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venerdì 29 novembre 2024

Un ricordo di George Harrison a 23 anni dalla morte. L'ultima apparizione alla televisione.

All things must past”… ma George ci sarà sempre!

Ci lasciava il 29 novembre 2001 George Harrison

Per non dimenticare!

Wazza

"Non sono che uno dei tanti che sa suonare un po' la chitarra. So scrivere un po'. Non credo di saper fare nulla particolarmente bene, ma credo che, in un certo senso, sia necessario che io sia esattamente così".

(George Harrison, 1971)


Nell'insieme non avrebbe proprio importanza se non avessimo mai fatto dischi o cantato una canzone. Non è importante quello. Quando muori avrai bisogno di una guida spirituale e di una conoscenza interiore che vada oltre i confini del mondo fisico. Con queste premesse direi che non ha molta importanza se sei il re di un paese, il sultano del Brunei o uno dei favolosi Beatles; conta quello che hai dentro. Alcune delle migliori canzoni che conosco sono quelle che non ho scritto ancora, e non ha neppure importanza se non le scriverò mai perché sono un niente se paragonate al grande quadro.”

(George Harrison)






mercoledì 27 novembre 2024

Compie gli anni Daryl Stuermer, "membro permanentemente part-time" dei Genesis

Compie gli anni oggi, 27 novembre, Daryl Stuermer, chitarrista bassista, noto come “musicista itinerante”, nei Genesis e con Phil Collins solo.

Ha un’importante discografia da solista, oltre agli artisti sopracitati ha collaborato anche con Jean-Luc Ponty, George Duke…

Happy Birthday!

Wazza


October 1982 after the Six of the Best reunion concert: Steve Hackett, Peter Gabriel, Mgr. Tony Smith, Mike Rutherford, Phil Collins, Tony Banks, and Daryl Stuermer with the kids Tom Rutherford, Chris Smith, Kate Rutherford, and Ben Banks

From left to right - Luis Conti (percussion), Brad Cole (keyboards), Nathan East (bass), Phil Collins (the man himself), Daryl Stuermer (guitar), Gerald Albright (sax)


domenica 24 novembre 2024

MAT2020: su SPOTIFY la playlist del numero di dicembre 2017 del web magazine (scaricabile nell'articolo).


Angelo De Negri ha fatto un esperimento, recuperando il numero di dicembre 2017 di MAT2020 e creando una playlist dei brani degli album trattati.

Ecco il pdf scaricabile:

https://www.mat2020.com/files/MAT2020_DIC17.pdf

Questo è il risultato, un po’ come sfogliare ed ascoltare il lavoro. Ovviamente la playlist è completa e segue l'ordine di ascolto se si ha un abbonamento. Per la gestione libera i brani verranno proposti random, con inserimento della pubblicità.

Buon ascolto!

 

ASCOLTO PLAYLIST

 



L'icona pop Miley Cyrus ha rivelato che il suo prossimo album, la cui uscita è prevista per il 2025, è stato ispirato dai Pink Floyd

 


Miley Cyrus afferma che il suo prossimo album è stato ispirato dai Pink Floyd: "La mia idea era di realizzare The Wall, ma con un guardaroba migliore e più glamour"


"È stato ispirato da The Wall dei Pink Floyd", racconta Miley Cyrus ad Harper's Bazaar, sostenendo di aver visto il film The Wall da adolescente, facendo cosplay per la proiezione noleggiando una limousine, fumando erba e indossando una pelliccia in stile anni '70. "Ci siamo davvero buttati", dice.

Il film ha lasciato il segno e ora Cyrus, che descrive la sua prossima raccolta come "un concept album che è un tentativo di curare una cultura in qualche modo malata attraverso la musica", si spinge ancora oltre.

"La mia idea era di realizzare The Wall, ma con un guardaroba migliore e più glamour e pieno di cultura pop", dice. "Vorrei essere una psichedelica umana per le persone. Non voglio che nessuno provi a essere come me o a imitarmi o anche solo a essere ispirato da me. Voglio avere un impatto sulle frequenze nel tuo corpo che ti fanno vibrare a un livello diverso".

Cyrus, che ha realizzato una cover di Wish You Were Here dei Pink Floyd durante lo show SNL At Home durante il lockdown nel 2020, ha un curriculum rock in continua crescita che include la collaborazione con i Def Leppard su una versione di Photograph, una versione di Faithfully dei Journey, una cover di Say Hello 2 Heaven dei Temple Of The Dog al concerto tributo a Chris Cornell nel 2019 e cover di Metallica e Nine Inch Nails a Glastonbury nel 2022.

Purtroppo, la sua promessa di pubblicare un album di cover dei Metallica non si è ancora concretizzata








venerdì 22 novembre 2024

M.E.N. - “Spillover”, di Alberto Sgarlato

 


M.E.N. - “Spillover” (2024) 

Ma.Ra.Cash. Records

di Alberto Sgarlato


I M.E.N. sono, più che una vera e propria band, una sorta di “collettivo”, dal momento che i tre componenti che ne fanno parte non sono assegnati a ruoli rigidi ma si alternano tutti alla voce e a molteplici strumenti.

