AMUZEUM: New Beginnings
Autoprodotto 2020
USA
Di Valentino Butti
Amuzeum è una band statunitense, di Los
Angeles, formatasi un paio di anni fa e che proprio in questi mesi ha
pubblicato il lavoro d’esordio dal titolo “New
beginnings”.
Dando un’occhiata alla line up ci
accorgiamo subito che i cinque baldi giovani non sono certo di primo pelo:
quattro membri facevano già parte degli Heliopolis (un album ed un live tra il
2014 ed il 2016), inoltre il batterista Jerry Beller era stato membro dei Mars
Hollow (due album e un live tra il 2010 e il 2012), mentre il chitarrista
Michael Matier suonava con i Ten Jinn (band già attiva negli anni 90 e con cinque
lavori pubblicati).
Tutte band, le tre citate, che, chi
più, chi meno, si ispiravano ad un prog sinfonico, melodico, Yes Oriented con
in più un approccio heavy abbastanza comune negli States (Spock’s Beard docet).
Non neghiamo che il background dei cinque componenti del gruppo sia alla base dell’approccio a “New Beginnings” che, malgrado la copertina decisamente anonima, non delude quelle che erano le aspettative e le attese. Niente di clamoroso intendiamoci, ma una cinquantina di minuti (e sei brani) gradevolissimi e di buona fattura.
“The
Challenge” si apre con qualche arpeggio di chitarra, un po’ alla “Roundabout”
poi il brano prende quota con ritmiche nervose e cori eterei. Il cantato di
Scott Jones è doppiato puntualmente dai controcanti degli altri componenti,
Jerry Beller (batteria), Mark Wickliffe (basso), Matt Brown (tastiere), mentre
Michael Matier si “limita” ad importanti contributi con la sua sei corde,
rivelandosi sia fine cesellatore di suoni, quando necessario, che impetuoso
esecutore quando il pezzo lo richiede. In pieno Yessound anche la seguente
“Changing season”: delicato inizio affidato a Matier, sventagliate di synth e
poi il cantato di Jones. Il refrain orecchiabile, una sezione strumentale
articolata, l’alternarsi di fasi acustiche sognanti ed elettriche più
sbarazzine, fanno del brano uno tra i più convincenti dell’intero album. Diciamo
che i brani migliori presenti su “The ladder” degli Yes, potrebbero essere un
buon esempio per “cogliere” i primi due pezzi di “New beginnings”: brillanti,
melodici, perizia strumentale al servizio del brano…Che volere di più da un
album di prog sinfonico moderno? “Birthright” presenta sonorità appena più
heavy e vintage, batteria “secca” e la solita capacità del gruppo nel trovare
la melodia vincente. Gradevole pure “Nay sayer”: inizio soft con arpeggi di
chitarra, voce delicata, poi, dopo circa un minuto, il brano diventa più
incalzante, gli incastri vocali sempre puntuali così come il ritornello. Una
ballad davvero ben fatta con qualche “svisata” di synth tanto per renderla
ancora più attraente. “Shadow self”, sette minuti scarsi, con delle belle linee
di basso, si muove tra chiaro-scuri e difetta, per una volta, di una
convincente linea melodica, pur segnalando notevoli “solos” di Matier e di
Brown. “Carousel” chiude nel migliore dei modi l’album: meno “immediata” dei
brani che l’hanno preceduta, più meditata e raffinata, una vera perla. Qui
oltre al trademark Amuzeum, vengono esplorate anche zone “grigie”, quasi jazzy,
che dimostrano come la band sappia muoversi con perizia anche in composizioni
meno solari e dirette.
“New beginnings” rappresenta, dunque, un buon esordio per il gruppo a stelle e strisce: certamente “non originale”, ma un sano e smagliante prodotto ben confezionato ed eseguito. Insomma, per gli amanti del “sinfonico” a più ampio respiro.
https://amuzeum.bandcamp.com/album/new-beginnings
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