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martedì 30 settembre 2025

Rovescio della medaglia: 30 settembre 1973



Nel numero di Ciao 2001 del 30 settembre 1973 si parla del Rovescio della Medaglia.
Si parla delle novità, dell'ingresso di Franco di Sabatino (ex Paese dei Balocchi) alle tastiere, che sposta il gruppo su atmosfere più classicheggianti e meno "hard", del nuovo album "Contaminazione", un concept con gli arrangiamenti curati dal maestro Luis Enriquez Bacalov, non nuovo a queste esperienze  avendo già lavorato con New Trolls e Osanna.
"Contaminazione", tra il rock e l'orchestra sinfonica, è considerato uno dei migliori album del Progressive Italiano...


…di tutto un Pop
Wazza




lunedì 29 settembre 2025

I Grand Funk Railroad il 29 settembre del 1973

Il 29 settembre del 1973, i Grand Funk Railroad raggiungono il primo posto nella classifica dei singoli statunitensi con "We're An American Band".

Di tutto un Pop…

Wazza


Il settimo album della band, “WE'RE AN AMERICAN BAND” (1973) 


Registrato in soli tre giorni ai Criteria Studios di Miami, prodotto dal talentuoso Todd Rundgren, è un altro esempio della vertiginosa velocità con cui si è sviluppato il rock.

L'album è stato n° 2 negli Stati Uniti e ha ottenuto un disco d'oro un mese dopo la sua uscita, merito alimentato dal successo del singolo “We're An American Band”.


We're an American band… 

We're an American band… 

We're coming to your town, we'll help you party it down. 

We're an American band… 

Parole semplici e dirette, copertina scarsa ed essenziale. È così che si presenta uno dei migliori dischi mai realizzati a marchio USA da uno degli ultimi gruppi che riempì gli stadi americani negli anni ‘80.

I Grand Funk nacquero come gruppo hard-blues col nome di “Grand Funk Railroad”, grazie al lead-singer e chitarrista Mark Farner, il bassista Mel Schacher e il batterista Don Brewer, tre ottimi musicisti che vengono troppo spesso dimenticati. Più tardi vi si affiancò anche il tastierista/cantante Craig Frost, il quale portò nel gruppo una vena di hard rock.

La band è famosa più che altro per le spettacolari performance live, al punto tale che la critica assegna loro il titolo di “loudest band in the world”, ovvero la band più rumorosa del mondo.

“We’re An American Band” è un disco dal facile ascolto, diretto ed immediato, che parla di feste, donne, alcool e della vita “on the road”, aprendo proprio con la title-track, una fantastica autocelebrazione di una band spaccaculo, il cui ritmo ha il potere di coinvolgerci fin dalle prime note. Il pezzo, scritto e cantato dal batterista, diventa subito uno dei capisaldi della band, immancabile nella scaletta dei concerti successivi. Il ritmo trascinante non è da meno in “Stop Lookin’Back”, i cui fraseggi di chitarra e basso si intrecciano in un alternarsi di linee melodiche, colorate dagli accenti di organo e dei piatti, con tanto di piccolo solo finale di batteria, una perla incastonata fra l’oro della canzone.

Dopo il discutibile episodio di “Creepin”, si arriva alla strepitosa “Black Licorice”, uno dei pezzi più travolgenti del disco, che si fa ascoltare ai massimi livelli, in cui Frost dona dei vocalizzi degni di Ian Gillan dei tempi d’oro, e un assolo di tastiera che non ha niente da invidiare a John Lord in suono e abilità; alla fine del pezzo, paragonabile ad un’esplosione collettiva, la band ci lascia di nuovo respirare, con un pezzo lento ma intenso, “The Railroad”, dove si riconosce finalmente la voce del grande Mark Farner, col suo accento americano e la sua calda timbrica, suggellata dalla parte corale. Per ogni amante del basso elettrico, suonato in modo ritmico e sincopato, “Ain’ t Got Nobody” è una vera chicca, una di quelle canzoni che ascolterei all’infinito, senza stufarmi mai… “Walk Like A Man” è un bel pezzo, superata solo da “Loneliest Rider”, il brano più emozionante del disco. Mark Farner, la cui nonna era indiana, scrisse questa canzone come dedica all’etnia che da sempre fu vittima di persecuzioni da parte dei coloni bianchi.