Questo loro album, intitolato “Spillover”, è una critica alla società attuale, travolta da una serie di situazioni (dal consumismo ai social network) che l’uomo non è evidentemente pronto a gestire.

Mettiamo un attimo da parte la musica e facciamo un excursus di valore storico, scientifico e sociale: il termine “Spillover” è stato adottato in primis nel mondo dell’epidemiologia e indica quello che in italiano viene chiamato “il salto di specie”. Non è proprio così facile da spiegare, ma facciamo un esempio immediatamente comprensibile a tutti: il Coronavirus si dice che sia stato passato dal pipistrello all’uomo: in quel momento è avvenuto un “salto di specie” che ha scombussolato (e non di poco) le nostre abitudini e la nostra quotidianità.

Lo “Spillover” dei M.E.N. è più “metaforico” e parla di abitudini e quotidianità continuamente scosse da mutamenti sociali, tecnologici, politici ai quali non siamo preparati.


Marco Grieco a.k.a. MaCRoMaRCo

Vincenzo "Enzo" Lardo a.k.a. 240bpm

Nicola "Nick" Cruciani a.k.a. Flavour

Per rendere al meglio questa sensazione di alienazione e di caos, i tre musicisti sono ricorsi a tecniche di registrazione molto complesse, che valorizzassero ogni sfumatura, ogni ampiezza ambientale, ogni suono che attraversa lo spettro. E, in effetti, ascoltando l’album rigorosamente in formato WAV, senza compressioni e senza perdite di dati, passando attraverso una scheda audio semiprofessionale e delle cuffie che ripropongono un ascolto neutro, senza eccessive frequenze basse (come è tristemente di moda oggi), tutti accorgimenti che il sottoscritto ha avuto, si rimane colpiti dalla qualità dell’incisione e della produzione.

Difficile, ovviamente, etichettare, il mondo sonoro dei M.E.N.: l’elettronica è elemento-cardine, ma è filtrata attraverso una forte sensibilità dei musicisti, che con interventi chitarristici che potremmo definire “gilmouriani” e lunghi tappeti tastieristici di stampo romantico, portano le coordinate verso un rock di gusto più classico.

Alla fine, elettronica, down-tempo, trip-hop, tanta neopsichedelia (ricordate i Porcupine Tree di “Up the downstair”, per esempio?) e certo new-prog sinfonico, convivono in questo prodotto sicuramente elegante e ben confezionato.

L’opening affidata a “World wide weird”, con un sottile gioco di parole, descrive le insidie del web e le trasmette sotto forma di un grande e coinvolgente “circo sonoro” all’ascoltatore; “Everything” è un riuscito connubio tra alternative-rock e interpretazione vocale tra recitato, enfasi teatrale e rap, seppur con armonie vocali debitrici della più classica psichedelia; “Human eclipse” è una delle tracce più cupe e più giocate su atmosfere rarefatte dell’intero lotto; atmosfere che sembrano quasi capovolgersi totalmente nel dream-pop lo-fi di “Present days”; “Mouths” riporta all’effettistica della opening e all’alt-rock della successiva “Everything”, ma con un ancor maggiore afflato orchestrale; in mezzo a tanta pienezza di suono, risulta spiazzante una ballad come “Keeping safe”, dal sapore quasi barrettiano, una ninna nanna stralunata, un po’ dolce e un po’ angosciante; tutto ovviamente cambia di colpo con “Broken kite”, che invece è uno dei brani più hard dell’intero lotto, con una forte presenza chitarristica in primo piano. “Mother earth” è una sorta di “raga del XXI secolo”, ipnotico e psichedelico, con un sitar che detta le regole dell’intera traccia; altra ballad surreale, stralunata, alienante è “Past days”, retta da chitarra acustica e Mellotron ma impreziosita da campionamenti disseminati qui e là.

Il discorso si fa un po’ più complesso con la “Interchange station”, quella che la band chiama la “stazione di interscambio”, attraverso la quale, come in uno svincolo ferroviario, l’ascoltatore deve scegliere quali saranno gli umani destini attraverso una decisione variabile tra tre potenziali tracce conclusive, intitolate “Hell”, “Purgatory” ed “Heaven”. Il primo di questi tre brani, in ordine come li abbiamo menzionati, è più “serrato” come ritmiche, il secondo è più sinfonico e dominato da grandi evoluzioni chitarristiche, l’ultimo sembra quasi rappresentare un po’ una somma dello stile della band.


M.E.N.

