Prog Exhibition - Roma 5-6 novembre 2010
Hello boys and girls,
era dagli antichi
fasti degli anni '70 che non si teneva un festival, raduno, così importante,
per qualità e partecipazione di artisti.
Tutto questo ha un
nome, "Prog
Exhibition", che si tenne a Roma il 5-6 novembre 2010.
Grazie all'intuito e professionalità di Iaia De Capitani, organizzatrice, e
Franz Di Cioccio, direttore artistico. A Roma, in due giorni, si celebrarono i
40 anni del pop-progressive italiano, con la partecipazione di tutti i
musicisti che hanno fatto la storia del prog italiano, più nuove proposte. La
grande trovata fu quella di accoppiare un "big" straniero ai gruppi
italiani, quasi un interscambio tra le varie culture e stili musicali.
Per la gioia dei 2000
fans accorsi a serata da tutta Italia, e molti stranieri, si esibirono sul
palco accoppiate del tipo Premiata Forneria Marconi + Ian Anderson,
Banco Del Mutuo Soccorso + John Wetton, Osanna
+ David Jackson, Nuova Raccomadata +
Thijs Van Leer, Tagliapietra,
Pagliuca, Marton+David Cross.
Furono due serate
eccezionali, sia dal punto musicale che da quello della condivisone, tre
generazioni che convivevano perfettamente sotto lo stesso tendone, c'erano i
"reduci" di Villa Pamphili, di Caracalla, del Parco Lambro,
giovanissimi che non avevano mai visto tanta "grazia di Dio", tutti
assieme, emozioni indescrivibili per due giorni.
Purtroppo le edizioni
che sono seguite non hanno avuto lo stesso successo, non per la qualità dei
musicisti, ma per il disinteressamento del popolo prog (!!??): in Italia
possiamo avere il "Grande Fratello" 20° edizione, ma non siamo
preparati, per cose, culturalmente più complesse!
Bona la prima...
Personalmente ho un
bellissimo ricordo di tutto il periodo festival (prima-durante-dopo), uno degli
eventi musicali più belli che abbia mai visto.
Ancora tanto di
cappello a Iaia per questi concerti, che saranno sempre nella mente e nella
storia di chi ha partecipato
WK
Commento di Alberto Sgarlato…
Nel 1970, anno di grandi fermenti musicali internazionali,
mentre sull’Isola di Wight si contendevano (letteralmente, come rivelano gli aneddoti
narrati dagli stessi musicisti) il palco
Hendrix, Jethro Tull, Miles Davis, i neo-costituiti Emerson Lake
and Palmer e tanti altri grandi, in Italia, a
Roma, per la precisione, si avvicendava sul palco di Caracalla tutta la crème
di quel movimento che all’epoca fu semplicemente battezzato nuovo pop italiano e che negli anni conquistò una planetaria popolarità, dal
Giappone al Sud America, con il nome di Italian Progressive Rock.
Venerdì 5 e sabato 6 novembre 2010, le Edizioni Musicali Aereostella di Iaia De
Capitani hanno voluto commemorare il quarantennale di quello straordinario
evento con una due-giorni di progressive rock presso il Teatro Tendastrisce di
Roma, la Roma ProgExhibition Festival. Tra il foltissimo pubblico accorso,
anche delegazioni, con bandiere e striscioni, dagli USA, dal Messico, dalla
Costarica, dal Giappone e da quasi tutte le nazioni europee.
5 Novembre
L’arduo compito di rompere il ghiaccio è affidato ai Synesthesia, in rappresentanza di quel
recente filone che fonde certe atmosfere del prog con la violenza del
power-metal. Il connubio esalta i più giovani tra i presenti ma fa un pò storcere il naso ai vecchi puristi.
Dopo di loro salgono sul palco i genovesi La Maschera di Cera, band nata all’inizio di questo decennio ma con l’intento di riproporre in maniera fedele nelle proprie
originali composizioni le sonorità (e persino la grafica e il packaging) dei grandi concept album prog dell’epoca. La loro performance è potente e grintosa, in particolar
modo da parte del front-man Alessandro Corvaglia, che si scatena con grande
teatralità, ma purtroppo la band è in assoluto quella più penalizzata in termini di suoni. Soprattutto le
tastiere di Agostino Macor, sempre molto attento nel ricreare timbriche
vintage, sono soffocate quando invece meriterebbero di emergere con vigore.
Iniziano le band storiche: i primi sono The Trip, che
propongono materiale dai due loro album più famosi, cioè Caronte e
Atlantide. Sul palco ritroviamo il tastierista Joe Vescovi, il cantante (e
originariamente bassista, ma oggi purtroppo vittima di problemi
articolari) Wegg Andersen e il drummer
Furio Chirico (anche degli Arti & Mestieri), oltre a due giovani
comprimari alla chitarra e al basso, rispettivamente Fabrizio Chiarelli e
Angelo Perini.
