21 Gennaio 2015
"Ho imparato a rispettare le idee altrui, a
capire prima di discutere, a discutere prima di condannare"
(Norberto Bobbio)
Ci sarai sempre, buon
viaggio Capitano ! (ma quanto ci manchi !)
WK
(ricordo di Francesco Gallina)
UN DI GIACOMO PER TRE
Una sera d'estate del
1981 -avevo 14 anni- mi recai a sentire un concerto del Banco
che si teneva nella mia città. Ovviamente non avevo fatto in tempo a
vivere il loro periodo anni '70, ed il gruppo mi era noto soltanto per Paolo Pa, ma troppo fresco era per loro il
ricordo del passato e troppo pochi i pezzi meno progressive per evitare di
riproporli in toto, in una scaletta che, vista oggi, era memorabile. La gran
parte dei più giovani reagì in due maniere: metà se ne andò appena il prog fece
capolino, l'altra metà -ovviamente comprendente il sottoscritto- restò
letteralmente affabulata dalla musica e da quella presenza a centro palco che
parlava e cantava come non avevamo mai sentito, né per radio, né per
televisione. Dietro di me, erano piazzati due fratelli che frequentavano la mia
scuola, ambedue più grandi, ambedue vestiti come dandy di fine millennio ed ambedue
musicisti dediti all'elettronica che, all'epoca, cominciava a far breccia dalle
nostre parti, procurando a chi lo suonava un codazzo di ragazzine rapite da
quell'aria da bravi ed eleganti ragazzi. Sia durante le canzoni che,
soprattutto, durante le pause tra l'una e l'altra, un brusio continuo da parte
loro che aumentava di volume nelle seconde appositamente per cercare di farsi
sentire dai musicisti, visto che eravamo a pochi metri dal palco. Un esempio
dei loro discorsi? Ecco: "Superati, proprio superati. Quella chitarra così
vecchia, così antipatica con quegli assoli inutili. La voce così tronfia, così
forte, niente... sono proprio vecchi, vecchi e superati". Erano passati
solo pochissimi anni dai loro dischi epocali e, nonostante il fatto che tutto
il pubblico suo malgrado interessato da quella stucchevole discussione, ad un
certo punto non ne abbia potuto più ed abbia imposto ai due fratelli di
andarsene o sarebbero stati "allontanati", il ricordo di un
malinconico, trasognato Di Giacomo ,
rivolto più verso un dialogo con le canzoni che con gente che, in massima
parte, poco sapeva della storia del
Banco , è ancora molto vivo. Peggio doveva succedere nel 1988. Durante
le manifestazioni estive, il Banco venne invitato a suonare presso l'Arena Villa
Dante, impianto posto in posizione centrale, ma popolare della mia città. Il
loro concerto veniva dopo quelli di "artisti" che oggi definiremmo
neo-melodici che si erano esibiti nei giorni precedenti o, comunque, di
estrazione pop-olare, ma non nel senso che si dava al termine ad inizio anni
'70. Il pubblico di quella sera era in massima parte composto da famiglie che,
al massimo, arrivavano ai Cugini di
Campagna , vecchi rimasti a Claudio
Villa e giovani discotecari. L'arena è
abbastanza capiente e quella sera conteneva, ad occhio e croce, circa 2000
persone, per ciò che ricordo. I pochi anni ulteriormente trascorsi avevano già
cambiato molto il set del gruppo, il quale incentrò tutta la prima parte
dell'esibizione sulla produzione dal 1980 in avanti. Paolo Pa,
Moby Dick , Notti Kamikaze (se non ricordo male) erano già state
sufficienti ad allontanare qualche centinaio di persone, ma quel che accadde
quando nell'arena cominciarono a risuonare i raffinati arabeschi progressivi,
fu realmente brutto. Il pubblico, dapprima stordito, poi palesemente
infastidito, cominciò ad andarsene persona dopo persona, finché restammo in
circa cinquanta, che ebbi modo di contare personalmente. Prima della fine del
concerto, ovviamente portato a termine da professionisti, mio figlio, allora
neonato, cominciò a piangere ed anche io dovetti andarmene prima del tempo.
Uscendo, fui costretto a passare davanti al palco e, data la situazione, la
band se ne accorse. Di Giacomo mi guardò rassegnato ed io mi vergognai come
un ladro, poi ricominciò a cantare al cielo. Avrei voluto spiegargli che non
era come sembrava e che a me interessava e piaceva ciò che stavano facendo, ma
non fu possibile. Lui proseguì il suo canto rivolto a nessuno, ed io rincasai
vergognandomi della mia città. Tra i due concerti, distanti sette anni l'uno
dall'altro, il completo disfacimento della cultura dell'audience e del rispetto
verso l'arte e l'artista, con impietoso raffronto tra il pubblico quasi in
rivolta contro i due criticoni del 1981 e comunque interessato a sentire il
concerto, e quello del 1988, incapace di valutare, privo di cultura, memoria e
riguardo. Infine il 2012. La cornice in cui mi sono imbattuto per l'ultima
volta nel gruppo ed in particolare in
Francesco Di Giacomo è stata di
ben altro livello, come riportato in questo
live report . Ancora una volta il tempo aveva rimescolato le carte,
ridando al prog ciò che era del prog. Grande teatro, grande pubblico (età media
alta, sì, ma anche molti giovani) e grande concerto. Francesco
era sempre trasognato, rapito della musica e dalla musicalità leggiadra
delle parole e dal loro potere avvolgente, capace di far levitare anche una
persona corpulenta come lui. Alla fine del concerto fu molto gentile e,
nonostante lo spettacolo fosse terminato solo da pochi minuti, discusse
volentieri con me nel backstage, come era suo costume con chi lo avvicinava. Io
ero con l'ex neonato che aveva involontariamente provocato il mio
allontanamento dal concerto del 1988 e lui ascoltò quella ed altre storie, annuendo
divertito, dando consigli e salutando alla fine, senza alzarsi mai da una cassa
per quanto era stanco dopo l'esibizione. Anche da queste cose nasce
l'ammirazione per l'artista ed il rispetto per l'uomo.
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