"Non sono che uno dei tanti che sa
suonare un po' la chitarra. So scrivere un po'. Non credo di saper fare nulla
particolarmente bene, ma credo che, in un certo senso, sia necessario che io
sia esattamente così".
(George Harrison, 1971)
“Nell'insieme non avrebbe proprio
importanza se non avessimo mai fatto dischi o cantato una canzone. Non è
importante quello. Quando muori avrai bisogno di una guida spirituale e di una
conoscenza interiore che vada oltre i confini del mondo fisico. Con queste
premesse direi che non ha molta importanza se sei il re di un paese, il sultano
del Brunei o uno dei favolosi Beatles; conta quello che hai dentro. Alcune
delle migliori canzoni che conosco sono quelle che non ho scritto ancora, e non
ha neppure importanza se non le scriverò mai perché sono un niente se paragonate
al grande quadro.”
Compie gli anni oggi, 27 novembre,Daryl Stuermer, chitarrista bassista, noto come “musicista itinerante”, nei Genesis e con Phil Collins solo.
Ha un’importante discografia da solista, oltre agli artisti sopracitati ha collaborato anche con Jean-Luc Ponty, George Duke…
Happy Birthday!
Wazza
October
1982 after the Six of the Best reunion concert: Steve Hackett, Peter Gabriel,
Mgr. Tony Smith, Mike Rutherford, Phil Collins, Tony Banks, and Daryl Stuermer
with the kids Tom Rutherford, Chris Smith, Kate Rutherford, and Ben Banks
From
left to right - Luis Conti (percussion), Brad Cole (keyboards), Nathan East
(bass), Phil Collins (the man himself), Daryl Stuermer (guitar), Gerald
Albright (sax)
Questo è il risultato, un po’ come sfogliare ed ascoltare il
lavoro. Ovviamente la playlist è completa e segue l'ordine di ascolto se si ha
un abbonamento. Per la gestione libera i brani verranno proposti random, con inserimento della pubblicità.
Miley Cyrus afferma che il suo
prossimo album è stato ispirato dai Pink Floyd: "La mia idea era di
realizzare The Wall, ma con un guardaroba migliore e più glamour"
"È stato ispirato da The Wall dei Pink Floyd",
racconta Miley Cyrusad Harper's Bazaar, sostenendo di aver visto il film
The Wall da adolescente, facendo cosplay per la proiezione noleggiando una
limousine, fumando erba e indossando una pelliccia in stile anni '70. "Ci
siamo davvero buttati", dice.
Il film ha lasciato il segno e ora Cyrus, che descrive la sua
prossima raccolta come "un concept album che è un tentativo di curare
una cultura in qualche modo malata attraverso la musica", si spinge
ancora oltre.
"La mia idea era di realizzare The Wall, ma con un
guardaroba migliore e più glamour e pieno di cultura pop", dice.
"Vorrei essere una psichedelica umana per le persone. Non voglio che
nessuno provi a essere come me o a imitarmi o anche solo a essere ispirato da
me. Voglio avere un impatto sulle frequenze nel tuo corpo che ti fanno vibrare
a un livello diverso".
Cyrus, che ha realizzato una cover di Wish You Were Here
dei Pink Floyd durante lo show SNL At Home durante il lockdown nel 2020, ha un
curriculum rock in continua crescita che include la collaborazione con i Def
Leppard su una versione di Photograph, una versione di Faithfully dei
Journey, una cover di Say Hello 2 Heaven dei Temple Of The Dog al
concerto tributo a Chris Cornell nel 2019 e cover di Metallica e Nine Inch Nails a Glastonbury nel 2022.
Purtroppo, la sua promessa di pubblicare un album di cover
dei Metallica non si è ancora concretizzata
I M.E.N.
sono, più che una vera e propria band, una sorta di “collettivo”, dal momento
che i tre componenti che ne fanno parte non sono assegnati a ruoli rigidi ma si
alternano tutti alla voce e a molteplici strumenti.
Questo loro album, intitolato “Spillover”, è una critica alla società
attuale, travolta da una serie di situazioni (dal consumismo ai social network)
che l’uomo non è evidentemente pronto a gestire.
Mettiamo un attimo da parte la musica e
facciamo un excursus di valore storico, scientifico e sociale: il termine
“Spillover” è stato adottato in primis nel mondo dell’epidemiologia e indica
quello che in italiano viene chiamato “il salto di specie”. Non è proprio così
facile da spiegare, ma facciamo un esempio immediatamente comprensibile a
tutti: il Coronavirus si dice che sia stato passato dal pipistrello all’uomo:
in quel momento è avvenuto un “salto di specie” che ha scombussolato (e non di
poco) le nostre abitudini e la nostra quotidianità.
Lo “Spillover” dei M.E.N. è più “metaforico”
e parla di abitudini e quotidianità continuamente scosse da mutamenti sociali,
tecnologici, politici ai quali non siamo preparati.
