JOHN GREAVES – “PASSAGE DU NORD OUEST”
Di
Andrea Pintelli
In quest’infausto anno dominato
dalla paura e dal coraggio, c’è chi non si è mai fermato. È il caso della Dark
Companion Records, i cui lavori prodotti sono da sempre sinonimo di altissima
qualità. Il 10 luglio, infatti, è stato pubblicato “Passage Du Nord Ouest”
di John Greaves, concerto registrato a
Parigi il 22 novembre 1993 e riportato ad antico splendore dall’ottimo lavoro
di Alberto Callegari, dell’Elfo Studios di Tavernago (PC).
Max Marchini, deus ex-machina
dell’etichetta, aggiunge così un nuovo importante tassello al proprio catalogo
di gioielli musicali, qui per la collana Ephemerals, che a ben vedere ha ben
pochi rivali a livello europeo.
Credo, e spero, che mr. John
Greaves non abbia bisogno di presentazioni (in ogni caso ne avevo tracciato un
piccolo profilo riassuntivo all’interno della mia recensione del suo “Life
Size” del 2018, per chi volesse rinfrescarsi la memoria), per cui andiamo
dritti ad immergerci nelle atmosfere parigine, stando comodamente seduti con
cuffie e hi-fi ben sintonizzati su questo “Passage Du Nord Ouest”.
Il nostro, come sempre al basso e
voce ma anche al piano, è qui coadiuvato da una band formata da Paul Rogers al
contrabbasso, François Ovide alla chitarra acustica, David Cunningham alla
chitarra elettrica, kalimba e effetti sonori, Sophia Domancich al piano, e
Peter Kimberley alla seconda voce.
“One Summer”, posta in apertura, delinea
il crescendo dall’intento free, un buon biglietto da visita in divenire che non
fa altro che incuriosire, attuato poi con “The Price We Pay” in una soluzione
di continuità sonora, resa ancor più introspettiva dalla voce inconfondibile di
John. Si prosegue con “The Mirage”, ipnotica e sognante, trascinata da un
grande contrabbasso, poche parole declamate per poi passare a “The Magical
Building”, ricamata e sottolineata da un fiero pianoforte, che apre alla forma
canzone per poi tornare all’immaginifico; una perla di bellezza e cupa luccicanza,
brividi in continuità. “Almost Perfect Lovers”, difficile, complicata, ma
eterea e ricca di intrecci, fa intendere come ci si trovi di fronte a un genio
musicale coadiuvato da un gruppo di talentuosi comprimari, che acquisiscono via
via la centralità del suono. Il pianoforte sembra (farci) volare. “Solitary” è
una marcia RIO di sopraffina meraviglia, con accenti chitarristici sempre
corretti e incisivi. “Dedans (Rose c’est la vie)” condensa in poco più di tre
minuti il messaggio che la vera Musica può e dovrebbe sempre avere nei
confronti degli ascoltatori: portare altrove, spingere oltre, far sognare ad
occhi aperti. Dolcissima, mai stucchevole, giocata in un equilibrio reso
perfetto dalla magia vocale di Greaves. “Deck Of The Moon”, ritmo e gioco,
sorridente e positiva, ci dice che i dettagli sono per pochi; un melting pot
sonoro coinvolgente e innovativo. Si passa a “For Bearings / Silence” dove
piano e voci trovano il punto d’incontro nei toni minori del (quasi) sussurro,
in un vortice di contrappunti. “Kew Rhone” alza l’asticella della circolarità
del suono, scandendo i ritmi imposti dai musicisti, qui impegnati in un
complicato esercizio di qualità sempre maggiore, in cui i riferimenti al jazz
la fanno da padrone. “The World Tonight”, chitarra perfetta nel dosare accenti
e armonia e forza, è qui la protagonista, insieme alle voci dei nostri. Squarci
di luce. “Lullaby” (no, non quella dei Cure…) è una straniante ninna-nanna
(traduzione del titolo, ovviamente) che non vorremmo sentirci cantare, ma che,
tuttavia, riempie la stanza, tant’è densa. “Swelling Valley”, soffusa e
nebbiosa, nel tipico stile di Greaves, traccia la linea di un universo sonoro
mai domo, ma pronto a donare soluzioni mai banali. Qualcuno c’è che non si è
mai lasciato stereotipare, fortunatamente. “How Beautiful You Are”: quanta
meraviglia ci può essere in una sola canzone? Ascoltatela in solitudine e
avrete la facile risposta. Genialità e sensibilità ai massimi livelli. Ma la
versione cantata e suonata insieme ad Annie Barbazza (proprio su “Life Size”)
non ha eguali (thanks Annie). “Karen”, paragonabile a un quadro del miglior
Surrealismo, ha nella propria libertà sonora e interpretativa i suoi picchi.
Certo l’artista John lavora sulla sua interiorità, rendendo visibile e reale
ciò che noi non abbiamo fin qui conosciuto. “The Green Fuse”, in chiusura di
concerto, è corale e unisce per la sua fantasiosa musicalità, dove sembra che
un’alba non possa mai finire. Poetica, dominante, rara.
Dedicato da John Greaves alla
memoria di François Ovide e Michel Pintenet.
Gran concerto, signore e signori.
Gran disco, da avere.
Abbracci diffusi.
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