Marco Grieco a.k.a. MaCRoMaRCo

Vincenzo "Enzo" Lardo a.k.a. 240bpm

Nicola "Nick" Cruciani a.k.a. Flavour

Marco Grieco: vocals, piano, keyboards, bass, drums, electric and acoustic guitars, sitar, orchestral arrangements, vocoder, choirs, sounscapes;

Vincenzo Lardo: vocals, electric and acoustic guitars, keyboards, programming, choirs;

Nicola Cruciani: vocals, electric guitars, lap steel guitars, loops, choirs.






giovedì 21 novembre 2024

RocKalendario del secolo scorso – Novembre, di Riccardo Storti

 


RocKalendario del secolo scorso – Novembre

di Riccardo Storti

 

1954 – 19 novembre. Il ventinovenne Sammy Davis Jr., crooner sulla cresta dell’onda, è coinvolto in un incidente d'auto sulla Route 66 all’altezza di San Bernardino, mentre sta viaggiando tra Las Vegas e Los Angeles. La forza dell'impatto gli distrugge l'occhio sinistro dopo che il suo volto si è schiantato contro il volante metallico della Cadillac nuova di trinca. Sammy porterà una benda per un po' di tempo: sarà Humphrey Bogart a convincerlo a sottoporsi ad un intervento per farsi impiantare una protesi oculare. Di fronte alla titubanza dello showman, Bogart sbottò: “Tu non vuoi diventare famoso come il ragazzo con la benda, no?”. L’imprevedibile Sammy, durante la degenza ospedaliera, attraversò una crisi spirituale che lo portò a convertirsi all’ebraismo.

E pensare che nel 1954 aveva mietuto successi con Something's Gotta Give, Love Me or Leave Me e That Old Black Magic, scalando le classifiche degli States.

Link: https://www.youtube.com/watch?v=FxJHmNWsKgk


1964 – È il 24 novembre, quando gli High Numbers decidono di mutare definitivamente il loro nome in The Who e lo fanno in occasione di un tour londinese che vede come prima tappa il prestigiosissimo palcoscenico del Marquee. In realtà va precisato che questa data è la prima di una lunga permanenza nel locale che durerà ben 16 settimane. Inutile aggiungere che i ragazzi si fanno conoscere subito, in particolare modo quel chitarrista nasuto e talentuoso che, tra le ovazioni dei presenti, di tanto in tanto riduceva in frantumi qualche chitarra. 

Insomma, per Townshend, Daltrey, Entwistle e Moon tutto esaurito, ma idem dicasi per le finanze del management che dovette ripagare non pochi danni.

Link video: https://www.youtube.com/watch?v=BxCLyY9-Tuw


1974 – Erano le prime ore dell’alba del 25 novembre, quando Nick Drake fece un salto in cucina, forse per una micro-colazione di cereali, quel minimo per variare un’insonnia che sarebbe stata calmata dalle solite pillole di amitriptilina; ma quella volta la dose aveva superato i livelli di guardia, tanto che il ragazzo non si sarebbe più svegliato. Fu suicidio o fu un errore? Se ne parla ancora oggi e le tesi, spesso, sono contrastanti tra di loro. Il povero Drake lottava ormai da tempo contro una depressione profonda, testimoniata spesso all’interno delle sue liriche tanto struggenti, quanto ricche di umana tenerezza. Il suo ultimo album Pink Moon era uscito da oltre due anni e Drake si era allontanato da tutto e da tutti; secondo qualcuno aveva rinunciato alla vita già da un bel po’.

L’ultimo saluto il 2 dicembre nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Tanworth-in-Arden: una sparuta folla di una cinquantina di persone, tra cui diversi suoi collaboratori che si sarebbero incontrati lì per la prima volta; sì, perché Nick amava tenere distanti tra loro le sue relazioni.

Link video: https://www.youtube.com/watch?v=Vdl-C09MStg


1984 – Londra, Notting Hill, 25 novembre: la Band Aid entra in sala per registrare Do They Know It's Christmas?. L’idea del supergruppo venne a Bob Geldof e a Midge Ure (Ultravox) con lo scopo di creare una canzone natalizia per raccogliere fondi in favore della popolazione etiopica, vessata dalla fame. Il passo successivo – ce lo ricordiamo bene – sarà il Live Aid. Ma chi c’è negli SARM Studios a dare man forte al progetto? Beh, il meglio del mainstream pop-rock delle isole britanniche: un ponte tra Irlanda e Regno Unito che vede a cantare e suonare insieme componenti degli U2, Duran Duran, Spandau Ballett, Paul Young, Boy George, Ultravox, Police (Sting), Genesis (Collins), Heaven 17, Kool and the Gang, Bananarama, Status Quo, The Style Council, Paul McCartney e altri ancora. La canzone uscirà il 7 dicembre e dal successo arriveranno nelle casse di Geldof e compagni oltre 8 milioni di sterline in beneficenza. 

All’epoca il compianto Ernesto Assante scrisse un brillante corsivo su La Repubblica da rileggere tutto d’un fiato (leggi qui).  

Link video: https://www.youtube.com/watch?v=j3fSknbR7Y4


1994 – Fu la prima volta che sentii la parola “unplugged”. Kurt Cobain se n’era andato ad aprile; proprio a seguito di quell’evento funesto MTV mandò più volte in onda il concerto tenuto 18 novembre 1993 dai Nirvana nei Sony Studios di New York e trasmesso nel contenitore MTV Unplugged. L’eco della scomparsa continuava ad aleggiare tra i fans, così la label Geffen decise di fare uscire il 1° novembre 1994 MTV Unplugged in New York, primo album live dei Nirvana. 