Marco Grieco a.k.a. MaCRoMaRCo
Vincenzo "Enzo" Lardo
a.k.a. 240bpm
Nicola "Nick" Cruciani
a.k.a. Flavour
Per rendere al meglio questa sensazione di
alienazione e di caos, i tre musicisti sono ricorsi a tecniche di registrazione
molto complesse, che valorizzassero ogni sfumatura, ogni ampiezza ambientale,
ogni suono che attraversa lo spettro. E, in effetti, ascoltando l’album
rigorosamente in formato WAV, senza compressioni e senza perdite di dati,
passando attraverso una scheda audio semiprofessionale e delle cuffie che
ripropongono un ascolto neutro, senza eccessive frequenze basse (come è
tristemente di moda oggi), tutti accorgimenti che il sottoscritto ha avuto, si
rimane colpiti dalla qualità dell’incisione e della produzione.
Difficile, ovviamente, etichettare, il mondo
sonoro dei M.E.N.: l’elettronica è elemento-cardine, ma è filtrata attraverso
una forte sensibilità dei musicisti, che con interventi chitarristici che
potremmo definire “gilmouriani” e lunghi tappeti tastieristici di stampo
romantico, portano le coordinate verso un rock di gusto più classico.
Alla fine, elettronica, down-tempo, trip-hop,
tanta neopsichedelia (ricordate i Porcupine Tree di “Up the downstair”, per
esempio?) e certo new-prog sinfonico, convivono in questo prodotto sicuramente
elegante e ben confezionato.
L’opening affidata a “World wide weird”,
con un sottile gioco di parole, descrive le insidie del web e le trasmette
sotto forma di un grande e coinvolgente “circo sonoro” all’ascoltatore; “Everything”
è un riuscito connubio tra alternative-rock e interpretazione vocale tra
recitato, enfasi teatrale e rap, seppur con armonie vocali debitrici della più
classica psichedelia; “Human eclipse” è una delle tracce più cupe
e più giocate su atmosfere rarefatte dell’intero lotto; atmosfere che sembrano
quasi capovolgersi totalmente nel dream-pop lo-fi di “Present days”; “Mouths”
riporta all’effettistica della opening e all’alt-rock della successiva “Everything”,
ma con un ancor maggiore afflato orchestrale; in mezzo a tanta pienezza di
suono, risulta spiazzante una ballad come “Keeping safe”, dal
sapore quasi barrettiano, una ninna nanna stralunata, un po’ dolce e un po’
angosciante; tutto ovviamente cambia di colpo con “Broken kite”, che
invece è uno dei brani più hard dell’intero lotto, con una forte presenza
chitarristica in primo piano. “Mother earth” è una sorta di “raga
del XXI secolo”, ipnotico e psichedelico, con un sitar che detta le regole
dell’intera traccia; altra ballad surreale, stralunata, alienante è “Past
days”, retta da chitarra acustica e Mellotron ma impreziosita da
campionamenti disseminati qui e là.
Il discorso si fa un po’ più complesso con la
“Interchange station”, quella che la band chiama la “stazione di
interscambio”, attraverso la quale, come in uno svincolo ferroviario,
l’ascoltatore deve scegliere quali saranno gli umani destini attraverso una
decisione variabile tra tre potenziali tracce conclusive, intitolate “Hell”,
“Purgatory” ed “Heaven”. Il primo di questi tre
brani, in ordine come li abbiamo menzionati, è più “serrato” come ritmiche, il
secondo è più sinfonico e dominato da grandi evoluzioni chitarristiche,
l’ultimo sembra quasi rappresentare un po’ una somma dello stile della band.
M.E.N.
Marco Grieco a.k.a. MaCRoMaRCo
Vincenzo "Enzo" Lardo
a.k.a. 240bpm
Nicola "Nick" Cruciani
a.k.a. Flavour
Marco Grieco: vocals, piano,
keyboards, bass, drums, electric and acoustic guitars, sitar, orchestral
arrangements, vocoder, choirs, sounscapes;
Vincenzo Lardo: vocals, electric and
acoustic guitars, keyboards, programming, choirs;
Nicola Cruciani: vocals, electric
guitars, lap steel guitars, loops, choirs.
1954–
19 novembre. Il ventinovenne Sammy Davis Jr., crooner sulla cresta dell’onda, è
coinvolto in un incidente d'auto sulla Route 66 all’altezza di San Bernardino,
mentre sta viaggiando tra Las Vegas e Los Angeles. La forza dell'impatto gli
distrugge l'occhio sinistro dopo che il suo volto si è schiantato contro il
volante metallico della Cadillac nuova di trinca. Sammy porterà una benda per
un po' di tempo: sarà Humphrey Bogart a convincerlo a sottoporsi ad un
intervento per farsi impiantare una protesi oculare. Di fronte alla titubanza
dello showman, Bogart sbottò: “Tu non vuoi diventare famoso come il ragazzo con
la benda, no?”. L’imprevedibile Sammy, durante la degenza ospedaliera,
attraversò una crisi spirituale che lo portò a convertirsi all’ebraismo.
