epoca fonti uniche di ispirazione degli assoli rock. La chitarra di Thompson a tratti anticipa quasi – in modo molto più pulito e ortodosso – lo stile di Ritchie Blackmore, peraltro a sua volta grande cultore della tradizione celtica. Un incredibile tour de force che riesce nel miracolo di far sposare rock e folk celtico.

Con la successiva “Farewell, Farewell” si tira un po’ il fiato. Il brano – quasi una ninna nanna – è un originale di Richard Thompson, condotto dal dolce arpeggio della sua sei corde elettrica e dalla voce mai così estatica e improntata ai registri più alti di Sandy Denny. Una splendida melodia completa il bozzetto: un brano molto più breve degli altri ma perfetto nel rendere ulteriormente le atmosfere fiabesche del lavoro. La successiva “Deserter” prosegue sulle stesse suggestioni degli altri brani, anche se, in mezzo a un tale numero di brani capolavoro, risulta forse leggermente più evanescente; non è così di certo per la successiva “Medley”. Come da titolo, il brano è una sorta di minisuite che unisce quattro melodie tradizionali, partendo da una scatenata giga guidata dal violino di Swarbrick; ed è proprio il nobile strumento del buon Dave a menare le danze per i quattro minuti del medley – totalmente strumentale – rendendo bene l’idea di quanto le radici folk britanniche fossero rispettate dal complesso.

La successiva “Tam Lin” è di nuovo un brano tradizionale che riporta però alla guida la chitarra di Richard Thompson. Il chitarrista si prende la scena con un arrangiamento ai limiti dell’hard rock, il più duro della raccolta, e un assolo che riprende le radici psichedeliche da west coast della band. Anche la parte vocale di Sandy Denny non sfigurerebbe a confronto con la migliore Grace Slick, a testimonianza di una duttilità del suo timbro vocale che avrà pochi eguali. La storia narra le peripezie di Janet a Carterhaugh, una fiaba che coinvolge il mondo delle fate e che deriva dalla tradizione scozzese.

A un album come “Liege & Lief” manca solo una degna conclusione, e “Crazy Man Michael” è in questo senso perfetta. Il brano è originale, composto da Swarbrick e Thompson, ma sembra quasi impossibile credere che non sia un pezzo tradizionale. L’arrangiamento, l’andamento e la melodia sembrano uscire dall’ennesima leggenda medievale narrata da qualche trovatore, eppure la canzone è stata scritta nel 1969.

Si giunge alla fine dell’album quasi trasalendo; la sensazione è quella di essere stati immersi in una realtà parallela per i quaranta minuti del disco: una realtà fatata che è quasi difficile abbandonare.

“Liege & Lief” è uno di quei piccoli miracoli della musica rock, l’espressione perfetta di una band in stato di grazia. Un equilibrio trovato per qualche mese tra una tragedia che aveva scosso e – paradossalmente – legato i giovani musicisti, prima che il successo e le ambizioni personali portassero all’inevitabile divisione. Hutchings abbandona la formazione per formare gli Steeleye Span, e Sandy Denny fa lo stesso per dare vita ai Fotheringay prima e per dedicarsi alla carriera solista poi (celebre il duetto con Robert Plant in “The Battle Of Evermore”, da “Led Zeppelin IV”); di lì a poco anche Thompson lascerà e, nel giro di qualche album, rimarrà il solo Swarbrick.

Tra alti e bassi la storia dei Fairport Convention va avanti ancora oggi, con uno zoccolo duro di appassionati che li segue quasi maniacalmente e con periodiche impennate d’interesse verso una sorta di revival del revival. Attorno al 2010, bande come Circulus, Espers, Eralnd & The Carnival e Midlake, ebbero una breve stagione di gloria rifacendosi a quei suoni.

Diversa e tragica la sorte di Sandy Denny, che morirà nel 1978 dopo una caduta dalle scale; ma questa – come sempre – è un’altra storia.

Andrea La Rovere





2 commenti:

  1. ... " Liege & Lief ", non Liefe , correggete l'evidente errore nel titolo dell'album ! Saluti, Domenico

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  2. Complimenti per l'articolo e grazie. Qui si trova una mia traduzione di "Crazy Man Michael": http://thestrangeboat.blogspot.com/2022/12/crazy-man-michael.html

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