I Jethro Tull esordirono discograficamente con un
45 giri accreditato erroneamente ai “Jethro Toe”. E, fin dall’inizio del 1968,
cominciarono a farsi le ossa come band live suonando in giro per i locali ed i
club dell’Inghilterra. Soprattutto al ben noto “Marquee” di Londra, fino a
quando non riuscirono a
conquistarsi lo “status” di attrazione
principale: per questo dedicarono un pezzo in bilico tra jazz e swing al
proprietario del locale (“One For John Gee”), al quale dovettero molto, al
tempo dei loro primi passi. Durante l’estate di quello stesso anno registrarono
“This Was”, il loro primo LP (nonché l’unico con Mick Abrahams alla chitarra):
un lavoro piacevolissimo, con poche sovra-incisioni, intriso di blues e di
venature vagamente jazz, con Ian e Mick a scambiarsi i ruoli di cantanti e di
solisti, ciascuno al proprio strumento.
Questo è l’unico album della band a contenere due brani nei
quali Ian Anderson non compare: “Move On Alone” (cantata da Mick) e “Cat’s
Squirrell”, che lascia spazio alla chitarra distorta e di Abrahams, con il solo
supporto della sezione ritmica di Glenn Cornick al basso e Clive Bunker alla
batteria: in questo pezzo i Jethro Tull si trasformano in una sorta di “Power
Trio”, tipo i Cream, la Jimi Hendrix Experience o i Taste. Ed il lavoro del
chitarrista di Luton è comunque pregevole e raffinato su tutto “This Was”, tra
assoli pregevoli ed eleganti e sofisticati accordi jazz-blues. Non era questa però la strada che la band
avrebbe continuato a percorrere: Abrahams aveva ottenuto il suo spazio, “Cat’s
Squirrel” era la sua passerella personale per i concerti dal vivo; ma il gruppo
stava per cambiare direzione, affidandosi completamente alla guida (e al
flauto) di Ian Anderson.
L’ultima incisione di Mick con la band è degli ultimissimi
mesi del 1968, con il brano “Love Story”: un singolo che, dall’altro lato (“A
Christmas Song”) vede Ian Anderson impegnato alla voce e al mandolino
(strumento mai utilizzato su “This Was”), accompagnato dai soli Clive e Glenn,
oltre che da un bell’arrangiamento d’archi. Oltre a Tony Iommi la band proverà
anche il chitarrista dei Nice (il gruppo di Keith Emerson prima degli ELP). Ma,
alla fine, opterà per il tranquillo e malleabile Martin Barre, dopo un’audizione
(con “Nothing is Easy”, in seguito sul loro secondo album) avvenuta alla fine
del 1968.
All’inizio la scelta non sembrò rappresentare un gran passo
avanti rispetto all’abilità e alla sicurezza di Mick Abrahams: nella
registrazione del concerto insieme a Jimi Hendrix (Stoccolma, 9 gennaio 1969)
il nuovo chitarrista, un po’ impacciato (e ancora senza barba) non appare del
tutto convincente. Poco dopo, però, dopo il primo tour in USA, Martin Barre
acquista sempre maggior sicurezza, e per 40 anni (!) diverrà la fidata “spalla”
di Ian Anderson.
Nel 1969 i Tull sono
in giro per gli States anche con i Led Zeppelin (Mick Abrahams non amava
viaggiare: altro punto a suo sfavore!): esiste anche una bella foto, coi Jethro
Tull che impazzano sul palco e John Bonham, seduto dietro di loro, intento a
seguire il lavoro di Clive Bunker alla batteria. Mentre erano in tour in
America, fu Joe Cocker ad annunciare loro che in Inghilterra erano arrivati
primi in classifica con il singolo “Living In The Past”. I Jethro Tull
continuarono a suonare negli States anche per tutto il 1970 (senza però mancare
all’appuntamento dell’ Isola di Wight, alla fine di agosto di quello stesso anno).
Quando però si concluse l’ultimo tour americano, a novembre,
Ian Anderson decise di “scaricare” Glenn Cornick: erano tutti all’aeroporto, in
procinto di tornare a casa, e Ian prese da parte Glenn, annunciandogli senza
mezzi termini che era fuori dal gruppo, e che sarebbe addirittura rientrato con
un altro volo. Possiamo immaginare con che stato d’animo quello che era stato
fino a quel momento il bassista dei Jethro Tull avrà fatto quel viaggio, da solo,
dopo gli anni di gavetta trascorsi insieme ai suoi compagni della band, i
concerti, gli hotel, i viaggi e le risate insieme…Ho parlato con lui di persona
nel 2006, ma ho preferito non toccare l’argomento, perché sapevo che Glenn
Cornick non aveva ancora dimenticato. E si può anche capire.