Il disco ebbe un successo planetario da capogiro tanto che, al di là delle vendite alle stelle, questo lavoro si guadagnò dischi d’oro e di platino in numerosi paesi del mondo. E – diciamolo – lanciò anche la moda degli “unplugged”.

Link video: https://www.youtube.com/watch?v=IAp6bQfTQ20

 


Wazza, come ogni 21 del mese, ricorda Francesco Di Giacomo


"Se vuoi qualcosa che non hai mai avuto,

devi essere pronto a fare qualcosa che non hai mai fatto".

(Thomas Jefferson)

21 novembre

Ci sarai sempre. Buon viaggio capitano!

Wazza

 

Ricordo di Giancarlo Varvo 

Un ricordo di Francesco Di Giacomo.

Uno dei tanti giovedì pomeriggio del 1974,

Passando da Capolea (mitico bar sotto i Palazzi Federici) 

vedo Francesco dall'alto degli scalini del bar, che mi grida a distanza: 

 Gianca! Che devi fa' sto fine settimana?

Non ho programmato niente, perché?

Vatte a prende du panni che Annamo a Riccione.

A France' con che annamo? C'è famo presta' il ferro da stiro da Ennumi (Franco Rosalia)

(Citroen Pallas crema e marrone) e chi guida io non ho patene, te stai peggio di me!

Nun te preoccupa,' abbiamo l'autista, Fabio, il fratello di Ennumi.

Annamo bene!

 

Di quei viaggi ne abbiamo fatti diversi, di giorno, di notte.

Quante cazzate abbiamo detto e quante mangiate.

Ormai l'equipaggio era collaudato.

Proprio in quei viaggi ebbi il piacere di conoscere Tiziano Ricci, che mai potevo pensare che in futuro sarebbe diventato un componente del Bancodi grande spessore.

Francesco continua a mancarci per tanti motivi...



mercoledì 20 novembre 2024

SUBMARINE SILENCE - "Atonement of a former sailor turned painter", di Valentino Butti

 


SUBMARINE SILENCE - Atonement of a former sailor turned painter

Ma.ra.cash records     

2024-ITA

Di Valentino Butti

 

A distanza di quattro anni dal precedente “Did swans ever see God?”, eccoci nuovamente a parlare dei Submarine Silence, uno dei numerosi progetti di Cristiano Roversi (Moongarden, Il porto di Venere, Catafalchi del Cyber, Lanzetti & Roversi… solo per rimanere in ambito prog). “Atonement of a former sailor turned painter”, questo il titolo dell’album, vede impegnati, oltre a Roversi (organo, piano, mellotron, tastiere, pedali bassi), il cantante Guillermo Gonzales, il chitarrista David Cremoni (entrambi “sottomarini” di lungo corso), l’altra vocalist Manuela Milanese (ospite già nell’album precedente) ed una sezione ritmica nuova di zecca con Marco Croci (Maxophone e Julius Project) al basso e Maurizio Di Tollo (già nei Moongarden, La maschera di Cera, Hostsonaten; ora Il porto di Venere e due album da solista all’attivo) alla batteria (e percussioni). L’immancabile, splendido, artwork di Ed Unitsky, fa da corollario al tutto. Mai come in questa occasione le abbondanti note di copertina (oltre alle liriche) sono necessarie per capire la storia di “Atonement…”. E, proprio dalle spiegazioni, mi farò aiutare per addentrarmi nei quarantacinque minuti dell’album (prevista pure la pubblicazione in formato LP). Un lavoro a tema, ma non solo. I vari brani sono come capitoli di una storia che si svolge in luoghi marittimi immaginari e senza tempo, ed ogni brano è pure un bozzetto, un quadro, con riferimenti sia letterari che cinematografici. In aggiunta, le liriche sono precedute da ulteriori osservazioni che specificano ed ampliano le vicende narrate ed il “viaggio” che sottintendono. Non ci soffermeremo più a lungo su queste ulteriori note, per non appesantire queste righe, ma ne avremmo gradito anche la versione in italiano.

Quattro sono i brani che compongono l’opera a cui si aggiunge la bonus-track “Zena”, presente nella sola versione in CD. Si inizia con “Majestic Whales” (che riprende e “stravolge” un brano di Anthony Phillips presente su “Sail the world” del 1994), uno splendido strumentale “liquido”, con un notevole “guitar-solo” di Roine Stolt (The Flower Kings), batteria possente ed atmosfere “genesisiane” molto spiccate (quelle dei brani più potenti di “A trick of the tail” per intenderci).

Una bordata ritmica e di hammond ed è subito “Les mots que tu ne dis pas”, la seconda traccia. Iniziamo ad apprezzare la voce di Guillermo Gonzales, il sound è sempre incalzante e la chitarra di Cremoni pare rivaleggiare con le tastiere di Roversi, mentre la sezione ritmica ci dà dentro che è un piacere. Poi tutto si placa per lasciare spazio anche alla voce di Manuela Milanese e al “solo” di Cremoni che ci conduce al finale. Ma non c’è tregua.