Tra le bonus track, le canzoni “Hooray” e “The End” (in cui è percepibile un’influenza Deep-Purpleliana) sono di ottimo livello, avrebbero dovuto essere parte del disco originale. La All American Band per eccellenza sfornò questo disco nel 1973, e rimane tutt’oggi uno dei più belli dell’intera discografia, purtroppo poco conosciuto.





Led Zeppelin in Giappone nel settembre del 1971


Si concludeva il
29 settembre 1971 il primo tour dei Led Zeppelin in Giappone.
I “ragazzi” rimasero estasiati nel vedere quanto il paese fosse tecnologicamente avanzato dal punto di vista industriale.
Jimmy Page racconta che tornarono in Inghilterra carichi di telecamere e hi-fi, visto il basso costo del materiale.

Il profitto del concerto di Hiroshima (27 settembre 1971) fu devoluto in beneficenza:


Sembra che durante il tour Robert Plant venne alle mani con John Bonham per un vecchio debito… l’intervento del manager Peter Grant mise le cose a posto!
Di tutto un Pop!
Wazza





Compie gli anni Jean-Luc Ponty

Compie gli anni oggi, 29 settembre, Jean-Luc Ponty, violinista francese che spazia tra jazz-fusion-rock prog.

Fu uno dei primi ad usare il violino elettrico.

Collabora per molti anni con Frank Zappa, e nel 2014 forma una band con Jon Anderson, ex cantante degli Yes

Happy Birthday Jean-Luc!

Wazza


Jean-Luc Ponty (Avranches, 29 settembre 1942) è un violinista francese, interprete di musica jazz fusion.

Dopo gli studi classici al conservatorio di Parigi, si dedicò al jazz guidato dalla passione per Miles Davis e John Coltrane. Ha lavorato con Stéphane Grappelli, la Mahavishnu Orchestra, Elton John, Franco Cerri, Alan Sorrenti partecipando all'album Aria, Daryl Stuermer e, soprattutto, con Frank Zappa.

Nel 1977 ha precorso l'uso del violino elettrico a cinque corde, con una corda più bassa accordata sul do. Ha anche utilizzato violini a sei corde (Violectra) con corde di basso in do e fa. Ponty è stato anche tra i primi a combinare il violino con MIDI, e distorsori.

Nel 2005 Ponty ha formato il "supergruppo" TRIO! con il leggendario bassista Stanley Clarke ed il virtuoso del Banjo Béla Fleck. 








domenica 28 settembre 2025

Compie gli anni Paul Burgess


Compie gli anni il 28 settembre, Paul Burgess, batterista.

Ha suonato con 10cc, Camel, Magna Carta, in trio con Nicol & Kemp.

Ma quello che ha “valorizzato” il suo curriculum e il fatto che nel 1982 sostituì Gerry Conway, nei Jethro Tull, per il tour nord americano.

Happy Birthday Paul!

Wazza

Trio insieme a Ken Nicol (Albion Band) e Rick Kemp (Steeleye Span)

Il 28 agosto 1982 al Festival di Nostell Priory (Theakston Music Festival), debuttava come batterista nei Jethro Tull Paul Burgess, batterista dei 10cc (che ad Anderson non piacevano Ndr).

Resterà fino alla fine del tour americano (ottobre 1982).

Paul tornerà ancora in studio con i Jethro Tull, nel 1985 per suonare sul disco “A Classic Case”, una raccolta dei brani dei Tull riarrangiati da David Palmer, e suonati insieme alla London Symphony Orchestra.

 







Fine Usa Tour 1982 – Paul Burgess è il terzo da sinistra



sabato 27 settembre 2025

Il settembre musicale londinese nel 1968

Outside the Marquee Club, London, 1968


Nel 1968 questo era il programma dei locali in UK, nello specifico il Marquee di Londra.

Ora solo cover e tribute (qualcuna con il sostantivo official) band. 

Nessuno vuole più investire idee nello spartito, il “copia incolla” oggi è di moda anche nella musica. 

Quando si saranno “estinti” gli ultimi interpreti, il rock diverrà come la musica classica, e continuerà ad essere suonata da “bravi esecutori” 

Nella speranza di una nuova “alba musicale” 

Di tutto un Pop…

Wazza


Jethro Tull abituè al Marquee

The Who perform at the Marquee Club, London



 

venerdì 26 settembre 2025

John Strada - Basta Crederci Un Po’, di Luca Paoli



John Strada - Basta Crederci Un Po’

 (Crinale, 2025)

di Luca Paoli

Undici canzoni come specchi incrinati, dove la vita si riflette senza filtri


Release album: venerdì 7 novembre 2025


A volte ascoltare un disco è come aprire un quaderno che non ti aspetti: pieno di scarabocchi, note a margine, emozioni che ti colpiscono senza chiedere permesso. Così è stato per me con Basta crederci un po, il nuovo lavoro di John Strada

C’è sempre un confine sottile tra il bisogno di raccontare e quello di salvarsi, e qui quel confine diventa il filo invisibile che attraversa ogni brano: tra la vita quotidiana, le illusioni, la rabbia e le piccole speranze che ci portiamo dentro.