E pensare che nel 1954 aveva
mietuto successi con Something's Gotta Give, Love Me or Leave Me
e That Old Black Magic, scalando le classifiche degli States.
1964
– È il 24 novembre, quando gli High Numbers decidono di mutare definitivamente
il loro nome in The Who e lo fanno in occasione di un tour londinese che vede
come prima tappa il prestigiosissimo palcoscenico del Marquee. In realtà va
precisato che questa data è la prima di una lunga permanenza nel locale che
durerà ben 16 settimane. Inutile aggiungere che i ragazzi si fanno conoscere
subito, in particolare modo quel chitarrista nasuto e talentuoso che, tra le
ovazioni dei presenti, di tanto in tanto riduceva in frantumi qualche chitarra.
Insomma, per Townshend, Daltrey, Entwistle e Moon tutto esaurito, ma idem
dicasi per le finanze del management che dovette ripagare non pochi danni.
1974
– Erano le prime ore dell’alba del 25 novembre, quando Nick Drake fece un salto
in cucina, forse per una micro-colazione di cereali, quel minimo per variare
un’insonnia che sarebbe stata calmata dalle solite pillole di amitriptilina; ma
quella volta la dose aveva superato i livelli di guardia, tanto che il ragazzo
non si sarebbe più svegliato. Fu suicidio o fu un errore? Se ne parla ancora
oggi e le tesi, spesso, sono contrastanti tra di loro. Il povero Drake lottava
ormai da tempo contro una depressione profonda, testimoniata spesso all’interno
delle sue liriche tanto struggenti, quanto ricche di umana tenerezza. Il suo
ultimo album Pink Moon era uscito da oltre due anni e Drake si era
allontanato da tutto e da tutti; secondo qualcuno aveva rinunciato alla vita
già da un bel po’.
L’ultimo saluto il 2 dicembre nella chiesa di Santa Maria
Maddalena a Tanworth-in-Arden: una sparuta folla di una cinquantina di persone,
tra cui diversi suoi collaboratori che si sarebbero incontrati lì per la prima
volta; sì, perché Nick amava tenere distanti tra loro le sue relazioni.
1984 – Londra,
Notting Hill, 25 novembre: la Band Aid entra in sala per registrare Do They
Know It's Christmas?. L’idea del supergruppo venne a Bob
Geldof e a Midge Ure (Ultravox) con lo scopo di creare una canzone natalizia
per raccogliere fondi in favore della popolazione etiopica, vessata dalla fame.
Il passo successivo – ce lo ricordiamo bene – sarà il Live Aid. Ma chi c’è
negli SARM Studios a dare man forte al progetto? Beh, il meglio del mainstream
pop-rock delle isole britanniche: un ponte tra Irlanda e Regno Unito che vede a
cantare e suonare insieme componenti degli U2, Duran Duran, Spandau Ballett,
Paul Young, Boy George, Ultravox, Police (Sting), Genesis (Collins), Heaven 17,
Kool and the Gang, Bananarama, Status Quo, The Style Council, Paul McCartney e
altri ancora. La canzone uscirà il 7 dicembre e dal successo arriveranno nelle
casse di Geldof e compagni oltre 8 milioni di sterline in beneficenza.
All’epoca il compianto Ernesto Assante scrisse un brillante corsivo su La
Repubblica da rileggere tutto d’un fiato (leggi qui).
1994
– Fu la prima volta che sentii la parola “unplugged”. Kurt Cobain se n’era
andato ad aprile; proprio a seguito di quell’evento funesto MTV mandò più volte
in onda il concerto tenuto 18 novembre 1993 dai Nirvana nei Sony Studios di New
York e trasmesso nel contenitore MTV Unplugged. L’eco della scomparsa
continuava ad aleggiare tra i fans, così la label Geffen decise di fare uscire
il 1° novembre 1994 MTV Unplugged in New York, primo album live dei
Nirvana.
Il disco ebbe un successo planetario da capogiro tanto che, al di là
delle vendite alle stelle, questo lavoro si guadagnò dischi d’oro e di platino
in numerosi paesi del mondo. E – diciamolo – lanciò anche la moda degli
“unplugged”.
devi essere pronto a fare qualcosa
che non hai mai fatto".
(Thomas Jefferson)
21 novembre
Ci sarai sempre. Buon viaggio capitano!
Wazza
Ricordo di Giancarlo Varvo
Un ricordo di Francesco Di Giacomo.
