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venerdì 6 dicembre 2024

Gianni Venturi – “L’ordine nella cura”, commento di Alberto Sgarlato

Gianni Venturi – “L’ordine nella cura” (2024) 

di Alberto Sgarlato

Diventa sempre più difficile, per il recensore, descrivere a parole l’Opera di un personaggio così “non incasellabile” quale è Gianni Venturi. Poeta, scrittore, cantante, compositore, sperimentatore della voce, alla fine diventa egli stesso performance di arte contemporanea nella quale a essere esibito è il suo vissuto tormentato: nelle sue rughe c’è tutta l’infanzia e l’adolescenza, faticosa e a tratti molto dolorosa, in un contesto rurale per lui limitante, frustrante e inappropriato, sui colli bolognesi; nelle sue mani c’è il commerciante ambulante, sempre tra la gente, immerso nella gente, eppure così alieno a quel linguaggio popolare che il Sistema annichilente dell’Era Moderna vorrebbe appioppare e imporre alla vulgata. Venturi, “oxymoron” vivente nella più nobile accezione metaforica e retorica del termine, alieno calato nel tessuto popolare e attento osservatore, lucido, analitico e critico (ma mai cinico o snobistico) di ciò che lo circonda.

Tra i suoi linguaggi musicali ci sono e ci sono stati il prog-rock, il jazz, il jazz-rock, la musica popolare e cantautorale. Nel suo presente un percorso di musica d’avanguardia e sperimentazione vocale da tempo intrapreso.

E infatti questo suo nuovo album solista, intitolato “L’ordine nella cura”, si inserisce in quella sua produzione, punteggiata dai precedenti “Mantra Informatico” e “Il poema della balena spiaggiata”, nei quali è la voce venturiana l’indiscussa assoluta protagonista, solo minimamente supportata da loops elettronici e minimi altri artifizi strumentali, con arrangiamenti ridotti all’osso ma sempre funzionali alla scrittura.

Ed è così che, nella opener “Petali”, sull’ipnotico roteare nell’aria delle tablas, Venturi si trasforma in didjeridoo ma persino in portoni che cigolano; nei due brani “Il bosco” (suddivisi in parte prima e parte seconda) la musica si fa poesia e teatro: Venturi recita le sensazioni dell’uomo immerso nel tutto e parte di esso, supportato da lancinanti strumenti ad arco che diventano quasi vento tra le fronde; “Good morning” è ancora una volta “ossimorico”: titolo sarcastico per una trama nella quale  è narrata l’alienazione della vita moderna, con inserti e citazioni di pura musica concreta… Una radio che canta le false gioie del consumismo. Le uniche bellezze sono quelle della natura, del sole che filtra fra le nubi, ma la gente schiava dall’occhio vitreo non le nota nemmeno più.

La title-track diventa quasi un “doo wop dell’apocalisse”: “Non siamo altro che formiche che accumulano scorte per l’inverno”. In questa frase è riassunto tutto il male della società di oggi.

Archi, pizzicati o dalle note lunghe, percussioni come crotali nel deserto, sono di appoggio alla voce del protagonista in “La casa dall’anima”: un appello di questo “bipede eretto dalla mano prensile” a scegliere quale forma di evoluzione potrà essere per noi salvifica o maledetta: quali colori? Quelli di un ologramma o di un tramonto?

Le trame orientali di “Tutto è amore”, costruite non solo attraverso strumenti ma, ancora una volta, attraverso il sapiente uso della vocalità di Venturi, oggi suonano, nella loro cupezza, come critica logica al positivismo utopista dell’era Flower Power; tuttavia, il messaggio non è mai crudele o disincantato, semmai è un invito a riappropriarci della nostra Madre Terra e del nostro posto in essa.

Donne di canapa” è ancora Oriente, è Arabia, è Nord Africa. Sembra incredibile come ci si possa perdere negli orizzonti e nei continenti tutti contenuti nella voce di Venturi. Torna il tema dell’amore, ma anche quello dell’equilibrio uomo/natura, pilastri della poetica venturiana.

Il cancro neoliberista” ha già nel titolo il suo riassunto: potrebbe sembrare quasi un canto religioso, una preghiera o invocazione, se non fosse che, al contrario, mette proprio in guardia dai falsi dèi.

E un album così non si può che concludere con un titolo emblematico del messaggio venturiano: “Il ritmo della terra” elettronica, sequenze, tablas, tappeti, per tornare a riconciliare il nostro essere con il mondo che ci circonda.

Un artista che non delude mai e che continua a superare i suoi stessi limiti, invitandoci alla riflessione e al pensiero critico. 




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