Il disco respira tra l’Emilia e l’America, tra la canzone d’autore italiana e le radici rock’n’roll che da sempre accompagnano Strada. Ma c’è qualcosa in più questa volta: come racconta lo stesso Strada, c’è stata una svolta nel suo modo di scrivere, guidata da nuove ispirazioni, letture e ascolti. Ha scritto, distrutto, rivisitato, e solo quando si è reso conto di avere del buon materiale ha deciso di affidarsi a Don Antonio Gramentieri, un vecchio amico e produttore artistico, per trasformare quelle canzoni in un percorso coerente. Ascoltarlo è come entrare in quel percorso: tra familiarità e sorpresa, ogni canzone diventa un piccolo diario che non smette di parlare.

Attorno alla voce e alle chitarre di Strada si muovono la batteria di Diego Sapignoli, le tastiere di Nicola Peruch, le percussioni di Denis Valentini e i cori di Daniela Peroni e Laura Zoli. Un suono curato, essenziale, registrato a La Casina di Modigliana e rifinito da Ivano Giovedì al Waveroof di Castel Bolognese.

Ogni tappa della carriera di Strada sembra un tassello di un mosaico più grande. Dal progetto multidisciplinare di Dalla periferia dell’anima (2008), dove musica, racconti di Gianluca Morozzi e fotografie dipinte da Andrea Samaritani si intrecciavano in un’unica esperienza, fino al dvd live del 2010, che catturava l’energia dei concerti. Poi Live in Rock’a (2012), con la sua forza immediata, e Sangue e polvere, che ha raccontato il dolore e la resilienza dopo il terremoto emiliano. Non si può dimenticare il riconoscimento europeo per Meticcio (2014), l’apertura internazionale di Mongrel (2016), fino alla delicatezza acustica di Fra Rovi & Rose (2020). Ogni disco ha lasciato un segno diverso. Come se Strada stesse scrivendo un unico diario: corde di chitarra, parole, inchiostro. Ogni capitolo racconta un pezzo della sua vita e del nostro tempo.

I brani scorrono come pagine di un diario imperfetto, pieno di spigoli e annotazioni a margine. Basta crederci un po’ mi ha colpito subito. Un elettro-blues ipnotico che mette a nudo la finzione dei social: vite curate a tavolino, sorrisi costruiti. Ascoltandolo, ho pensato alle persone che conosciamo ogni giorno e a quanto ci raccontiamo versioni di noi stessi che non esistono davvero.

Ballando in città è un respiro leggero nel disco. Ti fa scivolare in un mondo sospeso, dove tutto sembra possibile e nessuno riesce davvero a rovinare i sogni. Mi ha fatto sorridere, e per un attimo ho dimenticato la gravità dei temi del disco.

Parlavo da solo è quasi un monologo interiore. Entrare in quella testa significa seguire dubbi, rimpianti, scoperte improvvise. Non è facile da seguire, ma ogni ascolto rivela piccole verità, frammenti che cercano una conclusione sempre in sospeso.

Non ti dirò ti amo parte ruvida, quasi a voler respingere, e poi sboccia in un ritornello fresco e luminoso. Non è mai sdolcinata. Parla di un amore imperfetto, fatto di gesti e dettagli, fragilità e onestà. L’ho percepita come una carezza inattesa, tra parole e silenzi.

Manca il respiro ti prende allo stomaco. È un pugno lento e inesorabile. Strada racconta la frustrazione di non essere diventati ciò che sognavamo da ragazzi, senza indulgere nel vittimismo. Rabbia e tenerezza si mescolano: la consapevolezza dei propri limiti diventa un sentimento vero, tangibile.

Girasoli è un brano silenzioso e pesante, che prende le mosse dalla storia di Federico Aldrovandi, il diciottenne ferrarese morto nel 2005 durante un controllo di polizia. John Strada sceglie di raccontarla con delicatezza e rigore, senza indulgere ma senza nemmeno trasformarla in slogan: la voce resta ferma, il dolore non viene attenuato, e la musica diventa un’ombra discreta che accompagna l’ascoltatore, costringendolo a riflettere sulla violenza, sulla paura e sull’ingiustizia che possono ancora attraversare le nostre vite.