Uno dei tanti giovedì pomeriggio del
1974,
Passando da Capolea (mitico bar sotto
i Palazzi Federici)
vedo Francesco dall'alto degli
scalini del bar, che mi grida a distanza:
Gianca! Che devi fa' sto fine settimana?
Non ho programmato niente, perché?
Vatte a prende du panni che Annamo a
Riccione.
A France' con che annamo? C'è famo
presta' il ferro da stiro da Ennumi (Franco Rosalia)
(Citroen Pallas crema e marrone) e chi guida io non ho patene,
te stai peggio di me!
Nun te preoccupa,' abbiamo l'autista,
Fabio, il fratello di Ennumi.
Annamo bene!
Di quei viaggi ne abbiamo fatti
diversi, di giorno, di notte.
Quante cazzate abbiamo detto e quante
mangiate.
Ormai l'equipaggio era collaudato.
Proprio in quei viaggi ebbi il
piacere di conoscere Tiziano Ricci, che mai potevo pensare che in futuro
sarebbe diventato un componente del Bancodi grande spessore.
SUBMARINE
SILENCE - Atonement of a former sailor turned painter
Ma.ra.cash
records
2024-ITA
Di Valentino
Butti
A distanza di quattro anni
dal precedente “Did swans ever see God?”, eccoci nuovamente a parlare dei Submarine Silence, uno dei numerosi progetti di Cristiano
Roversi (Moongarden, Il porto di Venere, Catafalchi del Cyber, Lanzetti
& Roversi… solo per rimanere in ambito prog). “Atonement of a former sailor turned painter”,
questo il titolo dell’album, vede impegnati, oltre a Roversi (organo, piano,
mellotron, tastiere, pedali bassi), il cantante Guillermo Gonzales, il
chitarrista David Cremoni (entrambi “sottomarini” di lungo corso),
l’altra vocalist Manuela Milanese (ospite già nell’album precedente) ed
una sezione ritmica nuova di zecca con Marco Croci (Maxophone e Julius
Project) al basso e Maurizio Di Tollo (già nei Moongarden, La maschera
di Cera, Hostsonaten; ora Il porto di Venere e due album da solista all’attivo)
alla batteria (e percussioni). L’immancabile, splendido, artwork di Ed
Unitsky, fa da corollario al tutto. Mai come in questa occasione le
abbondanti note di copertina (oltre alle liriche) sono necessarie per capire la
storia di “Atonement…”. E, proprio dalle spiegazioni, mi farò aiutare per
addentrarmi nei quarantacinque minuti dell’album (prevista pure la
pubblicazione in formato LP). Un lavoro a tema, ma non solo. I vari brani sono
come capitoli di una storia che si svolge in luoghi marittimi immaginari e
senza tempo, ed ogni brano è pure un bozzetto, un quadro, con riferimenti sia
letterari che cinematografici. In aggiunta, le liriche sono precedute da
ulteriori osservazioni che specificano ed ampliano le vicende narrate ed il
“viaggio” che sottintendono. Non ci soffermeremo più a lungo su queste
ulteriori note, per non appesantire queste righe, ma ne avremmo gradito anche
la versione in italiano.
Quattro sono i brani che
compongono l’opera a cui si aggiunge la bonus-track “Zena”,
presente nella sola versione in CD. Si inizia con “Majestic Whales”
(che riprende e “stravolge” un brano di Anthony Phillips presente su “Sail the
world” del 1994), uno splendido strumentale “liquido”, con un notevole
“guitar-solo” di Roine Stolt (The Flower Kings), batteria possente ed atmosfere
“genesisiane” molto spiccate (quelle dei brani più potenti di “A trick of the
tail” per intenderci).
Una bordata ritmica e di
hammond ed è subito “Les mots que tu ne dis pas”, la seconda
traccia. Iniziamo ad apprezzare la voce di Guillermo Gonzales, il sound è
sempre incalzante e la chitarra di Cremoni pare rivaleggiare con le tastiere di
Roversi, mentre la sezione ritmica ci dà dentro che è un piacere. Poi tutto si
placa per lasciare spazio anche alla voce di Manuela Milanese e al “solo” di
Cremoni che ci conduce al finale. Ma non c’è tregua.
È la volta di “Limbo
of the rootless”: chitarre arpeggiate, la voce della Milanese, poi
cresce l’intensità, si inserisce anche Gonzales ed inizia un’epica, vorticosa,
cavalcata strumentale con una ritmica davvero spumeggiante. Il cantato diventa
ancora più enfatico, le digressioni ritmiche sempre più articolate e
spericolate.
Il finale è per sola voce (Manuela)
e chitarra arpeggiata. La suite, nonché title track, chiude
l’album “ufficiale”: ventuno minuti di grandissimo progressive rock d’annata.
