Usciva il 22 giugno
1971 "Blue", quarto
album della cantautrice canadese Joni Mitchell.
Fu un grande successo,
uno dei pochi esempi in cui pubblico e critica si trovarono d'accordo.
Nell’occasione Joni fu
aiutata, tra gli altri, dagli amici James Taylor e Stephen Stills.
Un grande album
malinconico e poetico, da molti considerato il suo migliore di sempre.
Nel 2003 è stato
inserito alla trentesima posizione nella lista dei 500 album più importanti di
tutti i tempi, compilata dalla rivista musicale Rolling Stone.
Ascoltare per credere!
Di tutto un Pop…
Wazza
(dalla rete...)
Ormai è fatta anche
quest'anno. Per quasi due mesetti il bombardamento mediatico è stato impietoso:
siate buoni, buoni da fare ribrezzo, e soprattutto comprate sempre più
cianfrusaglie inutili. Siate buoni come il bambino dello spot del pandoro, con
quella mascella deforme e con quel suo belato già impostato secondo i peggiori
canoni sanremesi, usato per ricordarci più volte al giorno che è Natale e si
può dare (o fare?) di più, più o meno come dicevano i suoi tre fratelloni
Morandi Tozzi & Ruggeri, se non ricordo male. O buoni come la modella
statuaria con il culo molto più espressivo del viso, che con accento da Stanlio
e Ollio continua ad assicurarci che tutto è intorno a noi, purché si usi un
certo telefonino. Rimedi non ce ne sono: è il Mercato, sacro e intoccabile, e
non importa se l'invito a dilapidare tredicesime fa a cazzotti con l'esiguità,
e a volte mancanza, delle medesime. Però sviluppare reazioni allergiche è
ancora possibile. Quest'anno per esempio ogni volta che dal carrozzone dei
venditori televisivi viene sparata una raffica di "Jingle Bells" da
imbecilli coretti infantili, i miei nervi acustici la assorbono e la convertono
in note di pianoforte analoghe, ma molto più distinte, intense e soprattutto
molto più adulte. Note che suggeriscono un altro modo di aspettare Natale,
desiderando un fiume ghiacciato su cui pattinare in libertà, forse per trovare
il modo di ricucire un difficile rapporto con una figlia adottata e un po' trascurata
È l'introduzione
pianistica natalizia di "River", uno dei tanti gioielli che fanno di
"Blue" (1971) un disco storico, senza ombra di dubbio la vetta
massima della fase acustica di Joni Mitchell e per molti il suo capolavoro
assoluto. Personalmente preferisco la successiva svolta a base di raffinati
apporti jazz, che ha il suo culmine nell'ineguagliabile "Hejira", ma
è una questione di gusti. In "Blue" si alternano, fronteggiandosi in
un'avvincente gara di bellezza, due grandi gruppi di canzoni. Uno è costituito
da struggenti duetti tra il pianoforte e la voce di Joni, che a tratti
raggiunge vertici di intensità e di passione quasi liederistici. L'altro da
eleganti ballate acustiche in bilico tra stile West Coast e influenze latine, e
qui giganteggia la chitarra di James Taylor, volutamente scarna, a volte
metallica come un bouzouki greco, ideale complemento sia ai gorgheggi luminosi
della voce di Joni che alle sue sfumature più ombrose e roche. Anche qui il
livello è tale che le preferenze sono una questione di gusti: chi come me è
classicomane e amante del pianoforte sarà portato a privilegiare le canzoni del
primo gruppo, il che non toglie un grammo al valore delle altre. Tra le
splendide "confidenze al pianoforte" che la voce di Joni ci regala, oltre
alla già citata "River", spicca "Blue", una vera e propria
poesia incorniciata da accordi delicati e affascinanti. "Le canzoni sono
come tatuaggi" recita il primo verso, ed è una garanzia: una volta
ascoltata rimane davvero indelebile nella memoria. In "My Old Man" è
bellissima l'alternanza tra l'esplosione di felicità, con acuti da soprano,
delle strofe più amorose, e la brusca sterzata malinconica del refrain
("Ma quando lui se n'è andato..."), con la voce squillante che in un
attimo si adombra. "The Last Time I Saw Richard", vero dialogo in
forma di canzone, sfrutta i registri più bassi del pianoforte e della voce per raccontare
un amore finito nel tono più lucido e discorsivo possibile. Anche se i due temi
"amore" e "libertà", con il loro contrasto spesso
irrisolto, sono alla base di quasi tutte le canzoni, nelle ballate per chitarra
tende ad imporsi la libertà, che si esprime nel bisogno di viaggi, di spazi
estesi, il che è perfettamente in linea con la tradizione musicale della West
Coast. Unica ma notevole eccezione "A Case Of You", dove la chitarra
essenziale di James Taylor lascia il massimo spazio alla voce di Joni, che
esalta da par suo lo stato di grazia di un amore totale, assoluto come un
legame di sangue. Il culto del viaggio come simbolo di libertà è espresso fin
dall'inizio, con l'insistente ripetizione della parola "travelling"
nella brillante "All I Want", che ci prepara a fare un pieno di nuovi
orizzonti da scoprire in "Carey" e in "California", non a
caso le due canzoni più serene del disco, con i loro chiari colori latini. Ma
"This Flight Tonight" spezza ogni illusione e, pur trattando di un
viaggio, riporta in primo piano l'eterno dissidio amore-libertà con i suoi
tormenti interiori, ben espressi anche da una musica piena di tensione. La
chitarra di James Taylor, fin qui metallica e nervosa, si placa in "Little
Green", un concentrato di tenerezza in grado di commuovere i cuori più
aridi, una breve parentesi in cui il dolce verde della primavera per un attimo
si impone sul colore cupo della malinconia, quel blu che non è affatto
"dipinto di blu" ma piuttosto un blu notte, come quello della
copertina di questo capolavoro poetico e musicale.
James Taylor e Joni Mitchell-1971
Nessun commento:
Posta un commento