Motus Laevus – “Sifr”
(Felmay Records, 2023)
di Alberto Sgarlato
Il nome di Edmondo Romano è molto
conosciuto in vari ambienti musicali in tutta la Liguria. Nel circuito del rock
progressivo è stato tra i fondatori di due band tra le più importanti della
“rinascita” del genere in Italia a fine anni ‘80, gli Eris Pluvia e gli Ancient
Veil; inoltre ha collaborato con svariati artisti (tra cui Fabio Zuffanti in
diversi progetti, primo fra tutti Hostsonaten). Nell’ambito del cantautorato ha
spesso affiancato il compianto Vittorio De Scalzi, in duo o in un contesto di
band. Grande collezionista di strumenti a fiato provenienti da tutto il mondo,
spesso Romano tiene degli avvincenti “showcase” di etnomusicologia nei quali
illustra alcuni pezzi della sua collezione, ne illustra le origini, la tecnica
e il funzionamento ed esegue alcune musiche legate alle tradizioni alle quali
questi strumenti appartengono. Infine, sotto le festività natalizie, non è raro
incontrarlo in abiti tradizionali in giro per i “caruggi” degli antichi borghi
liguri a tenere alta la nobile tradizione degli zampognari.
In questo nuovo progetto, denominato Motus Laevus, potremmo dire di essere nuovamente
nel territorio dell’etnomusicologia, anche se questa etichetta è decisamente
limitante e tra poco scopriremo perché.
La formazione si struttura come un trio; oltre al già citato Edmondo Romano (al sax soprano, clarinetti, chalumeau e fluier), troviamo la pianista, tastierista e cantante Tina Omerzo, che ha alle sue spalle una solidissima formazione accademica fatta di musica classica, contemporanea e le più ardite forme di avanguardia, sperimentazione e ricerca sonora; e infine, con un parco strumenti impressionante, Luca Falomi; questo artista ha esperienza nel jazz, nella musica afro-cubana, nella musica mediorientale, nel cantautorato e, tra le varie tracce di questo disco, si destreggia tra chitarre acustiche, elettriche, classica, a 12 corde, chitarra baritono e basso acustico.
Etnomusicologia, dunque, dicevamo. Sì e no,
in quanto la tracklist dell’album comprende due soli brani popolari della
tradizione macedone, intitolati Brala Jana Kapini e Jovano Jovanke.
Completa il trittico di titoli non originali Longa Nihavend, del
compositore turco Kemani Kevser Hanim (molto rivisitata). Tutto il restante
materiale del disco è firmato dai tre strumentisti in combinazioni differenti,
talvolta da uno di loro da solo, talvolta a quattro mani da due componenti su
tre. La formazione, infine, è completata da due ospiti: Max Trabucco
alla batteria e percussioni e Alessandro Turchet al contrabbasso.
Facciamo ora una breve riflessione sul
titolo: “Sifr” in arabo significa
“Zero”, o “vuoto”. Per estensione, gli antichi romani da Sifr mutuarono la loro
parola “Zephirum”, un vento che nasce da una forma di energia quasi
impalpabile, appunto un nulla, un vuoto, e cresce fino a farsi sentire. E da
“Sifr” deriva anche la parola italiana “Cifra”: ecco, di nuovo un qualcosa che
parte da zero ma diventa tangibile, che cresce fino a infinito.
E tutto quanto appena detto descrive
perfettamente le coordinate dei nostri Motus Laevus: un sound che in maniera
delicata, gentile, eterea, quasi impalpabile, cresce attimo dopo attimo, nota
dopo nota, entra nel cuore dell’ascoltatore brano dopo brano. E in esso
confluisce un tutto: c’è il jazz, il canto popolare, la tradizione balcanica,
un tocco fusion, l’approccio accademico, una spruzzata di prog.
Anche questo loro secondo album, come il
precedente intitolato “Y”, vede la produzione di due grandi artisti,
compositori, arrangiatori e produttori, conosciuti nel mondo soprattutto per il
loro importante lavoro nel mondo delle colonne sonore: Pivio e Aldo
De Scalzi.
Trovare delle coordinate per descrivere la
musica a parole spesso è difficile. Nel caso dei Motus Laevus è praticamente
impossibile, visto lo sconfinato background musicale dei tre artisti in
questione, che fanno confluire nell’amalgama generale tutte le loro influenze e
il loro vissuto con gusto, sapienza ed elegante sobrietà.
Tutt’al più si possono lanciare qui e là degli indizi di massima, del tipo “se vi è piaciuto x, potreste apprezzare anche y”.
E allora, pur ricordando che certi paragoni vanno raccolti col beneficio del
dubbio, diciamo che se avete amato il jazz etnico degli Oregon guidati da Ralph
Towner, se vi siete commossi per le melodie balcaniche di Jean-Marc Zelwer, al
limite se vi siete lasciati suggestionare dalla etno-fusion dei primissimi
Shadowfax (ma senza quella preponderante componente elettronica) potreste
trovare nel sound dei Motus Laevus quello che fa per voi. Sottolineando ancora
una volta che non si tratta di similitudini ma di un semplice “mood”, molto
remoto, nel concepire la musica senza confini.
Tracklist (cliccare sul titolo per ascoltare)
1. Longa nihavend (Kemani Kevser Hanim)
2. Brala Jana kapini
(Tradizionale macedone)
3. La tredicesima ora
(Luca Falomi)
4. Misel vode (Tina
Omerzo
5. Kucuk kus (Edmondo
Romano)
6. Fondaco (Luca
Falomi)
7. Taksim (Edmondo
Romano, Tina Omerzo)
8. Jovano Jovanke
(Tradizionale macedone)
Formazione:
Tina Omerzo: voce,
pianoforte, tastiere
Edmondo Romano: sax
soprano, clarinetti, chalumeau, fluier
Luca Falomi: chitarra acustica, classica, baritono, 12 corde, elettrica, basso acustico
Ospiti
Max Trabucco:
batteria, percussioni
Alessandro Turchet:
contrabbasso
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