Glenn anche riuscito a “sfiorare” il colpo grosso, arrivato
con il successivo album “Aqualung”, perché aveva fatto in tempo a registrare
alcuni pezzi di quel disco, poi rifatti nel febbraio del 1971 dal vecchio amico
di Anderson, Jeffrey Hammond Hammond, che sarebbe rimasto nella band fino al
1975. Uno dei ricordi più belli per Glenn rimase comunque il festival gratuito
di Hyde Park, come detto, insieme a Pink Floyd e Roy Haper, il 29 giugno 1968.
In quei giorni non avevano pubblicato neanche il loro primo
disco, ma, avendo raccolto tanti estimatori suonando al Marquee ed in altri
mille piccoli locali britannici, ecco che avvenne qualcosa di inaspettato:
tutti i loro fans si raccolsero a quel festival, e quando un roadie salì sul
palco, poggiando una borsa, dal pubblico partì un boato: tutti sapevano che
quella era la borsa nella quale Ian Anderson teneva i suoi vari strumenti a
fiato: era dunque “il segnale” che
stavano per suonare i Jethro Tull!
Gerry Conway, un batterista amico di Clive Bunker (poi a sua
volta nei Tull del periodo ’81-’82), aveva saputo da quest’ultimo che suonava
in una band che si esibiva solo in piccoli locali, vedendo tutto questo, pensò
di essere stato preso in giro da Clive. La verità era invece che neanche gli stessi Jethro Tull si sarebbero
aspettati un successo simile a quel festival. E, in un giorno, passarono dallo
“status” di piccolo gruppo a quello di band importante sul serio.
Per inciso ad Hyde Park ‘68 i Jethro Tull (che stavano
registrando il primo album in quello stesso periodo) si esibirono di giorno,
vestiti come nelle foto che li ritraggono al Marquee il 3 maggio 1968, per
quella che fu la loro prima data come gruppo principale in cartellone (Ian con
un giubottino corto, Glenn con il cappellino, il nome del gruppo stampato in
caratteri gotici sulla cassa della batteria).
Qualche mese dopo, al Sanbury Jazz Festival (agosto 1968)
appariranno invece con gli stessi abiti della copertina di “This Was” (escluso
il trucco da vecchietti), con Ian Anderson in cappottone verde e Glenn Cornick
in gilet giallo e bombetta rossa. Così come appaiono anche durante le riprese
del “Rolling Stones Rock And Roll Circus”, alla fine di quello stesso anno, con
Tony Iommi alla chitarra.
Stranamente, come nel caso degli Zeppelin, anche dei Jethro
Tull non esiste molto materiale filmato
degli “anni d’oro”: quasi niente, in pratica, tra il 1970 ed il 1977 (finchè
non è apparso metà dello show del 1976 a Tampa). Neanche per quanto riguarda
gli anni del loro massimo successo, e cioè quelli di Aqualung e Thick As A
Brick, tra 1971 e 1972. Dopo aver “liquidato” Glenn Cornick, Ian Anderson aveva
fatto entrare nella band il suo vecchio amico Jeffrey Hammond, al quale aveva
già dedicato tre brani sui dischi precedenti. Nel dicembre del 1970 i Tull registrarono
con Jeffrey alcuni brani per “Aqualung”, rifatti poi nel febbraio del 1971
direttamente per il disco, che sarebbe uscito a marzo. Quando dunque il gruppo
arrivò in Italia per la prima volta, nel febbraio ’71 (con i Gentle Giant come
“gruppo spalla”), al teatro “Smeraldo” di Milano e al Brancaccio di Roma, il
disco non era ancora uscito, anche se quei pezzi venivano suonati “on stage”.
Ian Anderson iniziava il concerto con “My God”, voce e
chitarra acustica, quasi al buio, dicendo che i Jethro Tull si erano sciolti e
che avrebbe tenuto il concerto da solo. Frattanto gli altri del gruppo
scivolavano ai loro posti, nascosti nell’oscurità. E quando il brano esplodeva,
si accendevano le luci, partiva la batteria insieme a tutti gli altri strumenti
e Ian Anderson gettava per aria la sedia sulla quale aveva iniziato lo show,
aggredendo in piedi il microfono con il flauto e lasciando di stucco gli
spettatori con un’impatto stupefacente.
