di Paolo
Rigotto
Gianluca Mondo, piemontese, è
al suo secondo lavoro dopo il precedente “Petali”.
Gianluca ha dalla sua
sicuramente l'istrioneria e una interessante duttilità vocale. Presenta un
lavoro fatto di composizioni eterogenee, in alcuni casi ben riuscite, in altri
meno.
Partiamo con “Malamore sta con te” che si apre
musicalmente come un interessante tessuto di voci alle quali presto si
sostituisce una chitarra elettrica dalle note tenute all'infinito, scortata da
un pianoforte e da percussioni decisamente minimali. L'effetto sonoro è
indubbiamente interessante, un crescendo che sembra non avere un luogo in cui
esplodere, e in effetti non lo fa. Ma non è un male. Anche la voce tra il
recitato e il quasi-cantato ha una sua personale qualità, ma si fatica ad
essere del tutto convinti del testo, che, come anche in altri casi, tende
spesso ad una esplicità punk che trovo a volte fuori luogo. E comunque si
tratta in definitiva di una canzone d'amore. Segue “La canzone del baio”, inno bucolico alla cavalcata e al rapporto
uomo-cavallo. Un country forse non originalissimo ma gradevole, al quale segue
in modo quasi traumatico un terremoto
punk, “Il blues di Van Gogh”, che poi
(almeno nella forma) proprio blues non è. Il testo è una sorta di
confessione-racconto epistolare; non metterei in discussione le parole usate ma
l'intenzione un po' monocorde con cui viene interpretato. Possiamo dire che al
terzo pezzo si avrebbe voglia di una sterzata stilistica, ma ancora i tappeti
di chitarra (ad opera di Carlo Marrone, come la maggior parte degli strumenti
presenti nel CD) la fanno da padrone, e se al primo pezzo la cosa incuriosiva,
al terzo si comincia ad aspettare un cambiamento. Cosa che in effetti avviene
nel “Blues del doppiopetto”, la prima
canzone del disco a rompere efficacemente la vena “ambient punk” creata finora.
La voce se ne sta in disparte, a lamentarsi in un angolo rischiando talvolta
quasi di sparire mentre strati di chitarre confermano che, sì, adesso stiamo
ascoltando un blues.
Arrivati a “Soltanto per pazzi” appare
inequivocabilmente chiara la vocazione poliedrica di Gianluca Mondo, e
soprattutto un certo gusto per la destrutturazione minimale dei generi. Nel
brano in questione possiamo parlare di un rock quasi del tutto privato di
elementi virtuosistici ed estetici, il riferimento alla follia non appare poi
così scontato e la canzone tutto sommato scivola sghemba come uno dei pezzi più
riusciti del disco. “Ringraziamento”
è un bel testo su una musica semplicemente non all'altezza. Viceversa, “Anticanzone” è quello che dice di
essere, dove la musica è un circo che sta lentamente perdendo i suoi punti
fermi, non ci sono clichè pop e le idee musicali sono decisamente provocatorie
e spontanee. Questo tipo di approccio è quello che a mio avviso riesce meglio a
Gianluca, laddove ci si libera di regole e manierismi che in realtà in altre
canzoni ancora sopravvivono.
Affascinante la
successiva “Lamento di Berzano”, con
una intro in cui gli strumenti sembrano essere stati svegliati di soprassalto
per accompagnare un improbabile ma efficace yodel che presto porta alla prima
strofa, un lamento, appunto, allampanato e obliquo, che rappresenta nella sua
voluta e breve stranezza uno dei momenti musicalmente migliori. “Lettera cattiva” è l'ennesimo ritorno
alla normalità, sonoramente parlando. Il testo è notevole, forse il più
riuscito dell'intero lavoro. É una ballad acustica, un po' in aria di Leonard
Cohen, senza fronzoli e breve il giusto.
Il disco si chiude con
“Vagamondo” altra ballata a base di
pianoforte e chitarre abrasive dalle note infinite.
In sintesi questo Malamore è un disco di intenzioni varie e (in
parte) originali. Dal punto di vista sonoro è certamente da classificarsi tra i
lavori interessanti, mentre la produzione è standard, senza fronzoli ma nemmeno
troppe sorprese, un po' come alcuni testi che in alcuni casi latitano un poco
di interesse. Ma in linea di massima l'originalità dell'intero lavoro è
sufficiente a promuoverlo.
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