È la volta di “Limbo of the rootless”: chitarre arpeggiate, la voce della Milanese, poi cresce l’intensità, si inserisce anche Gonzales ed inizia un’epica, vorticosa, cavalcata strumentale con una ritmica davvero spumeggiante. Il cantato diventa ancora più enfatico, le digressioni ritmiche sempre più articolate e spericolate.

Il finale è per sola voce (Manuela) e chitarra arpeggiata. La suite, nonché title track, chiude l’album “ufficiale”: ventuno minuti di grandissimo progressive rock d’annata. Il vertice assoluto, ad oggi, della produzione della band. E’ presente un impianto melodico di prim’ordine, con le due voci ed i cori davvero superbi; ci sono repentini sbalzi di umore musicale con le atmosfere acustiche e pastorali che si fondono con quelle decisamente rock; ci sono gli squarci sinfonici che conciliano i “vecchi maestri” seventies con il new prog del decennio successivo; ci sono le trame ritmiche articolate e la “semplicità” di qualche arpeggio della sei corde; ci sono, infine, le “grandeur orgiastiche” di un suono pieno e dirompente frutto (anche) di una qualità di registrazione ottimale. Insomma, se la parola “capolavoro” è sempre impegnativa (e non a tutti concesso l’uso…), mi permetto questa volta di “spenderla” senza esitazioni. La versione CD, come anticipato, comprende pure “Zena”: tre minuti di struggente malinconia, nati da un’idea melodica di Sergio Lattuada, tastierista dei Maxophone, scomparso qualche anno fa, che i Submarine Silence hanno completato e pubblicato come doveroso omaggio.

“Atonement of a former sailor turned painter” si candida prepotentemente come disco progressive italiano dell’anno e sicuramente sarà tra i protagonisti dell’”Arlecchino Azzurro”, sondaggio indetto (assieme all’”Arlecchino Doro”, scritto così) dalla storica Webzine “Arlequins” e che premia l’album italiano e straniero che più è piaciuto ai membri del forum.





martedì 19 novembre 2024

RAVEN SAD - "Polar Human Circle"- Commento di Luca Paoli

 


RAVEN SAD

Polar Human Circle

AMS Records | BTF Vinyl Magic

7 tracce - 56.36 min.

Edizione cd papersleeve

Di Luca Paoli

 

I Raven Sad, band italiana di progressive rock con influenze psichedeliche, raggiungono il traguardo del quinto album in studio con Polar Human Circle. Questo nuovo lavoro non solo conferma la qualità delle loro precedenti produzioni, ma rivela anche una maturità artistica che li posiziona tra le realtà più interessanti del nuovo prog italiano ed internazionale.

La band impegnata nell’opera vede Samuele Santanna alle chitarre, Marco Geri al basso, Fabrizio Trinci alle tastiere e voci, Francesco Carnesecchi alla batteria e Gabriele Marconcini alla voce solista. Ad aiutarli troviamo anche Morgana Bartolomei ai cori, Andrea Benassai al pianoforte Alessandro Drovandi alla tromba e Karoline Gierymski speaker.

La band di Santanna qui sfiora la perfezione, se non la raggiunge pienamente, proponendo un progressive rock moderno, ricco di idee e suonato in modo impeccabile.

Le liriche, cantate in inglese, ruotano attorno al tema del lato sociologico dell’essere umano, con gli autori che esprimono una speranza nella salvezza dell’umanità, oggi incamminata su un percorso quantomeno preoccupante.

Quindi l’attualità dei testi si sposa perfettamente con quella della musica che, partendo, dal prog dei Pink Floyd, Genesis, Marillion e Porcupine Trees (solo per fare qualche esempio) arriva, in modo molto personale ai giorni nostri.

La melodia regna sovrana in ogni brano, caratterizzando il lavoro in modo estremamente personale, grazie anche agli ottimi arrangiamenti e alla notevole perizia tecnica dei musicisti.

Un disco che va assaporato con la giusta tranquillità, seguendo tutte le tracce dalla prima all’ultima così da entrare meglio nel mondo dei Raven Sad.

Vi assicuro che non ci si annoia; al contrario, ci si innamora del lavoro delle tastiere, della chitarra, che si distingue con assoli irresistibili senza mai eccedere, e della sezione ritmica, precisa e versatile.

Se dovessi scegliere delle tracce tra le sette presenti, menzionerei “Andenes”, che apre l’album con il pianoforte e la bella voce di Gabriele Marconcini. È una ballata intensa e malinconica, resa ancor più magica dalla chitarra lirica e profondamente ispirata di Santanna.

Come non citare la muscolare “The Obsidian Mirror” che sa anche accarezzare – sempre con la chitarra a marchiare a fuoco il brano.

Non posso non citare il fiore all’occhiello dell’album: la suite finale “Polar Human Circle”. Con i suoi 27 minuti, suddivisi in sei movimenti, è un brano che da solo vale il prezzo del biglietto. Qui si trova tutta l’essenza dei Raven Sad: melodia, cambi di tempo ed umori, anche un filo di jazz che male certo non fa, un magnifico lavoro all’organo e alle tastiere, chitarre sempre al top e una sezione ritmica che sottolinea e sigilla i vari mood del brano.