La scuola è finita esplode in energia e leggerezza. I cori di ragazzi e ragazze portano il brio della gioventù, la voglia di libertà, di non piegarsi al mondo degli adulti. Ti fa battere il cuore e ricordare l’euforia di quei momenti in cui tutto sembrava possibile.

Amore social racconta delusione e attesa che non viene ricambiata. Lui aspetta, lei non arriva. Nella voce di Strada c’è tutta la fragilità e la speranza di chi si affida a un legame costruito a distanza. Ti fa sentire amore e vuoto nello stesso istante.

La vita va restituisce una sensazione di sospensione. Giorni uguali, promesse non mantenute, routine che non lascia scampo. È il racconto di un disadattato che osserva il mondo dalla sua finestra, senza illusioni, e ti porta con sé nel suo piccolo universo.

Giocattoli rotti è la ballata più dolorosa del disco. Rimpianti, ricordi, tentativi di aggiustare ciò che ormai è spezzato. Ogni ascolto lascia un peso, un’amarezza sottile, che si mescola alla bellezza della melodia.

Infine, “La tygre e l’agnello” chiude l’album con un colpo secco. Il ritmo incalzante e la voce parlata disegnano immagini forti. Il titolo richiama le poesie di William Blake (The Tyger e The Lamb), che interrogavano la doppia natura dell’essere umano, tra ferocia e innocenza. Qui quell’immaginario viene spostato nel presente: un racconto crudo sul femminicidio, senza risposte rassicuranti, solo un’inquietudine che resta addosso.

Basta crederci un po’ è un disco che guarda la realtà senza filtri, senza paura di alternare leggerezza e dolore. John Strada ci accompagna in un mondo che conosciamo bene: fragilità e illusioni, ma anche resistenza e speranza. Basta davvero crederci un po’? Forse sì. Almeno nella musica che non smette di raccontarci chi siamo.

E in quel racconto c’è qualcosa che va oltre le parole e le note: c’è lo spazio per fermarsi un attimo, per riflettere sulle nostre giornate, sui gesti imperfetti, sulle emozioni che cerchiamo di nascondere. Ascoltando questo album, ti accorgi che credere non è solo un atto di fiducia o ottimismo: è un modo di restare presenti, di continuare a osservare, amare e sorprendersi. In ogni canzone c’è la pazienza della vita che scorre, e la forza gentile di chi, come Strada, sceglie di raccontarla senza filtri, con sincerità, senza mai scadere nel semplice buonismo. Alla fine, Basta crederci un po’ ti lascia con la sensazione di aver percorso insieme un piccolo viaggio intimo, fatto di luci e ombre, di dolore e di dolcezza, un viaggio in cui riconosci te stesso ad ogni passo.


giovedì 25 settembre 2025

RocKalendario del secolo scorso – Settembre, di Riccardo Storti


 

RocKalendario del secolo scorso – Settembre

di Riccardo Storti

 

1955 10 settembre. Il primo successo di Chuck Berry, Maybelline, raggiunge la posizione più alta in classifica, il numero 5 nella Billboard Top 100. Quando Berry portò per la prima volta la canzone a Leonard Chess, il brano si intitolava Ida May, ma il proprietario della casa discografica pensò che fosse "troppo rurale". 

Così, notando una scatola di mascara sul pavimento dello studio, Chess esclamò: "E che cavolo! Perché non chiamiamo questa dannata cosa Maybelline?", modificando accortamente l’ortografia per evitare problemi con la nota azienda di cosmetici.

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1965 – Il 25 settembre negli USA balza al n. 1 dell’Hit Parade, la controversa Eve Of Destruction di Barry McGuire. Siamo in piena Guerra Fredda e il tema cupo e apocalittico del brano fu così divisivo da essere bandito dalla programmazione di alcune radio statunitensi. Pensate che la canzone fu inizialmente offerta ai Byrds, che però la rifiutarono, mentre i Turtles ne incisero una versione, pubblicata nel loro album di debutto del 1965 (It Ain't Me Babe), poco prima che fosse registrata quella di McGuire.

Il cantante, anni dopo,  ricordò che Eve of Destruction era stata registrata in una sola sessione di registrazione, un lunedì mattina (12 luglio), leggendo il testo scarabocchiato su un foglio accartocciato. Il giovedì successivo, alle 7 del mattino, ricevette una telefonata dalla casa discografica che gli consigliò di accendere la radio: quella canzone stava passando già in onda.