Il vertice assoluto, ad oggi, della produzione della band. E’ presente un
impianto melodico di prim’ordine, con le due voci ed i cori davvero superbi; ci
sono repentini sbalzi di umore musicale con le atmosfere acustiche e pastorali
che si fondono con quelle decisamente rock; ci sono gli squarci sinfonici che
conciliano i “vecchi maestri” seventies con il new prog del decennio successivo;
ci sono le trame ritmiche articolate e la “semplicità” di qualche arpeggio
della sei corde; ci sono, infine, le “grandeur orgiastiche” di un suono pieno e
dirompente frutto (anche) di una qualità di registrazione ottimale. Insomma, se
la parola “capolavoro” è sempre impegnativa (e non a tutti concesso l’uso…), mi
permetto questa volta di “spenderla” senza esitazioni. La versione CD, come
anticipato, comprende pure “Zena”: tre minuti di struggente
malinconia, nati da un’idea melodica di Sergio Lattuada, tastierista dei
Maxophone, scomparso qualche anno fa, che i Submarine Silence hanno completato
e pubblicato come doveroso omaggio.
“Atonement of a former
sailor turned painter” si candida prepotentemente come disco progressive
italiano dell’anno e sicuramente sarà tra i protagonisti dell’”Arlecchino
Azzurro”, sondaggio indetto (assieme all’”Arlecchino Doro”, scritto così) dalla
storica Webzine “Arlequins” e che premia l’album italiano e straniero che più è
piaciuto ai membri del forum.
I Raven Sad, band
italiana di progressive rock con influenze psichedeliche, raggiungono il
traguardo del quinto album in studio con Polar
Human Circle. Questo nuovo lavoro non solo conferma la qualità
delle loro precedenti produzioni, ma rivela anche una maturità artistica che li
posiziona tra le realtà più interessanti del nuovo prog italiano ed
internazionale.
La band impegnata nell’opera vede Samuele Santanna alle
chitarre, Marco Geri al basso, Fabrizio Trinci alle tastiere e
voci, Francesco Carnesecchi alla batteria e Gabriele Marconcini alla
voce solista. Ad aiutarli troviamo anche Morgana Bartolomei ai cori, Andrea
Benassai al pianoforte Alessandro Drovandi alla tromba e Karoline
Gierymski speaker.
La band di Santanna qui sfiora la perfezione, se non la raggiunge
pienamente, proponendo un progressive rock moderno, ricco di idee e suonato in
modo impeccabile.
Le liriche, cantate in inglese, ruotano attorno al tema del
lato sociologico dell’essere umano, con gli autori che esprimono una speranza
nella salvezza dell’umanità, oggi incamminata su un percorso quantomeno
preoccupante.
Quindi l’attualità dei testi si sposa perfettamente con
quella della musica che, partendo, dal prog dei Pink Floyd, Genesis, Marillion
e Porcupine Trees (solo per fare qualche esempio) arriva, in modo molto
personale ai giorni nostri.
La melodia regna sovrana in ogni brano, caratterizzando il
lavoro in modo estremamente personale, grazie anche agli ottimi arrangiamenti e
alla notevole perizia tecnica dei musicisti.
Un disco che va assaporato con la giusta tranquillità,
seguendo tutte le tracce dalla prima all’ultima così da entrare meglio nel
mondo dei Raven Sad.
Vi assicuro che non ci si annoia; al contrario, ci si
innamora del lavoro delle tastiere, della chitarra, che si distingue con assoli
irresistibili senza mai eccedere, e della sezione ritmica, precisa e versatile.
Se dovessi scegliere delle tracce tra le sette presenti,
menzionerei “Andenes”, che apre l’album con il pianoforte e la
bella voce di Gabriele Marconcini. È una ballata intensa e malinconica, resa
ancor più magica dalla chitarra lirica e profondamente ispirata di Santanna.
Come non citare la muscolare “The Obsidian Mirror” che
sa anche accarezzare – sempre con la chitarra a marchiare a fuoco il brano.
Non posso non citare il fiore all’occhiello dell’album: la
suite finale “Polar Human Circle”. Con i suoi 27 minuti,
suddivisi in sei movimenti, è un brano che da solo vale il prezzo del
biglietto. Qui si trova tutta l’essenza dei Raven Sad: melodia, cambi di
tempo ed umori, anche un filo di jazz che male certo non fa, un magnifico
lavoro all’organo e alle tastiere, chitarre sempre al top e una sezione ritmica
che sottolinea e sigilla i vari mood del brano.
In conclusione, questo è il prog del nuovo millennio: un
genere in cui le radici storiche fungono da trampolino di lancio per nuove
avventure, audaci e perfettamente calate nei nostri giorni. Se amate il prog e
non siete "regressive", questo è un disco che non potete lasciarvi
sfuggire.
Il 18 novembre 1978 la "Carovana
del Mediterraneo" fa tappa a Roma, Palazzo dello Sport. Lo spettacolo è del tipo itinerante, con
Angelo Branduardi ed il Banco del Mutuo Soccorso, Maurizio
Fabrizio, Alan King...