Due mesi dopo il batterista Clive Bunker lasciò la band e,
con l’ingresso di Barriemore Barlow, si ricostituì di fatto quella che era
stata negli anni ’60 la John Evan’s band, sotto la nuova sigla di Jethro Tull,
che era in realtà il nome di un’agronomo del ‘600 inventore di una nuova
macchina seminatrice. La prima registrazione di Barlow coi Tull avvenne in
occasione dell’EP “Life Is A Long Song”, contenente quattro brani, quando era
ancora il 1971. E, a seguito del successo di Aqualung, Barlow si vide
catapultato di colpo dai piccoli pub inglesi alle grandi arene americane, di
fronte a migliaia di persone. Quel disco, per inciso, avrebbe dovuto
intitolarsi “My God” (e a questo brano si riferiscono le note di copertina,
vergate in caratteri gotici): ma la vasta diffusione di un bootleg dallo stesso
titolo portò al cambiamento del nome, e l’album si chiamò come il brano
d’apertura, che parte con uno dei riff di chitarra più conosciuti del rock dei
seventies. In seguito, sempre nel 1972, uscì la raccolta “Living In The Past”,
contenente rarità, inediti ed estratti
dal concerto alla Carnegie Hall di New York del 4 novembre 1970 (in
seguito pubblicato per intero). I due album successivi, Thick As A Brick (1972)
e A Passion Play (1973) erano entrambi due concept album contenenti ciascuno un
solo brano lungo quanto tutto il disco (!).
A seguito delle aspre critiche (ingiustamente) rivolte a
quest’ultimo lavoro, Ian Anderson decise di prendersi una pausa, ed i Tull si
ripresentarono (con look rinnovato) solo in occasione della conferenza stampa
(con annessa “photo-session”) del gennaio 1974 a Montreaux, per presentare il
nuovo progetto denominato “War Child”, che avrebbe dovuto essere sia un disco
che un film. Il film però non si fece mai, e rimasero solo alcuni brani
orchestrali che avrebbero dovuto far parte della sua colonna sonora. Un paio di
brani di questo nuovo disco (“Skating Away” e “Only Solitaire”) provenivano in
effetti da alcune registrazioni che la band aveva effettuato in Francia nel
settembre del 1972, ma che aveva deciso di lasciare nel cassetto.
Qualcosa di questo materiale era anche stato utilizzato per
“A Passion Play”. Quel disco inedito registrato nei pressi di Parigi (un doppio
album incompleto, di fatto rimasto senza titolo) uscì solo in parte in
occasione dei 20 anni della band, e quasi per intero in occasione dei 25 (ma
con un flauto aggiunto per l’occasione). Infine, con il remix di Steven Wilson
del 2014, il lavoro è stato finalmente pubblicato nella sua interezza.
Su War Child e Passion Play Ian Anderson fa per la prima (ed
ultima!) volta largo uso del sax (soprattutto di quello “soprano”, cioè quello
“dritto”, per intenderci). Utilizzerà il sax dal vivo fino al 1975, e lo
riesumerà solo per la (rara) traccia “Beltane” del 1977.
Anche il suo costume di scena cambia completamente: non più
il giaccone a scacchi rossi e neri, per gli spettacoli del periodo ’74-’75,
bensì un elegante quanto surreale costume da principe del ‘500, con un
sospensorio in bella vista, capelli meno folti e barba più curata. Barlow
adesso siede alla batteria con canottiera e pantaloncini corti, John Evan con
abito bianco e cravatta rossa (a pallini bianchi!). Barre invece alterna una
giacca “floreale” ad un'altra di un rosso smagliante, mentre Jeffrey, come
detto, fa sfoggio di abiti e strumenti “zebrati”.
E se prima era soprattutto Anderson a “fare scena” sul palco, adesso sono i
componenti di tutta la band a dimenarsi e a correre su e giù per il palco,
nonostante la difficoltà sempre maggiore delle partiture da eseguire. Sul palco
viene anche portato un quartetto d’archi tutto femminile, che viaggia con loro
da una città all’altra, in varie parti del Mondo.
