JULIUS
PROJECT: Cut the tongue
2020 ITA
Di Valentino Butti
E ’un esordio molto convincente
quello della “creatura” di Giuseppe “Julius” Chiriatti, dal titolo “Cut the tongue”. Un album, la cui genesi
risale addirittura al 1978 (!) con alcuni brani ultimati nel 1981. I pezzi
avrebbero dovuto far parte del repertorio della band di Chiriatti all’epoca, i
Forum, ma non se ne fece nulla fino al 2014, quando Bianca, la figlia di
“Julius”, giornalista musicale e appassionata di canto, riascoltò i demos
dell’epoca e riaccese la “fiamma” nel padre.
Venne ben presto contattato l’ex Jumbo, Paolo Dolfini (tastiere) che iniziò a coordinare il progetto. Piano piano ogni tassello andò al proprio posto e salirono sull’auto ormai in piena corsa Filippo Dolfini alla batteria, Marco Croci (Maxophone) al basso, un altro ex Jumbo, Dario Guidotti alla voce ed al flauto, i due chitarristi Francesco Marra e Mario Manfreda e Bianca, la figlia di Chiriatti alla voce. Numerosi poi gli ospiti del progetto tra i quali Richard Sinclair (Caravan, Camel, Hatfield & the North) voce nella title track. Veniamo, dunque, all’album. “Cut the tongue”, 18 tracce per circa 60 minuti di durata, è un lavoro a tema che si apprezza appieno se ascoltato in un’unica sessione poiché, di fatto, i brani sono tutti collegati a formare una ponderosa suite che merita un’attenzione particolare. La vicenda vede protagonista il giovane Boy, un ragazzo, la cui vita appare senza scopi, senza obiettivi. Un amico gli consiglia di affidarsi ad un “profeta” che lo avvia sulla strada dell’apparire, della ricchezza, delle false illusioni. Ben presto Boy si avvede della futilità di tale visione e uno spirito guida, incontrato in sogno, lo invita a “tagliare la lingua” a questi santoni del nulla. Col tempo Boy riavvolgerà i fili della propria esistenza e la solitudine sarà, per lui, una virtù e non un nemico da sconfiggere.
Ci pare che due siano le carte vincenti del progetto: l’aver affidato le parti vocali ad interpreti differenti ognuno dei quali offre un contributo personale e di qualità e, per una volta in un progetto italiano “credibile”, l’utilizzo della lingua inglese che si presta perfettamente alle dinamiche musicali create da Julius e dal resto dei musicisti coinvolti. Un lavoro, “Cut the tongue” che non scade mai di tono, ricco di melodie convincenti che entrano subito “in circolo”, di un sound sempre brillante e moderno, malgrado i link con gli anni d’oro del prog italiano siano tangibili (non dimentichiamo che i brani appartengono di fatto alla fine dei seventies…). Tutto ciò in un florilegio di tastiere, tra moog, hammond e pianoforte, usate con fantasia e vigore e che comunque non offuscano gli interventi solisti dei vari chitarristi presenti. La validità dell’album e la qualità sempre molto alta dei brani la si evince, molto banalmente, ascoltando quattro brevi brani strumentali – “Island”, “I see the sea”, “Cast away” e “Wandering” - che potrebbero essere “classificati” semplicemente come brani-ponte tra composizioni più articolate, ed invece vivono di luce propria con ritmiche brillanti, tastiere dinamiche ed efficaci e “solos” di ottima fattura. Altrove come nei due brani iniziali “The fog” e “In the room” prevale l’anima più sbarazzina del progetto, quella “new prog”; in “Speed kings” quella più rovente e rock con un sorprendente Marco Croci in veste (anche) di ottimo vocalist; in “The swan” o anche in “Clouds pt.2” emerge l’anima più romantica ed intimista con la voce delicata di Bianca perfetta per l’occasione; con la leggiadra “We know we are two” si sfiora l’universo Renaissance. C’è poi la title track in cui possiamo ascoltare uno dei migliori interpreti del prog inglese, Richard Sinclair: composizione raffinata “giocata”, all’inizio, sulle note del piano e sulla voce “canterburiana” che poi decolla sugli assoli di chitarra e synth accompagnati da una ritmica piuttosto articolata. Nel brano, alla chitarra, troviamo un altro ex Jumbo, Daniele Bianchini. Non manca neppure la ballad elettro-acustica di grande suggestione come in “Glimmers” e lo sfavillante finale di “Desert way”. Insomma, un album che non si fa e non ci fa mancare praticamente nulla e che si pone come una delle migliori pubblicazioni progressive per il 2020.
Non conosciamo le intenzioni di Julius per il futuro immediato, ma ci auguriamo che voglia continuare, con tempistiche più compresse ovviamente, su questa promettentissima strada intrapresa. Magari con un progetto che abbia il “classico” nome di tre parole tipico della tradizione italiana progressiva… ma questo è un semplice dettaglio ovviamente.
Il mio amico Marco Croci mi ha inviato la presentazione di questo progetto, personalmente oltre al fatto di concepire il fare musica in un modo assolutamente nuovo, trovo il progetto assolutamente godibile nei suoni, nelle voci, nelle atmosfere che si creano!
RispondiEliminaPer cui il mio applauso più sentito e sincero a tutti i protagonisti e uno in particolare al mio amico Marco Croci 👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