Buona parte del set di
Branduardi con il Banco venne pubblicata nel 1980 sul triplo album "Concerto”…
Wazza
La “Carovana del Mediterraneo”
fu un progetto musicale ideato da Angelo
Branduardi alla fine degli anni '70, realizzato da David Zard con la
collaborazione di Alberto Pugnetti e consistente in due tour europei tenuti
insieme ad altri artisti che, oltre all'Italia, toccarono Paesi come la Francia
e la Germania Ovest (il muro non era ancora crollato - ndr).
La prima
edizione si tenne nella stagione 1978-1979; ad essa parteciparono, oltre
ad Angelo Branduardi (al suo debutto in tour in Europa), alcuni artisti con cui
aveva collaborato in passato, come il Banco del Mutuo Soccorso (Branduardi
aveva suonato il violino nell'album "Come
in un'ultima cena" e aveva scritto i testi per la versione inglese
"As in a Last Supper");
LUIGI LAI, celebre maestro sardo di launeddas (che aveva suonato nell'album
"La pulce d'acqua"); Maurizio Fabrizio (da tempo collaboratore di
Branduardi) e Felix Mizrahi (famoso violinista egiziano accompagnato dal suo
gruppo etnico). Le prime date si tennero in Italia; il tour proseguì poi
all'estero, in Gran Bretagna, Francia, Germania Ovest, Svizzera e Belgio".
Il set di
Angelo Branduardi proviene direttamente dal triplo LP ufficiale "Concerto",
pubblicato dalla Polydor nel 1980. Proprio su questo album sono presenti sette
tracce tratte dal concerto di Verona del 15 settembre1978 con la
“Carovana del Mediterraneo”.
Sabato 9 novembre abbiamo fatto una
trasferta da Roma a Milano per assistere al concerto degli Alphataurus, finalmente di nuovo attivi anche dopo
la scomparsa del chitarrista Guido Wassermann.
Eravamo contenti di poter essere lì, a La Casa
di Alex, per assistere alla loro performance e sentire dal vivo il loro
nuovo lavoro di recente uscito, 2084: Viaggio nel nulla. Ma lo siamo
stati ancora di più nel vedere quanta gente era accorsa all'evento! Sala piena,
tutte le sedie occupate e pure gente in piedi! Tra l'altro questo fa ben
sperare per la prosecuzione della stagione concertistica nel posto, che chi lo
gestisce dia modo a Fico Piazza e gli altri di poter ospitare un concerto Rock
Prog al mese.
La formazione degli Alphataurus, visto
il tempo impietoso che è passato, dei membri originali fa rimanere solo Pietro
Pellegrini all'organo, ma ormai lo sappiamo: questa è una cosa abbastanza
comune tra i gruppi Prog risorti dagli anni '70. I cinque membri sono comunque
affiatati e hanno saputo tirare fuori ottima musica dai loro strumenti,
compresa l'intera performance dell'ultimo lavoro, che va ascoltato tutto
assieme da bel concept qual è.
Il concerto però non si è limitato solo a 2084:
ha anche ricordato diversi grandi pezzi dal passato Alphataurus, come Peccato
d'orgoglio all'inizio e la grandissima La mente vola in finale di
serata. Come abbiamo detto, è stato un gran bel concerto che non ha certo
deluso gli spettatori, nella lunga attesa di poterli rivedere ancora a Veruno
2025.
Al fine serata, dopo aver salutato gli
stanchi artisti, abbiamo parlato col creatore del concept e dei testi, Carlo
Guidotti. Gli abbiamo fatto i complimenti per come sia riuscito a rendere in
parole degli argomenti così attuali e difficili da trattare con efficacia, e
lui ci ha rivelato che in realtà questo è solo il primo capitolo della storia.
Ci sono già delle tracce lasciate da Wasssermann e lì si parlerà del viaggio
intrapreso dai terrestri per scappare da un mondo che hanno reso inabitabile.
Non mancheranno sorprese.
Nell'attesa però ci godiamo questo album,
uscito i primi di ottobre per AMS, tra l'altro anche in una confezione vinilica
di pregio, piegata in tre parti.
Lo scrivo o non lo scrivo? Lo scrivo! Mi faccio qualche
scrupolo perché devo citare il “Bimbo del Carillon”, un libro appena pubblicato
in cui si cita Pete Sinfield.
Flavio Premoli è sempre stato un amico di poche parole. “Ciao
ricevuto libro. Grazie. Purtroppo, morto SINFIELD.” Certe coincidenze a
volte ti lasciano a bocca aperta.
