GIOIELLI NASCOSTI 2.0
The Zawinul Syndacate-
"Black Water"
(CBS, 1989)
Di Riccardo Storti
Un album un po' perso nella nebbia ma che merita certamente una rivalutazione quando si parla di Joe Zawinul, il papà dei Weather Report, qui alle prese con il bis della sua nuova incarnazione bandistica ovvero The Zawinul Syndacate.
Fine anni Ottanta, Peter
Gabriel sta mettendo su la sua officina dei sogni e dei suoni dal mondo (la
Real World). Zawinul, pur da un altro emisfero sonoro, si muove più o meno
sulla stessa strada, fissando con questo album una via ethno per la fusion, una
sorta di jazz-rock panmusicale, rispettoso di qualsiasi tradizione musicale,
meglio se meno nota o lontana dal mainstream. Lo si era già visto in Immigrants del 1988 e, ancora prima, nel
suo secondo solista Di-a-lects.
Con Black Water,
la ricetta non cambia: una bella selva di tastiere avveniristiche dotate delle
prime campionature digitali (quindi frutto di ricerche non solo tecnologiche,
ma anche etnomusicali) che si affiancano ad un parterre percussionistico da
paura e vocalist di pregio. A completare il microcosmo zawinuliano Scott
Henderson alla chitarra e Gerald Veasley al basso.
Si parte con il
ripescaggio della vecchia Carnavalito
(qui dal vivo e già presente in Di-a-lects
del 1986) poi c'è l'Africa particolare di Black
Water, resa ancora più vivace da un comparto corale degno dei contemporanei
Manhattan Trasfert. In Familial (da
un testo di Prévert) Zawinul combina l'elettronica con un'idea musicale
totalmente etnofonica: lo stesso uso del vocoder è spiazzante ma non stride,
così come il controcanto ipercinetico di una tastiera che sembra imitare una
zanza (strumento africano).
La fisarmonica è
protagonista di Medicine Man: c'è lo
swing elettrico dei Weather Report ma, talvolta, i pattern ritmici rimandano a
qualcosa di indiano, la stessa chitarra di Henderson si muove su scale
jazz-blues ma con le mosse di un raga. Stupefacente.
Poliritmi e armonie
contrastanti sono gli ingredienti di In
the Same Boat: due melodie vocali simili a canti rituali africani, uno
strano bordone baritonale quasi tibetano, ritmi elettronici ossessivi e
improvvisazioni fusion al sintetizzatore che simula uno strumento a fiato. Il
tempo è in 3/4, ma basta che entri il coro o qualche frammento modulante perché
tutto venga messo felicemente in discussione.
Toccanti ed efficaci i
due omaggi a Monk (Monk's Mood e Littke Rootie Tootie). Chiusura in
bellezza con They Had a Dream (la
chitarra con lo slide chiama America, ma la melodia potrebbe essere un ennesimo
canto di lavoro perpetuo dei soliti sfruttati) e con And So It Goes (percussioni e campionature di kora... sembrano
quasi i titoli di coda di un film che sta finendo).
Black Water è uno di quei lavori di
vero peso nell'evoluzione della fusion, grazie anche ad aperture creative che
rendono onore al genio inesauribile di Zawinul.
Assolutamente da riscoprire.
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