In conclusione, questo è il prog del nuovo millennio: un genere in cui le radici storiche fungono da trampolino di lancio per nuove avventure, audaci e perfettamente calate nei nostri giorni. Se amate il prog e non siete "regressive", questo è un disco che non potete lasciarvi sfuggire.

Buon ascolto.




lunedì 18 novembre 2024

Racconti sottoBanco: la "Carovana del Mediterraneo"

                                                                  
Racconti sottoBanco

Il 18  novembre 1978 la "Carovana del Mediterraneo" fa tappa a  Roma, Palazzo dello Sport. Lo spettacolo è del tipo itinerante, con Angelo Branduardi ed il Banco del Mutuo Soccorso, Maurizio Fabrizio, Alan King...
Buona parte del set di Branduardi con il Banco venne pubblicata nel 1980 sul triplo album "Concerto”…
 Wazza


La “Carovana del Mediterraneo” fu un progetto musicale ideato da Angelo Branduardi alla fine degli anni '70, realizzato da David Zard con la collaborazione di Alberto Pugnetti e consistente in due tour europei tenuti insieme ad altri artisti che, oltre all'Italia, toccarono Paesi come la Francia e la Germania Ovest (il muro non era ancora crollato - ndr).

La prima edizione si tenne nella stagione 1978-1979; ad essa parteciparono, oltre ad Angelo Branduardi (al suo debutto in tour in Europa), alcuni artisti con cui aveva collaborato in passato, come il Banco del Mutuo Soccorso (Branduardi aveva suonato il violino nell'album "Come in un'ultima cena" e aveva scritto i testi per la versione inglese "As in a Last Supper"); LUIGI LAI, celebre maestro sardo di launeddas (che aveva suonato nell'album "La pulce d'acqua"); Maurizio Fabrizio (da tempo collaboratore di Branduardi) e Felix Mizrahi (famoso violinista egiziano accompagnato dal suo gruppo etnico). Le prime date si tennero in Italia; il tour proseguì poi all'estero, in Gran Bretagna, Francia, Germania Ovest, Svizzera e Belgio".
Il set di Angelo Branduardi proviene direttamente dal triplo LP ufficiale "Concerto", pubblicato dalla Polydor nel 1980. Proprio su questo album sono presenti sette tracce tratte dal concerto di Verona del 15 settembre1978 con la “Carovana del Mediterraneo”.


Alphataurus a La Casa di Alex il 9 novembre: commento di Max Polis



Concerto Alphataurus 09/11/24

Di Max Polis

 

Sabato 9 novembre abbiamo fatto una trasferta da Roma a Milano per assistere al concerto degli Alphataurus, finalmente di nuovo attivi anche dopo la scomparsa del chitarrista Guido Wassermann.

Eravamo contenti di poter essere lì, a La Casa di Alex, per assistere alla loro performance e sentire dal vivo il loro nuovo lavoro di recente uscito, 2084: Viaggio nel nulla. Ma lo siamo stati ancora di più nel vedere quanta gente era accorsa all'evento! Sala piena, tutte le sedie occupate e pure gente in piedi! Tra l'altro questo fa ben sperare per la prosecuzione della stagione concertistica nel posto, che chi lo gestisce dia modo a Fico Piazza e gli altri di poter ospitare un concerto Rock Prog al mese.

La formazione degli Alphataurus, visto il tempo impietoso che è passato, dei membri originali fa rimanere solo Pietro Pellegrini all'organo, ma ormai lo sappiamo: questa è una cosa abbastanza comune tra i gruppi Prog risorti dagli anni '70. I cinque membri sono comunque affiatati e hanno saputo tirare fuori ottima musica dai loro strumenti, compresa l'intera performance dell'ultimo lavoro, che va ascoltato tutto assieme da bel concept qual è.

Il concerto però non si è limitato solo a 2084: ha anche ricordato diversi grandi pezzi dal passato Alphataurus, come Peccato d'orgoglio all'inizio e la grandissima La mente vola in finale di serata. Come abbiamo detto, è stato un gran bel concerto che non ha certo deluso gli spettatori, nella lunga attesa di poterli rivedere ancora a Veruno 2025.

Al fine serata, dopo aver salutato gli stanchi artisti, abbiamo parlato col creatore del concept e dei testi, Carlo Guidotti. Gli abbiamo fatto i complimenti per come sia riuscito a rendere in parole degli argomenti così attuali e difficili da trattare con efficacia, e lui ci ha rivelato che in realtà questo è solo il primo capitolo della storia. Ci sono già delle tracce lasciate da Wasssermann e lì si parlerà del viaggio intrapreso dai terrestri per scappare da un mondo che hanno reso inabitabile. Non mancheranno sorprese.

Nell'attesa però ci godiamo questo album, uscito i primi di ottobre per AMS, tra l'altro anche in una confezione vinilica di pregio, piegata in tre parti.




domenica 17 novembre 2024

Franco Mussida ricorda Pete Sinfield


SINFIELD-IL FIUME DELLA VITA


Lo scrivo o non lo scrivo? Lo scrivo! Mi faccio qualche scrupolo perché devo citare il “Bimbo del Carillon”, un libro appena pubblicato in cui si cita Pete Sinfield.

