Il
Balletto di Bronzo
“Lemures” (Black Widow Records, 2023)
Di Alberto Sgarlato
Non è un’esagerazione dire che nel
vasto e variegato universo del rock progressivo nessun altro album, da qualche
decennio a questa parte, ha saputo generare la stessa aspettativa scaturita da
questa nuova opera del Balletto di Bronzo.
Per la critica negli anni il rock
progressivo italiano (abbreviato RPI) è diventato addirittura un sottogenere a
sé stante, persino uno tra i più amati. Ciò ha concesso a parecchi nomi storici
della scena italiana anni ‘70 di ritornare, seppur episodicamente, con nuove e
valide pubblicazioni. Ma non staremo qui a fare uno sterile elenco di questi
artisti, cosa che sarebbe del tutto fuori tema.
Focalizziamoci invece sul Balletto
di Bronzo, una formazione che nell’arco di tre o quattro anni visse addirittura
due vite differenti: i primi singoli del 1969 e l’album di esordio del 1970,
“Sirio 2222”, espressione di un sanguigno e ruspante hard-blues figlio del beat
ma già influenzato da prime suggestioni del nascente movimento progressivo e,
nel 1972, sotto la guida del tastierista Gianni Leone, “Ys”; quest’ultimo è un
concept-album oscuro e tenebroso destinato a passare alla storia.
Ancora oggi, infatti, a oltre 50
anni dalla pubblicazione, non esiste praticamente classifica dedicata al prog
italiano o internazionale che non menzioni “Ys” tra i capolavori assoluti e
indiscussi del genere.
Ma in questo lasso di tempo Gianni
Leone non è certo rimasto con le mani in mano: ha prestato il suo virtuosismo
in qualità di ospite e collaboratore esterno (ad esempio con gli Osanna), si è
tenuto sempre costantemente al passo con i tempi e con le tendenze musicali
senza inutili nostalgie e passatismi (si pensi al suo progetto LeoNero, negli
anni della new wave, della dark-wave e del synth-pop), ha viaggiato e vissuto
per il mondo, facendo sue le più svariate correnti culturali. E, naturalmente,
ha continuato a portare in tour la musica del Balletto di Bronzo in tutto il
pianeta, affiancato dalle più svariate formazioni. Merita una menzione un tour
nel Sol Levante, assieme alla sezione ritmica della validissima band giapponese
dei Gerard.
Chi ha ascoltato il Balletto di
Bronzo in anni recenti ha potuto constatare che Gianni Leone non è solo un
musicista dalla preparazione tecnica impressionante (e già basterebbe questo) e
non è solo uno showman capace di intrattenere il pubblico con i suoi commenti
arguti ai vari brani (dote rara nel mondo dei tastieristi, spesso relegati
nelle retrovie). Leone è anche un grandissimo conoscitore delle sue tastiere,
dalla meccanica all’elettronica, dalla manutenzione alla programmazione, capace
di estrarre da esse una gamma di potenzialità e di tavolozze timbriche del
tutto inaspettate.
Questo lungo inquadramento sia storico che tecnico era necessario per far capire che nel nuovo “Lemures” confluiscono tutte le doti appena elencate: l’energia esecutiva trasmessa in sede live e trasposta in studio di registrazione senza cedimenti, l’alto livello tecnico, la voglia di concepire la musica in modo “assoluto”, senza le gabbie di generi e stili, la capacità di essere sempre al passo con il proprio tempo e addirittura di precederlo, grazie anche a una ricerca timbrica e tecnologica scrupolosa. Al punto che, tra i primi commenti trapelati sui social network di chi ha avuto modo di ascoltare l’album, si è parlato di “vero prog-rock del III Millennio”.
L’energia “dark” che pervade
l’intera opera è messa in chiaro fin dalle prime note dell’apertura affidata a Incubo
Succubo, nella quale i sintetizzatori generano vere e proprie “esplosioni”
alternate a “ululati”: una premessa inquietante che poi sfocia in un incedere
di marcia, solenne e scandita. Sotto di essa, come fontane di suono,
“zampillano” gli arpeggiatori, generando una sensazione di ambientazione
“cosmica”.
In Oceani sconosciuti
i crescendo disseminati con sapienza evocano lo spirito dei grandi compositori
dell’Est, uno Stravinskij, un Bartok, ma clamorosamente “spezzati” da
discontinuità post-industriali e dissonanti, al limite del rumorismo. Il tutto
dominato da uno splendido, enfatico cantato teatrale, nel quale Leone svela la
piena maturità e l’assoluto controllo della sua voce.