Con Pete Sinfield abbiamo condiviso l’esaltante esperienza di
“Photos of Ghosts” e la creazione di un piccolo gioiello musicale che ha
aiutato la PFM a farsi strada nel mondo: River Of life. Una Musica
scritta a quattro mani proprio con Flavio. Una Musica uscita senza patemi, con
naturalezza, con dolcezza, con immaginazioni musicali che Pete Sinfield ha
saputo esaltare con la sua poesia visionaria e passionale.
Se il testo di Mauro, Mauro Pagani (Appena un po’) era
una riflessione, il desiderio di lasciare questa nostra problematica realtà per
cercare un mondo migliore, Sinfield ha provato a raccontarne il viaggio. Lo ha
fatto con un ispirato parallelismo quanto mai attuale, che ci ricorda che siamo
“Uno” con il Pianeta. Un viaggio in cui ci siamo tutti, gente di ieri, di oggi
e di domani. Un viaggio che ciascuno fa con la sua propria barca. Un viaggio
nel fiume della Vita, tra le meraviglie naturali, e le conseguenze nefaste del
prevalere di una presunzione autolesionista che genera veleni, guerre, che si
manifesta infischiandosene del pianeta che ci ospita.
Come si sa ogni viaggio ha un inizio e una fine. Il viaggio
di River of life, del fiume della vita, inizia con l’acqua, il diluvio,
la pioggia che rompe le rocce, pervade pianure, crea fiumi e cascate. Il
viaggio di ogni bimbo è il suo specchio. In questa sfera di vita siamo come
piovuti dal cielo. Si procede sulla Terra tra lacrime di gioia e di dolore. Il
brano termina con una frase: “…Dimentica il dolore. Dalla pioggia... alla
pioggia...! La fine del viaggio non è certamente lontana...”.
Per te ne inizia un altro di viaggio.
Grazie Pete per quell’intenso, magico profumo di poesia che
ci hai lasciato in dono.
Questo 2024 “tutto d’oro” per il rock
progressivo italiano, sia in termini di quantità, sia di qualità delle uscite,
va degnamente verso la sua conclusione con l’uscita dell’ottavo album per Alex Carpani (se contiamo nella discografia anche
l’unico titolo a nome del progetto Aerostation).
Il tastierista e cantante italo-francese,
nato in Svizzera e da lungo tempo ormai residente a Bologna (città che lo vede
impegnato, oltre che nella musica, in molteplici progetti culturali ben
radicati sul territorio), ci aveva abituato in passato a dischi caratterizzati
da un denso numero di collaborazioni, sia estere (David Cross, Theo Travis,
David Jackson, solo per citare alcuni esempi), sia legate al panorama
progressivo italiano (Lanzetti, Tagliapietra, Vairetti).
Deciso cambio di rotta, questa volta:
infatti, in questo suo ottavo album, dal titolo “The
Good Man”, non troviamo grandi interventi di ospiti esterni ma,
al contrario, una formazione ben consolidata. Il leader e compositore con le
sue tastiere simula anche chitarre, bassi e partiture orchestrali grazie
all’ausilio dei sempre più efficaci e fedeli VST (Virtual Studio Technologies,
strumenti “virtuali” caricati sul computer sotto forma di immense “librerie” di
suoni e pilotati attraverso l’esecuzione sulla tastiera).
Accanto a lui troviamo, in ordine alfabetico:
Alessio Alberghini (sax soprano), Emiliano Fantuzzi (chitarre), Bruno
Farinelli (batteria), Giambattista Giorgi (basso) e la cantante
mezzosoprano Valentina Vanini.
E poi troviamo un batterista decisamente
molto noto nel circuito musicale (non solo progressivo) italiano: è Gigi
Cavalli Cocchi, che però in questo album non suona ma cura l’elegante e
raffinata veste grafica.
Veniamo a “The Good Man”… Come lo si
potrebbe definire? Con un termine un po’ azzardato si potrebbe coniare la
qualifica di “doppio concept album”. L’opera infatti è strutturata come due
lunghe suites distinte, della durata di 28 minuti ciascuna, che viaggiano su
binari paralleli, diventando così ciascuna una piccola “opera rock” a sé
stante. Tuttavia, nei due “concept”, si possono percepire dei punti di contatto
comuni a fare da legante.
Infatti, se il primo titolo, “Amnesiac”,
esplora quel senso di vuoto, di disorientamento, di smarrimento legato alla
perdita di memoria, il secondo titolo esplora altre forme di vuoto,
disorientamento, smarrimento: quelle di chi si trova al cospetto della
contrapposizione tra bene e male. “Good and evil” è, appunto, il
titolo di questa seconda suite.
Il male è spesso frutto dell’obnubilazione
della memoria, “Chi non conosce la storia è destinato a ripeterla”,
diceva il filosofo Santayana; “Una generazione senza storia non ha passato
né futuro”, diceva lo scrittore Robert A. Heinlein. E in questi scenari
così apocalittici dentro e attorno la mente umana, “il buon uomo” si ritrova a
essere, nelle parole di Carpani, “una barchetta di carta alla deriva”.