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1975 – È Settembre quando esce uno dei capolavori assoluti del jazz-rock italiano: La Valle dei Templi del Perigeo. La copertina resta un’icona e anche il disco è divenuto presto una pietra miliare tale da sevidenziare la maturità del gruppo. Dopo l’esordio di Azimuth e il bis con Abbiamo tutti un blues da piangere, questo nuovo disco impone il Perigeo all’attenzione di un pubblico sempre più vasto.

 Oltre al title track, si distinguono i guizzi frizzanti dell’opener Tamale e di Looping, l’ossessivo 5/4 di Il mistero della Firefly, l’intimismo da colonna sonora di Pensieri e di Alba di un mondo, i passaggi carioca di Cantilena e le evocazioni tra fusion e World Music nella conclusiva Un cerchio giallo. In line-up, oltre al consolidato quintetto (Biriaco, D’Andrea, Fasoli, Sidney e Tommaso), si aggiunge la presenza di Tony Esposito con le sue percussioni.

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1985 – 3 settembre. Steve McQueen sbarca in USA. No, non si tratta dell’attore, bensì dell’album della pop band inglese Prefab Sprout che, in primavera, aveva pubblicato il disco in Gran Bretagna, mentre l’uscita negli States mutò titolo in Two Wheels Good, probabilmente ispirandosi alla moto cavalcata dal cantante e chitarrista Paddy McAloon, ritratta in copertina.

Un album che vendette tantissimo grazie soprattutto ai singoli When Love Breaks Down, Appetite e Goodbye Lucille #1.

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1995 – 21 settembre, irrompe Buon compleanno Elvis di Luciano Ligabue. Abbandonato il ticket con la storica band d’appoggio dei Clan Destino, Liga balla da solo dando alle stampe un disco più vicino alle radici rock, blues, se non addirittura, folk rock: l’acustico e l’elettrico convivono placidamente tra ballad e r’n’r. 

Sarà un successo di vendite da paura anche grazie ad una serie di singoli (Certe notti, Viva!, Hai un momento, Dio?, Quella che non sei, Seduto in riva al fosso, Vivo morto o x e Leggero) che faranno da traino alla diffusione del 33 giri. Tra i musicisti, l’hammondista Pippo Guarnera, che alcuni di noi ricordano quale collaboratore dei Napoli Centrale e di Eugenio Finardi.

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John Bonham: per non dimenticare

25 settembre 1980 - Starway to heaven... or hell!


Fine settembre 1980, i Led Zeppelin sono riuniti nella villa di Jimmy Page per le prove in vista di un eventuale ritorno sulle scene. John Bonham arriva già "brillo" e continua a bere, sembra "40 bicchieri di vodka"; viste le sue condizioni viene portato in una stanza dove viene lasciato dormire. La mattina dopo, 25 settembre 1980, John Paul Jones e il manager lo trovano morto, soffocato dal suo stesso vomito!

Se ne andava così a 32 anni il grande batterista dei Led Zeppelin, innovatore della batteria, caposcuola per l'hard rock, heavy metal, rock blues.

Con i Led Zeppelin ha macinato tour, dischi d'oro, riconoscimenti; nel 2011 i lettori di Rolling Stone Magazine lo dichiarano "miglior batterista di tutti i tempi"

Ma a causa di una vita fatta di eccessi, droghe alcol e sesso sfrenato (!!!), la sua carriera è andata rapidamente in declino. Rimarrà sempre il "Bonzo" che ancora oggi ci scuote, e non riusciamo a trattenerci, quando ascoltiamo, "Black Dog" "Moby Dick" "Immigrant Song".

Il Pensiero di alcuni "colleghi"...

«La batteria non c'entrava. John si sedette dietro un kit in miniatura: una cassa da 18", un rullante alto 4", un tom da 12" e uno da 14"... ed era quel suono! Rimasi annichilito da quello che stavo sentendo, e da come lo stava suonando: da quel minuscolo kit stava uscendo il sound dei Led Zeppelin!»

Dave Mattacks, Fairport Convention

Memories: Ringo Starr e John Bonham, cose da batteristi

«Avevamo ottenuto un backstage pass per le due serate del festival di Knebworth [1979, NdA]. Bonham arrivò insieme a suo figlio e si sedette alla batteria per controllare l'accordatura. L'impianto di amplificazione non era ancora acceso, e lui fece qualche acciaccatura: il palco iniziò a tremare, io e John Deacon ci guardammo negli occhi, e ci abbracciammo».