L’album “Minstrel In The Gallery” (1975), registrato con il
supporto di uno studio mobile installato su un furgone rosso: è un ottimo
lavoro, ma, a parte la “title track”, non viene mai eseguito in concerto. Con
“Too Old To Rock’n’ Roll, Too Young To Die” il bassista John Glascock
(proveniente dai “Carmen”) prende il posto del dimissionario Jeffrey Hammond
(che preferisce tornare alla sua antica passione per la pittura!) e rimarrà nei
Jethro fino al 1979. Con lui la band entra nel suo “periodo folk-rock”,
registrando “Songs From The Wood (1977) ed “Heavy Horses” (1978), in
coincidenza con il trasferimento di Anderson (e consorte) dalla vita di città a
quella di campagna. Oltre alla musica, anche l’aspetto del leader dei Tull
subisce un nuovo quanto inaspettato cambiamento, con Ian Anderson che si
presenta in abiti da signore della campagna inglese, con bombetta e gilet,
capelli più corti, basette e pizzetto. Nonostante ci si trovi in piena epoca
punk, questa svolta folk viene salutata con favore dalla critica.
Ed il suggello a questo periodo felice avviene sia con la
pubblicazione del live “Bursting Out” che con il concerto al Madison Square
Garden di New York, trasmesso in diretta “trans-oceanica” a beneficio di vari
Paesi (Italia esclusa!). Questo concerto (e questa tranche americana del tour)
vedono però Tony Williams al bassoal posto di John Glascock: quest’ultimo
soffre infatti di problemi al cuore, e, anche se tornerà con la band per i
concerti negli States dei primi mesi del ’79, riuscirà a registrare solo
qualche pezzo per l’album “Stormwatch”, di quello stesso anno. E in questo caso
a sostituirlo sarà spesso lo stesso Anderson. Glascock purtroppo morirà poco
tempo dopo nel corso di un intervento al cuore, e Barriemore Barlow, a lui
molto legato, si ritroverà a suonare piangendo quando il gruppo viene raggiunto
dalla notizia mentre è in tour. Il suo posto viene preso dal Dave Pegg,
bassista dei Fairport Convention, band amata da Page e Plant, che avevano
voluto la loro cantante Sandy Denny per “The Battle Of Evermore” sul quarto
album degli Zeppelin. A sua volta Pegg era un buon amico di John Bonham fin
dagli anni ’60.
Pegg si divise tra i due gruppi fino al 1995, poi decise di
lasciare, rimpiazzato da Jonathan Noyce. Ma quando entrò nei Jethro Tull, nel
1979, fece in tempo a far parte della formazione che schierava ancora John
Evan, Barriemore Barlow e David Palmer. Quest’ultimo aveva arrangiato e diretto
le sezioni orchestrali dei brani di Ian Anderson fin dal 1968, ma solo dal 1976
era diventato un componente del gruppo a tutti gli effetti. Ad ogni modo, nel
1980, Ian mischiò le carte in tavola e cambiò la formazione per il disco “A” ed
il relativo tour. In effetti quello avrebbe dovuto essere un suo disco solista
(“A” stava per Anderson), ma la casa discografica lo convinse a farlo uscire
come il nuovo disco dei Jethro Tull, con Eddie Jobson e Mark Craney (violino e
tastiere il primo, batteria il secondo). E così Barlow, Palmer ed Evan
appresero solo dai giornali che non facevano più parte della band (!). Gli anni
’80 erano appunto iniziati, e questo disco, come i successivi “Broadsword And
The Beast” (1982), il primo disco solista di Anderson (1983) e “Underwaps” (del
1984) sono più o meno infarciti di suoni elettronici, a discapito del flauto,
che quasi scompare. Un disco avrebbe anche potuto uscire nel 1981, data la gran
quantità di brani registrati quell’anno. Ma non sarà così, e tutto quel
materiale riemergerà in occasione delle celebrazioni dei 20 e 25 anni di
attività del gruppo.
“Broadsword” è un buon disco, ed il relativo tour è anche
l’ultimo a vedere Anderson con la voce e l’aspetto dei vecchi tempi. La sua
voce comincia infatti ad avere problemi dopo il tour di “Underwraps”, e nel
1985 i Jethro Tull tengono un solo concerto, dedicato a J. S. Bach, a Berlino,
con Eddie Jobson (lui e Craney rimasero nella band solo nel periodo ’80-’81) in
veste di ospite alle tastiere per quella sola serata. Per inciso, questa è
anche l’ultima occasione in cui possiamo vedere Martin Barre con la barba…
Anche nel 1986 non ci fu altro che un breve tour estivo
(denominato infatti “Summer Raid”), compresa una data diurna a Milton Keynes
(proprio il luogo della reunion dei Genesis con Peter Gabriel) prima dei
Marillion, che all’epoca, dopo l’uscita dell’esplosivo “Mispaced Childhood”
(1985) erano davvero sulla cresta dell’onda (con conseguente beneficio per
tutto il “movimento prog”, che vedeva finalmente un gruppo suonare quel genere
musicale riuscendo anche a vendere e a scalare le classifiche).