L’esibizione, seppur penalizzata da qualche inconveniente
tecnico iniziale (inevitabile nei festival, quando molte band devono
condividere una stessa strumentazione sul palco), è talmente emozionante da far
sgorgare più di una lacrima tra chi, nel pubblico, li aveva amati in gioventù e
da lasciare a bocca aperta i più giovani. Serpeggia, però, un pò di delusione,
per non aver visto chiamare sul palco dalla band, neanche per un saluto, il
primo drummer Pino Sinnone, che pure
era presente tra il pubblico.
Dopo i Trip salgono sul palco Tony Pagliuca (tastiere), Aldo Tagliapietra (voce, basso, chitarra 12 corde) e Tolo
Marton (chitarra) che, pur essendo tutti
membri storici de Le Orme, non possono esibirsi con questo
nome per una questione di diritti (probabilmente dovuta a qualche attrito con
il batterista Michi Dei Rossi, che
detiene il nome e lo utilizza con unaltra line-up). Anche in questo caso il materiale eseguito è quello degli album più amati ma, soprattutto, più progressivi nelle sonorità, come Collage e Felona &
Sorona". Proprio nei momenti finali di
Felona & Sorona i musicisti
vengono affiancati sul palco da David
Cross, violinista elettrico dei King
Crimson, che dà un ulteriore valore aggiunto in termini di sonorità magiche a
una già ottima esibizione.
"Le Orme" (concedeteci di chiamarle così), dal
canto loro, ricambiano il favore eseguendo
Exiles insieme a Cross. La calda,
corposa voce di Tagliapietra, assai simile a tratti a quella dei vari cantanti
avvicendatisi nella band guidata da
Robert Fripp, è davvero assai a suo agio nel repertorio crimsoniano, ed
il risultato non lascia adito a perplessità.
Chiude la prima serata la Premiata Forneria Marconi. All’inizio i musicisti sono visibilmente
indispettiti da alcuni inconvenienti tecnici, in particolare all’ampli del
basso, ma come abbiamo già detto in un festival fa tutto parte del gioco.
Di Cioccio salta e corre su e giù per il palco come un
ragazzino ma, diversamente a molti show recenti, siede più spesso alla batteria
(che condivide con l’ottimo Pietro
Monterisi) e lascia a Franco
Mussida la maggior parte delle parti
cantate, riservandosi piccoli e delicati momenti intimisti come Harlequin, Out
of the Roudabout e la blueseggiante
Maestro della Voce, dedicata al compianto Demetrio Stratos che, nell’intro affidata al basso, viene
anche ricordato da Patrick Djivas con una citazione da Luglio Agosto Settembre (nero).
Ma il momento sicuramente più emozionante per i fans, che si
alzano in una standing ovation, è quando la PFM divide il palco con Ian
Anderson, dei Jethro Tull. Il flautista/cantante/chitarrista inglese fa il suo
tradizionale ingresso sul palco in posa da fauno (con la gamba destra alzata e
appoggiata al ginocchio sinistro) e manda in visibilio la platea. Tutti sono
emozionati, a cominciare dallo stesso Mussida che, con voce rotta dalla
commozione, ricorda: Avevo 22 anni quando saltai sulla sedia esattamente come voi, vedendoli
per la prima volta dal vivo. Immaginate come mi sento in questo istante. Con Ian la PFM esegue una
irrinunciabile Bourée, poi My God
(dall’album Aqualung) ma, soprattutto, una spettacolare versione della Carrozza di Hans nella quale Anderson al
flauto non si risparmia. Un momento indimenticabile per tutto il pubblico
presente.
6 Novembre
L’apertura è affidata ai Periferia del Mondo,
band molto giovane ma che può già vantare collaborazioni illustri (da Mauro
Pagani a Rodolfo Maltese, e molti altri) nei propri
album. Il loro sound è una riuscita
contaminazione tra prog-rock dalle forti aperture romantiche, jazz-rock e influenze
etniche arabeggianti e mediorientali, con in primo piano i molti fiati (sax
alto, tenore e soprano, clarinetto, flauto) del cantante Alessandro Papotto. Il pubblico mostra di
apprezzare la solida e rodata band come merita.
Dopo di loro, salgono sul palco gli Abash, che danno una ulteriore sterzata al
sound della serata verso atmosfere multietniche, con forti influenze anche della musica popolare
del Sud Italia. Purtroppo anche nel loro caso tante finezze a livello di
sonorità, come certi piccoli tocchi di percussioni sapientemente posti a
colorare qua e là, si perdono un pò nell’impasto generale dei suoni, ma il loro show è comunque trascinante e coinvolgente.
È la volta di una band che nel 1972 lasciò una traccia
tangibile, con l’album Per un mondo di
cristallo, nella scena prog romana: la (Nuova) Raccomandata con Ricevuta di Ritorno.
