“L’assenza è un assedio” scrisse un livornese con le
carte in regola, ed una delle tante dimostrazioni dell’aureo assunto si ha
censendo il sempre crescente novero di noi inconsolabili orfani di Robert
Wyatt.
Da quando il vecchio barbuto marxista paraplegico si è
ritirato, da quando quella che Sakamoto definì “la voce più triste del mondo”
ha smesso di cantare, da quando il rigore dell’impegno politico e la ricerca
senza compromessi dello straordinario sperimentatore si sono eclissati, il
panorama musicale è sembrato immediatamente più arido e inospitale.
Questo 2015 ci porta però insperate consolazioni nelle
vesti della doppia eccentrica antologia “Different
Every Time”, che prevede un cd dedicato alla carriera solista e l’altro ad
alcune delle sue innumerevoli collaborazioni (troviamo anche “Goccia”, bella
traccia di Cristina Donà), dove onestamente si poteva scegliere di più e di
meglio.
Ma poi c’è l’omonima biografia (autorizzata) curata da
Marcus O’Dair ed appena pubblicata da Giunti nella bella traduzione di
Alessandro Achilli, piacevolissima cavalcata alla scoperta delle tante anime di
Wyatt.
Ecco allora sfilare il bipede batterista, all’ombra
del patafisico mentore Daevid Aellen, colto ad esercitarsi in una rimessa della
villa maiorchina di Robert Graves, alla vigilia delle soffici macchinazioni di
cui sarà anima e cuore.
A seguire i tempi della ruvida militanza RIO col
supergruppo Matching Mole, agguerrito eppure capace di slanci melodici come “O
Caroline”, bagliore riflesso d’un raggio dell’antica luna di giugno.
E verrà la terrifica paresi soavemente sublimata in
catarsi creativa “ex machina” e sacralizzata nel lampo immortale “Rock Bottom”,
autentica pietra filosofale dell’intellighenzia musicale canterburiana.
A chiudere un percorso artistico pressoché netto ci
saranno gli ultimi eccellenti lasciti discografici, opere di un pacificato (ma
non troppo) e venerato (mai abbastanza) maestro, dominati da quel “Comicopera”,
sublime esercizio d’impossibile equilibrio tra cerebrale ed emozionale, che si
aggiudicò meritatamente i riconoscimenti della più illuminata stampa musicale
internazionale, e che ha anche il merito di aver fatto conoscere a tanti una
composizione dei benemeriti C.S.I. di Giovanni Lindo Ferretti (“Del
mondo”).
In mezzo a questo e tanto altro scorrono l’arte, la
politica, la rabbia, l’umorismo, l’indignazione, l’alcol, le meditazioni, i
fallimenti. La vita. E la compagna della vita: Alfreda “Alfie” Benge, coautrice
di molte liriche e raffinata pittrice, le cui creazioni ritroviamo nel ricco
apparato iconografico del libro.
Ma le sorprese non finiscono qui: lo scorso aprile
l’icona del rock russo Boris Grebenshikov ha rilasciato il singolo “Stella
Maris” che vede Wyatt contribuire con voce, tuba e cornetta. Ed è straniante e
delizioso sentire l’irsuto iconoclasta arabescare un’icona mariana d’altissima
spiritualità.
Ora è legittimo sperare che quest’ultimo prezioso
cameo preluda ad un ripensamento sull’esilio che ci possa regalare altre magie.
Lo so, I’m a believer… lo so, sto sognando, in volo
tra le morbide ali d’una chagalliana colomba, proprio lì, tra le seriche nubi
della copertina di “Shleep”. Non mi svegliate, ve ne prego!
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