I Tull sembravano viceversa ormai sul viale del tramonto:
anche fisicamente Ian Anderson, pur non avendo ancora compiuto 40 anni,
appariva come un vecchione imbolsito, barba imbiancata, cappellino, pantaloni
rigonfi ed un giubbotto di pelle senza maniche a renderlo ancora più
appesantito. Dopo “A” sia Jobson che Craney erano stati sostituiti da Peter
Vettese e Gerry Conway, a sua volta rimpiazzato dietro i tamburi da Doane Perry
(che, arrivato nel 1984, sarebbe divenuto il batterista più “longevo” della
storia del gruppo). Don Airey fu alle tastiere per il tour del 1987, ma non sul
disco di quell’anno, “A Crest Of a Knave”, che segnò il “ritorno” dei Tull in
grande stile, con brani accattivanti quali “Budapest” e “Farm On The Freeway”,
nuovi classici per gli spettacoli dal vivo. E, dopo il tour del 1988 per il
ventennale del gruppo, e l’album “Rock Island” del 1989, coi Tull premiati
quale migliore band heavy metal (!?), ecco la rinascita: nel 1991 i Jethro Tull
tornano in scena incredibilmente ringiovaniti: Ian Anderson con un semplice
gilet sul torso nudo, muscoloso e scattante, coi pantaloni attillati come negli
anni ’70; Martin Barre, che pochi anni prima appariva come un attempato
impiegato di banca, di nuovo coi capelli lunghi, dimagrito e agile anche lui,
con un bellissimo suono di chitarra.
All’album e al tour di “Catfish Rising” di quello stesso
anno (con più strumenti acustici e salutari folate di blues) seguì il triplo
tour (!) nel 1992, il disco semi-acustico dal vivo “A Little Light Of Music” e
l’arrivo dell’ottimo Andy Giddings alle tastiere. Quindi le varie celebrazioni
per i 25 anni della band, fra 1993 e 1994: box set, il doppio CD “Nightcup”,
tour mondiale e Ian e Martin ancora vivaci e con un look di accattivante.
Brillanti, poi, gli inizi dei concerti con la rivisitazione dei brani di inizio
carriera: “My Sunday Feeling”, in apertura, poi “For A Thousand Mothers”,
quindi “Living In The Past”, con Ian Anderson che irrompeva sul palco con una
gioiosa giacca multicolori.
Questo periodo scintillante fu però anche l’ultimo per i
Jethro: l’album “Roots To Branches” del1995 fu seguito da un tour più dimesso,
senza più Dave Pegg al basso e con Anderson e Barre meno in forma.
Nel 1996 Anderson fu addirittura vittima di un’embolia ad
una gamba che lo costrinse alla sedia a rotelle per diverse date:durante il
tour dei 20 anni, all’inizio del concerto (quando io ebbi modo di vederli per
la prima volta, nel 1988) usava per scherzo la carrozzina ad inizio concerto (a
voler sottolineare che erano diventati ormai troppo vecchi), per liberarsene
subito dopo, alzandosi in piedi per cantare una scoppiettante “Cross-eyed Mary”. Adesso, invece, doveva
usarla sul serio! L’album successivo uscì solo 4 anni dopo, nel 1999: si
intitolava “Dot Com”, era buono, registrato bene, e con ottime spruzzate di
prog. Ma sarebbe rimasto l’ultimo disco dei Jethro Tull. Sarebbero seguiti infatti
altri lavori, su CD o DVD, in studio e dal vivo, ma non si sarebbe più trattato
di veri album composti da materiale interamente inedito. Negli ultimi tempi,
poi, anche l’inossidabile Martin Barre ha lasciato la band, ed il suo leader si
presenta ormai sotto la sigla “Ian Anderson’s Jethro Tull”, lasciando intendere
che il gruppo in quanto tale ha chiuso i battenti.
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