La voce del cantante nonché pittore volante (come recita il titolo del nuovo
album) Luciano Regoli è ancora più potente, alta, brillante e
versatile che negli anni 70, frutto di un lungo periodo di studio e di esercizio. Con lui sul
palco, della vecchia formazione, troviamo Nanni Civitenga, che all’epoca del primo album era il
chitarrista e oggi è invece un bassista dalle quotazioni molto elevate (ha
lavorato, tra gli altri, con Ennio Morricone).
Il loro ospite sul palco è Thijs Van Leer, flautista e
organista dei Focus, con il quale
eseguono The house of the King, di
certo il brano più famoso della band olandese (fu usato anche dalla Rai come
sigla) e Palco di Marionette, dall’album
dei RRR Per un mondo di cristallo. Ma oltre a Van Leer un altro ospite,
totalmente a sorpresa e ingiustamente non citato sui manifesti, divide il palco
con la Raccomandata: è Claudio
Simonetti, dei Goblin, che delizia il
pubblico con un’introduzione pianistica d’alta
scuola, in cui cita anche alcuni dei suoi temi più famosi ( Profondo Rosso su tutti), prima di porsi totalmente al
servizio della band con risultati notevoli, anche nelle interazioni con il
mattacchione Van Leer, che intervalla le sue performances ad alto livello
tecnico con bizzarre gag ironiche.
Salgono sul palco gli
Osanna e, senza nulla voler togliere
a nessuna delle straordinare band avvicendatesi nel corso del festival, sono
forse il miglior live-act di prog-rock italiano di sempre: potenti,
trascinanti, travolgenti, energici come un fiume in piena, precisi e perfetti
come una macchina, un ben oliato macchinario in cui ogni suono è al suo posto e
non può essere che lì.
Gli Osanna, poi, hanno un ulteriore valore aggiunto: i due
straordinari ospiti che li affiancano sul palco, David Jackson dei Van Der Graaf Generator (sax sopranino, soprano, alto, tenore, flauto
e tin whistle) e Gianni Leone del Balletto di Bronzo (all’organo Hammond) non sono due star di
passaggio che si sono preparati un paio di pezzi, sono ormai da parecchio tempo
due membri effettivi della band e sanno interagire con gli altri musicisti in
ogni dettaglio. E il pubblico dà prova di apprezzare tutto ciò con un’ovazione tra le più esplosive di questi due giorni.
Chiude la rassegna il
Banco del Mutuo Soccorso, con la formazione rinforzata da Papotto,
dei Periferia del Mondo, che integra
perfettamente le sue parti di fiati con
gli arrangiamenti storici della band. Il
Banco, però, come è spesso nello stile di questa formazione dal vivo, sceglie
di chiudere il festival con una punta di malinconia, che traspare dagli amari
monologhi di Di Giacomo e di
Nocenzi sul tema Come eravamo, chi siamo, cosa saremo.
FrancescoBig Di Giacomo denuncia apertamente alcuni problemi vocali, ma
ciononostante la sua performance è egregia. Il repertorio, come da tradizione, è soprattutto quello dei primi tre
album, con poche incursioni leggermente più recenti, come Il Ragno
(dall’Lp Come in un’ultima cena), mentre in generale è Darwin l’album più saccheggiato.
L’ospite speciale del Banco è John Wetton, bassista-cantante
che ha militato in alcune tra le più grandi formazioni degli anni 70:
King Crimson, Family, Uriah Heep, Uk, Roxy Music, Asia e collaborazioni con diversi artisti, da Phil
Manzanera, a Martin Orford, a Peter
Banks, e non solo. Con Wetton il BMS
esegue Leave me alone (edizione
inglese della famosa Non mi rompete,
dall’album "Io sono nato libero) e
Starless dei King Crimson.
Conclusioni
Non una semplice rassegna di concerti, ma un evento con
qualcosa di unico che resterà nel cuore di ogni vero amante del rock
progressivo italiano e mondiale. Meravigliosa l’atmosfera che si respirava non
soltanto sul palco, ma anche prima e dopo le due serate, grazie anche alla
straordinaria disponibilità verso i fan dimostrata dalla maggior parte degli artisti italiani e
internazionali coinvolti.
Ottima, infine, l’idea di alleviare i tempi morti del cambio palco con interviste e
presentazioni di libri, condotte dal giornalista Donato Zoppo
o dalla stessa Iaia De Capitani.
Molte e interessanti le opere letterarie citate, tra cui il bel giallo “Com’era nero il vinile" di Glauco Cartocci, il volume antologico a
molteplici firme Prog 40, dedicato ai
quarant’anni di storia di questo genere musicale in ogni sua accezione e
sfumatura, e un’autobiografia di Bill
Brudford.
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