(Roger Taylor - Queen)

Alcune sue "bravate"

Una volta John Bonham invitò Glenn Hughes a fare un viaggio sulla sua nuova e lussuosa macchina. Il batterista andò a sbattere dritto contro un muro e abbandonò la macchina. Il giorno dopo Hughes lo incontrò su una nuova lussuosa macchina e gli chiese che cosa avesse fatto con la vecchia macchina. Bonham rispose: "Quale macchina?".

Nel 1976 si recò ubriaco nel backstage del "Nassau Coliseum" di Long Island durante un concerto dei Deep Purple. Quando notò un microfono libero salì sul palco prima che i roadies potessero fermarlo; il gruppo smise di suonare mentre Bonham urlava al microfono: "Sono John Bonham dei Led Zeppelin e voglio semplicemente annunciarvi che abbiamo un nuovo album in uscita: si chiama “Presence” e, cazzo, è fantastico!".

Prima di andarsene si voltò verso il chitarrista dei Deep Purple e lo insultò dicendo: "E per quanto riguarda Tommy Bolin, non sa suonare una merda!".



Band of joy 1968 , con John Paul Jones e Robert Plant 

 



mercoledì 24 settembre 2025

Il 24 settembre 1974 si concludeva la seconda edizione del “Villa Pamphili Festival”


Il 24 settembre 1974 si concludeva la seconda edizione del 

“Villa Pamphili Festival”

 

Si concludeva il 24 settembre 1974 la seconda edizione del "Villa Pamphili Festival", all'epoca giudicata sottotono rispetto alla prima edizione, sia per numero di presenze che per la qualità dei gruppi presenti (si parla di 12.000 presenze contro le 20.000 della precedente edizione).

Si parte il 20 settembre con un diluvio che mette a dura prova gli organizzatori, che presentavano un impianto da 10.000 watt ma, a parte un ritardo di 24 ore, il festival prende il via.

Nella prima serata tra gli altri se esibirono: Ciampini & Jackson, Biglietto per L'Inferno, Dodi Moscati, Angelo Branduardi, Banco Del Mutuo Soccorso; il giorno dopo: Amazing Blondel, Richrd Benson, La Spirale, La Preghiera di Sasso, Juri Camisasca, Strada Aperta, I Crash (dei fratelli Falco), Il Volo....

Terza serata: ancora Amazing Blondel, Sensation Fix, Crepuscolo, Murple, Kaleidon, Albero Motore, Samadi (ex RRR), Mauro Pelosi.

...le due firme sono di Francesco Di Giacomo e Vittorio Nocenzi del Banco del Mutuo Soccorso... il biglietto è di Tony Carnevale che lo conservò per trent'anni nel suo portafoglio e lo mostrò poi a Francesco (ovviamente molto commosso) durante una mostra sull'evento...

L'ultima serata era previsto il concerto di Stomu Yamashta, ma i costi elevati del percussionista giapponese indussero gli organizzatori a "ripiegare" sui Soft Machine, che iniziarono a suonare a mezzanotte, davanti ad un pubblico gelato e fradicio di umidità! Prima di loro toccò ai Perigeo, Ibis, Assemblege, Ines Carbona, Etna.

Stando alle recensioni dei giornali, il Banco Del Mutuo Soccorso fu il gruppo che risollevò il festival, per le presenze e per un concerto memorabile (posso testimoniare… ma io sono di parte!).

Oltre ai grandi e alle nuove promesse del rock, nel cartellone c'erano molti folk-singer: da notare che la siciliana Rosa Balestreri fu sommersa dai fischi, tanto da non poter continuare la sua esibizione, mentre il Duo di Piadena, con Bandiera Rossa e Bella Ciao (paraculi!), ricevettero molti applausi.

Per il resto, pubblico ordinatissimo, nessun incidente, e per quattro giorni capelloni, seguaci di Hare Krishna, militari in libera uscita e studenti, condivisero questa "Woodstock" dè noantri.

Si dice che molte persone non vennero perchè in quei giorni in tv c’erano sia il tentativo di record di immersione di Enzo Majorca che il derby Roma-Lazio!

C'era anche la troupe Rai di "Sapere" che riprendeva... chissà che fine hanno fatto quei filmati… sarebbe bello rivederli, visto che la memoria, ha poca ram...

Altri tempi!

...di tutto un Pop!

Wazza