Flavio Premoli è sempre stato un amico di poche parole. “Ciao ricevuto libro. Grazie. Purtroppo, morto SINFIELD.” Certe coincidenze a volte ti lasciano a bocca aperta.

Con Pete Sinfield abbiamo condiviso l’esaltante esperienza di “Photos of Ghosts” e la creazione di un piccolo gioiello musicale che ha aiutato la PFM a farsi strada nel mondo: River Of life. Una Musica scritta a quattro mani proprio con Flavio. Una Musica uscita senza patemi, con naturalezza, con dolcezza, con immaginazioni musicali che Pete Sinfield ha saputo esaltare con la sua poesia visionaria e passionale.

Se il testo di Mauro, Mauro Pagani (Appena un po’) era una riflessione, il desiderio di lasciare questa nostra problematica realtà per cercare un mondo migliore, Sinfield ha provato a raccontarne il viaggio. Lo ha fatto con un ispirato parallelismo quanto mai attuale, che ci ricorda che siamo “Uno” con il Pianeta. Un viaggio in cui ci siamo tutti, gente di ieri, di oggi e di domani. Un viaggio che ciascuno fa con la sua propria barca. Un viaggio nel fiume della Vita, tra le meraviglie naturali, e le conseguenze nefaste del prevalere di una presunzione autolesionista che genera veleni, guerre, che si manifesta infischiandosene del pianeta che ci ospita.

Come si sa ogni viaggio ha un inizio e una fine. Il viaggio di River of life, del fiume della vita, inizia con l’acqua, il diluvio, la pioggia che rompe le rocce, pervade pianure, crea fiumi e cascate. Il viaggio di ogni bimbo è il suo specchio. In questa sfera di vita siamo come piovuti dal cielo. Si procede sulla Terra tra lacrime di gioia e di dolore. Il brano termina con una frase: “…Dimentica il dolore. Dalla pioggia... alla pioggia...! La fine del viaggio non è certamente lontana...”.

Per te ne inizia un altro di viaggio.

Grazie Pete per quell’intenso, magico profumo di poesia che ci hai lasciato in dono.

Franco Mussida





sabato 16 novembre 2024

Alex Carpani – “The Good Man”, di Alberto Sgarlato

 


Alex Carpani – “The Good Man” (2024) 

Uscita prevista per il 6 dicembre

Commento di Alberto Sgarlato

 

Questo 2024 “tutto d’oro” per il rock progressivo italiano, sia in termini di quantità, sia di qualità delle uscite, va degnamente verso la sua conclusione con l’uscita dell’ottavo album per Alex Carpani (se contiamo nella discografia anche l’unico titolo a nome del progetto Aerostation).

Il tastierista e cantante italo-francese, nato in Svizzera e da lungo tempo ormai residente a Bologna (città che lo vede impegnato, oltre che nella musica, in molteplici progetti culturali ben radicati sul territorio), ci aveva abituato in passato a dischi caratterizzati da un denso numero di collaborazioni, sia estere (David Cross, Theo Travis, David Jackson, solo per citare alcuni esempi), sia legate al panorama progressivo italiano (Lanzetti, Tagliapietra, Vairetti).

Deciso cambio di rotta, questa volta: infatti, in questo suo ottavo album, dal titolo “The Good Man”, non troviamo grandi interventi di ospiti esterni ma, al contrario, una formazione ben consolidata. Il leader e compositore con le sue tastiere simula anche chitarre, bassi e partiture orchestrali grazie all’ausilio dei sempre più efficaci e fedeli VST (Virtual Studio Technologies, strumenti “virtuali” caricati sul computer sotto forma di immense “librerie” di suoni e pilotati attraverso l’esecuzione sulla tastiera).

Accanto a lui troviamo, in ordine alfabetico: Alessio Alberghini (sax soprano), Emiliano Fantuzzi (chitarre), Bruno Farinelli (batteria), Giambattista Giorgi (basso) e la cantante mezzosoprano Valentina Vanini.

E poi troviamo un batterista decisamente molto noto nel circuito musicale (non solo progressivo) italiano: è Gigi Cavalli Cocchi, che però in questo album non suona ma cura l’elegante e raffinata veste grafica.

Veniamo a “The Good Man”… Come lo si potrebbe definire? Con un termine un po’ azzardato si potrebbe coniare la qualifica di “doppio concept album”. L’opera infatti è strutturata come due lunghe suites distinte, della durata di 28 minuti ciascuna, che viaggiano su binari paralleli, diventando così ciascuna una piccola “opera rock” a sé stante. Tuttavia, nei due “concept”, si possono percepire dei punti di contatto comuni a fare da legante.

Infatti, se il primo titolo, “Amnesiac”, esplora quel senso di vuoto, di disorientamento, di smarrimento legato alla perdita di memoria, il secondo titolo esplora altre forme di vuoto, disorientamento, smarrimento: quelle di chi si trova al cospetto della contrapposizione tra bene e male. “Good and evil” è, appunto, il titolo di questa seconda suite.