Come due veri e propri “concept album”
racchiusi in un solo disco, le due suites possono essere ascoltate come se
fossero ciascuna formata da nove brevi brani indipendenti e collegati, per un
totale quindi di 18 titoli.
“Amnesiac”
parte con l’incedere di un treno (il titolo è appunto “On a train”) che
genera un’atmosfera inquietante, basata su effetti sonori e rumorismo; questa
introduzione deflagra poi in “Perfect chaos”, brano dal riff e
dalla struttura orientali al metal-prog, che si apre in belle parti vocali
fortemente melodiche e dal sapore epico; un ritorno alle rarefazioni dell’intro
e alle atmosfere basate su effetti e rumori in “Flashbacks”,
brano che lentamente cresce, sorretto da un bell’arpeggio chitarristico, nel
quale si possono apprezzare anche le doti vocali della mezzosoprano Valentina
Vanini. Piccoli tocchi di percussioni sintetiche dai suoni industriali ci
introducono in “The edge of my mind”, altro brano che attraverso
un percorso di “stratificazione” cresce da un inizio quasi ambient fino a una
serie di evoluzioni energiche e corpose. E qui il Minimoog di Carpani la fa da
padrone con i suoi poderosi interventi solisti, ben sorretti da un gran lavoro
di un Hammond dal sapore hard-rock, di una chitarra pesantemente distorta e
della ineccepibile sezione ritmica.
“Diamond in the rough” inizia
come una ballad di neo-prog dalla vena quasi cantautorale, ma anche in questo
caso cresce verso un epico ritornello cantabile. Il tutto ci conduce ad
aperture strumentali a base di riff corposi e Minimoog incandescente. “Past
life” si apre con un gran lavoro di orchestra d’archi (i famosi
“virtual instruments” di cui parlavamo all’inizio). L’entrata della voce
femminile conferisce al tutto un “mood” da colonna sonora di un vero epic
movie. “Heart calling” si apre ancora con i vocalizzi lirici,
mentre le orchestrazioni aprono poi la strada al sax e da parte loro i due
esponenti della sezione ritmica, l’Hammond e la chitarra riportano nuovamente
tutto su territori più hard. “As light returns” è una parentesi
di world music elettronica tra Peter Gabriel e gli Shadowfax, con il sax
soprano in bella evidenza, loop percussivi e tappeti orchestrali, il tutto
squarciato da uno struggente assolo di chitarra. La suite termina con “End
of the day”, sorretta dai temi arpeggiati del sintetizzatore, che
infine lasciano spazio alla voce femminile e alle orchestrazioni di gusto
elettronico/sinfonico.
La seconda suite, “Good and Evil”, si apre con l’effetto vecchia
radio di “Lost frequencies” per poi iniziare a prendere forma in
modo vero e proprio con “The flow”, elegante traccia tra new-prog, post-rock e
indie-rock dall’approccio diretto e incisivo. “PTSD” vede uno
splendido arrangiamento di voci maschili e femminili che si intrecciano su
partiture orchestrali, per poi virare nuovamente verso lidi più hard rock. “Stillness
and ecstasy” è un ritorno a quei momenti “da colonna sonora”, con loop
ritmici, archi, voce femminile e sax in bella evidenza. “Flirting with darkness” è uno dei momenti più “cattivelli” del disco, che farà
scrollare la testa a più di un headbanger! Anche quando il “pienone” si
attenua, lasciando spazio solo a sintetizzatori acidi e alla cassa che “pesta”
in 4/4 il brano non perde un’oncia della sua tensione emotiva. Belli i cambi di
tempo da momenti estremamente “quadrati” ad altri dispari.
“Mystical” contiene un
campionamento del discorso di insediamento del Papa attualmente in carica,
Francesco I, contestualizzato in uno dei momenti più corposamente sinfonici
dell’intero album.
Organi liturgici, voci liriche, cori
ecclesiastici, ottoni squillanti, tappeti di archi… Non manca proprio nulla.
“Leaving the path” è un
trait-d’union tra i temi più “hard” e quelli più avvolgenti e melodici
dell’album. “Masquerade” ci riporta a quel gusto “etnico” che a
tratti fa capolino nell’intera opera. E ci congediamo con “Everything
falls into place”, pronta a infondere il giusto “tiro” che ci si
aspetta da un gran finale.
Concludendo: Alex Carpani è un compositore “a
tutto tondo” difficilmente catalogabile ed archiviabile. Nella sua cifra
stilistica confluiscono suggestioni che spaziano dal progressive rock alle
espressioni più moderne del vasto universo metal, dall’elettronica alla fusion,
dalla world music alla musica accademica, sia essa più sinfonica o più
cameristica. E proprio in questo sta la sua forza.