L’Emofago
dimostra di come si può fare del grande hard rock senza l’apporto della
chitarra, con un solido tappeto di tastiere che di certo non ne fanno percepire
la mancanza.
Dopo tanti titoli tra l’orrorifico
e il fantascientifico, frutto delle grandi conoscenze letterarie di Leone, il
nostro autore di colpo ci riporta sulla terra e, addirittura, proprio nel cuore
della sua città: Napoli sotterranea si apre con una violenta
“pseudo-schitarrata” di sintetizzatori dal sapore quasi hendrixiano… Chissà:
forse se Jimi fosse nato sotto il sole di Napoli anziché imbracciare una
chitarra sarebbe diventato Gianni Leone. In questa traccia si percepisce l’eco
delle occasionali collaborazioni con gli Osanna: non si perde l’approccio dark
e misterioso della penna leoniana, ma si colora di mediterraneità e si evolve,
su giri di basso sempre cangianti, in una cavalcata jazz-rock (genere da sempre
percorso nella scena musicale partenopea).
Le peggiori miserie dell’animo
umano sono sussurrate, con enfasi teatrale, in L’Ombra degli dèi,
brano che non sfigurerebbe in un musical a tinte fosche; una lunga traccia che
nelle sue parti strumentali sorprende per la varietà del drumming,
articolatissimo nel seguire le imprevedibili evoluzioni tastieristiche.
Ossessiva e martellante, Labyrinthus riesce perfettamente con le sue sonorità a riassumere le ansie e le paure di chi si sente smarrito in un percorso apparentemente senza via d’uscita. Dal punto di vista tastieristico, un vero e proprio “tripudio”, per la maestosità e la solennità dei suoni ancora una volta programmati con sapienza da Leone (forse addirittura i timbri più belli di un intero disco tutto giocato, come già detto, su una certosina ricerca sonora). Siamo di nuovo di fronte a una traccia che sfiora i 9 minuti… e li vale tutti, dal primo secondo all’ultimo.
In questo fiume in piena di
sonorità aggressive e martellanti, arriva Certezze fragili a farci
tirare il fiato per un attimo. Unica traccia che potrebbe essere assimilabile
al concetto di “soft ballad” (seppur, questo è ovvio, impreziosita da
virtuosismi e cambi di tempo inaspettati). Qui Leone, pur non mettendo da parte
l’elettronica, torna anche a fare ruggire il suo Hammond, riabbracciando così
sonorità più “classic prog”.
Con Deliquio viola
la band ci riporta immediatamente nei suoi territori più dark, tra dissonanze e
sonorità acide e distorte, dando nuovamente vita a circa 8 minuti di intensa
maestosità da vero power trio “keyboard-oriented”.
Ed ecco che il Balletto di Bronzo
ci saluta con Il vento poi…: siamo giunti all’ultima traccia
dell’album, le sonorità tornano a farsi a tratti più delicate, congedandosi
dall’ascoltatore con quel tocco di malinconia.
La malinconia generata da un brano
così capace di toccare le corde del cuore ma anche la gioia di avere avuto tra
le mani un album atteso per così tanto tempo e in grado di non deludere le
aspettative. Qualcosa di intenso, sbalorditivo, coinvolgente e sconvolgente, a
tratti spiazzante come solo Gianni Leone sa essere e sa fare.
A questo punto meritano di essere
menzionati anche i due eccellenti comprimari che hanno saputo accollarsi il
lavoro (per niente facile!) di tessitura armonico/ritmica a supporto del
tastierista e cantante Gianni Leone: loro sono Ivano Salvatori al
basso e Riccardo Spilli alla batteria, due musicisti tecnicamente
davvero all’altezza della situazione. E non è certo cosa da poco.
E complimenti, ovviamente, anche
alla Black Widow Records, che una volta di più ha confermato il suo
ruolo di leadership tra i grandi “player” del mercato progressivo
internazionale, aggiudicandosi nel proprio catalogo un’opera così tanto attesa,
destinata a restare menzionata tra i capisaldi del genere usciti in questo
decennio.
Tracklist:
1. Incubo Succubo
2. Oceani Sconosciuti
3. L’Emofago
4. Napoli Sotterranea
5. LOmbra degli Dei
6. Labyrinthus
7. Certezze Fragili
8. Deliquio Viola
9. Il Vento Poi
Formazione:
Gianni Leone-tastiere e voce
Ivano Salvatori-basso
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