Il male è spesso frutto dell’obnubilazione della memoria, “Chi non conosce la storia è destinato a ripeterla”, diceva il filosofo Santayana; “Una generazione senza storia non ha passato né futuro”, diceva lo scrittore Robert A. Heinlein. E in questi scenari così apocalittici dentro e attorno la mente umana, “il buon uomo” si ritrova a essere, nelle parole di Carpani, “una barchetta di carta alla deriva”.

Come due veri e propri “concept album” racchiusi in un solo disco, le due suites possono essere ascoltate come se fossero ciascuna formata da nove brevi brani indipendenti e collegati, per un totale quindi di 18 titoli.

Amnesiac” parte con l’incedere di un treno (il titolo è appunto “On a train”) che genera un’atmosfera inquietante, basata su effetti sonori e rumorismo; questa introduzione deflagra poi in “Perfect chaos”, brano dal riff e dalla struttura orientali al metal-prog, che si apre in belle parti vocali fortemente melodiche e dal sapore epico; un ritorno alle rarefazioni dell’intro e alle atmosfere basate su effetti e rumori in “Flashbacks”, brano che lentamente cresce, sorretto da un bell’arpeggio chitarristico, nel quale si possono apprezzare anche le doti vocali della mezzosoprano Valentina Vanini. Piccoli tocchi di percussioni sintetiche dai suoni industriali ci introducono in “The edge of my mind”, altro brano che attraverso un percorso di “stratificazione” cresce da un inizio quasi ambient fino a una serie di evoluzioni energiche e corpose. E qui il Minimoog di Carpani la fa da padrone con i suoi poderosi interventi solisti, ben sorretti da un gran lavoro di un Hammond dal sapore hard-rock, di una chitarra pesantemente distorta e della ineccepibile sezione ritmica.

Diamond in the rough” inizia come una ballad di neo-prog dalla vena quasi cantautorale, ma anche in questo caso cresce verso un epico ritornello cantabile. Il tutto ci conduce ad aperture strumentali a base di riff corposi e Minimoog incandescente. “Past life” si apre con un gran lavoro di orchestra d’archi (i famosi “virtual instruments” di cui parlavamo all’inizio). L’entrata della voce femminile conferisce al tutto un “mood” da colonna sonora di un vero epic movie. “Heart calling” si apre ancora con i vocalizzi lirici, mentre le orchestrazioni aprono poi la strada al sax e da parte loro i due esponenti della sezione ritmica, l’Hammond e la chitarra riportano nuovamente tutto su territori più hard. “As light returns” è una parentesi di world music elettronica tra Peter Gabriel e gli Shadowfax, con il sax soprano in bella evidenza, loop percussivi e tappeti orchestrali, il tutto squarciato da uno struggente assolo di chitarra. La suite termina con “End of the day”, sorretta dai temi arpeggiati del sintetizzatore, che infine lasciano spazio alla voce femminile e alle orchestrazioni di gusto elettronico/sinfonico.

La seconda suite, “Good and Evil”, si apre con l’effetto vecchia radio di “Lost frequencies” per poi iniziare a prendere forma in modo vero e proprio con “The flow”, elegante traccia tra new-prog, post-rock e indie-rock dall’approccio diretto e incisivo. “PTSD” vede uno splendido arrangiamento di voci maschili e femminili che si intrecciano su partiture orchestrali, per poi virare nuovamente verso lidi più hard rock. “Stillness and ecstasy” è un ritorno a quei momenti “da colonna sonora”, con loop ritmici, archi, voce femminile e sax in bella evidenza. “Flirting with darkness” è uno dei momenti più “cattivelli” del disco, che farà scrollare la testa a più di un headbanger! Anche quando il “pienone” si attenua, lasciando spazio solo a sintetizzatori acidi e alla cassa che “pesta” in 4/4 il brano non perde un’oncia della sua tensione emotiva. Belli i cambi di tempo da momenti estremamente “quadrati” ad altri dispari.

Mystical” contiene un campionamento del discorso di insediamento del Papa attualmente in carica, Francesco I, contestualizzato in uno dei momenti più corposamente sinfonici dell’intero album.

Organi liturgici, voci liriche, cori ecclesiastici, ottoni squillanti, tappeti di archi… Non manca proprio nulla.

Leaving the path” è un trait-d’union tra i temi più “hard” e quelli più avvolgenti e melodici dell’album. “Masquerade” ci riporta a quel gusto “etnico” che a tratti fa capolino nell’intera opera. E ci congediamo con “Everything falls into place”, pronta a infondere il giusto “tiro” che ci si aspetta da un gran finale.

Concludendo: Alex Carpani è un compositore “a tutto tondo” difficilmente catalogabile ed archiviabile. Nella sua cifra stilistica confluiscono suggestioni che spaziano dal progressive rock alle espressioni più moderne del vasto universo metal, dall’elettronica alla fusion, dalla world music alla musica accademica, sia essa più sinfonica o più cameristica. E proprio in questo sta la sua forza.

 

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