Playing
the History e Prog Alchymia: la quintessenza del Prog
Di Fabio Rossi
Il
progetto Playing the History nasce nel
2013 in virtù dell’inestinguibile passione di tre amici musicisti, Marco Lo
Muscio (organo e piano), John Hackett (flauto) e Carlo Matteucci
(basso e chitarra acustica), nei riguardi dell’affascinante mondo del rock
progressivo. Il trio, con la collaborazione di Giorgio Gabriel, Steve
Hackett, David Jackson e di altri special guest, ha realizzato Playing the History (prodotto dalla
Hacktrax di John Hackett), un album dal titolo emblematico e interamente
strumentale che comprende diciassette tracce, in larga parte rifacimenti di
brani celebri, e, per completare, due composizioni del romano Lo Muscio.
La
splendida cover disegnata da Davide Guidoni ci introduce nell’atmosfera
onirica e fascinosa che si respirerà ascoltando ammaliati i vari pezzi intrisi di
un sound liquido e, a tratti, cupo. La maggior parte delle registrazioni hanno
avuto luogo all’interno della Chiesa capitolina di San Paolo entro le Mura nel
febbraio 2013 e questo potrebbe fornire una spiegazione circa la preponderanza
delle tastiere di Lo Muscio. In sostanza, si è preferito mettere in risalto uno
dei connotati propri del prog, ovvero l’aspetto sinfonico/barocco, e per tale
motivo questo disco renderà inevitabilmente felici i fan di Keith Emerson, Rick
Wakeman e Tony Banks.
Il prodotto finale è di elevato livello qualitativo destinato a una ristretta cerchia di utenza per il fatto di risultare astruso alle orecchie meno aduse al progressive di stampo sinfonico. L’assenza di un cantante e delle percussioni, almeno in un primo approccio, rende brani come I Talk to the Wind e Shadow the Hierophant poco fruibili, ma dopo ripetuti e attenti ascolti si rimane conquistati dalle loro peculiari tessiture sonore. Tra le composizioni di spicco cito la spettacolare e solenne versione di Jerusalem, la riproposizione di Horizons con il pianoforte e il flauto, l’imponente Visions from Minias Tirith – The White Tree, una lunga traccia di oltre dodici minuti di Lo Muscio, e l’interessante The Great Gig in the Sky con sugli scudi David Jackson al sassofono e John Hackett al flauto che riprendono la melodia cantata nell’originale da Clare Torry. Non dimentichiamoci, inoltre, della “nuova versione” di Theme One, così come lo stesso David Jackson l’ha definita nel booklet del CD in maniera entusiastica. Steve Hackett, che suona la chitarra classica in Hairless Heart, Hands of the Priestess, Galadriel (tratta dal disco The Book of Bilbo and Gandalf di Marco Lo Muscio) e una superba chitarra elettrica in After the Ordeal, nell’opuscolo interno manifesta la sua eccitazione, dichiarandosi felice di aver partecipato alla stesura dell’album insieme ai suoi amici “speciali” e aggiungendo che “(Playing the History) è riuscito magnificamente e sono sicuro che darà a molti ascoltatori un grande piacere”.
Concordo con Steve e posso affermare che Playing the History è un lavoro lodevole nell’intento in quanto la musica prescelta, accuratamente rielaborata, viene presentata coraggiosamente in una veste nuova. Un omaggio doveroso al glorioso passato quindi, ma anche uno sguardo verso il futuro. Una proposta al servizio di una saggia sperimentazione alla quale va ascritto il crisma dell’originalità e di questi tempi in campo musicale è un autentico miracolo.
A distanza di quattro anni dal precedente album, è la vosta di Prog Alchymia, prodotto, registrato e masterizzato da Carlo Matteucci, secondo capitolo del progetto Playing the History che continua a esplorare l’immaginifica musica convenzionalmente denominata rock progressivo. Il trio, nel frattempo, è diventato una band composta da Carlo Matteucci (basso), John Hackett (flauto), Marco Lo Muscio (piano e organo), David Jackson (sassofono e flauto), Giorgio Gabriel (chitarre) e, novità di rilievo, Pino Magliani (batteria). Il sestetto, altresì, si è avvalso nuovamente della prestigiosa collaborazione di Steve Hackett, presente con le sue celeberrime Ace of Wands e Second Chance.
Altri ospiti: Duncan Parsons, polistrumentista e drummer della John Hackett Band, Nick Fletcher, chitarrista della John Hackett Band e concertista di chitarra classica, Alessandro Forti, pianista e compositore di colonne sonore, e Giovanni Viaggi, tastierista. Rispetto all’l’intelaiatura del primo lavoro l’ascoltatore troverà nella nuova ambiziosa opera strumentale dei significativi cambiamenti. L’introduzione stessa della batteria indica un percorso diverso e, infatti, il prodotto è decisamente orientato verso sonorità più rockeggianti e dall’approccio meno sinfonico. Ne consegue che il risultato complessivo è certamente destinato a una più ampia fascia di pubblico proprio per le qualità intrinseche del sound che favoriscono una maggiore immediatezza rispetto al passato. Quindici le tracce proposte che si dipanano per oltre un’ora di musica e che vanno da classici del genere come I Lost My Head – Part II (la voce prodotta dal Vocoder Electric Piano è di Duncan Parsons), Bourée, Pilgrims, Moonchild, Nights in White Satin, Promenade/TheSage, The Lamia, a composizioni come Molde Canticle – Part I del jazzista norvegese Jan Garbarek, The Flower e Il Bambino e la Pergola di Matteucci, Nastagio degli Onesti di Lo Muscio, Sunset Ride in New Mexico di Gabriel e Six-Eight for Starters di John Hackett. La scelta, quindi, è stata quella di lasciare più spazio ai brani composti dagli appartenenti al progetto stesso. Munito di una copertina plumbea ed efficace disegnata da Chiara Gambino che evidenzia un artwork distante da quello che contraddistingueva il primo album (anche in questo si nota la volontà di rinnovarsi), Prog Alchymia sorprende in positivo perché a emergere sono proprio le composizioni dei nostri Matteucci, Lo Muscio e Gabriel, un’ulteriore conferma dell’indiscutibile qualità del progressive italiano contemporaneo. Le soffuse The Flower e Il Bambino e la Pergola, che vedono Matteucci esibirsi magistralmente alla chitarra acustica, l’intensa Nastagio degli Onesti, con un Lo Muscio ispirato alle tastiere e al Piano Mellotron Moog coadiuvato dal flauto di John Hackett e da una trascinante sezione ritmica assicurata dal duo Matteucci/Magliani, e la colorita spagnoleggiante Sunset Ride in New Mexico, dove Gabriel è accompagnato dalla sei corde di Steve Hackett e dal Moog Electric Piano di Giovanni Viaggi, reggono senza problemi il confronto con i pezzi da novanta precedentemente riepilogati. Mi chiedo, infine, ma il terzo lavoro dei Playing the History mirerà a lidi differenti, come la Scena di Canterbury o il Kraut Rock? Chissà, forse le sorprese non finiscono qui!
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