Claudio Bellato Trio
feat Mario Arcari –
Genova
Recensione tratta da “TRACCE DI
JAZZ” ( Andrea Baroni)
E’
sacrilegio suonare “Blue in Green”
con oboe, chitarra acustica, basso elettrico e batteria? Claudio Bellato, Mario Arcari,
Rudy Cervetto e Federico Fugassa pensano di no, e con una rilettura innervata di
una sottile corrente ritmica del classico di Miles Davis hanno aperto il
concerto di sabato 10 marzo a Genova, nuova tappa dell’edizione 2018 del Festival
“Suoni, parole, ritmi dal mondo”, a cura di Jazz Lighthouse.
Nessuna
obiezione anche da parte della platea, entrata da subito in sintonia con una
musica che dal jazz attinge più l’attitudine al dialogo... e la voglia di
libertà espressiva, che la stretta sintassi filologica.
Per
il trio di Claudio Bellato, chitarrista savonese concertista e didatta con un
ricco bagaglio di esperienze e collaborazioni, membro del quartetto Officina
Acoustica e dell’Ethnia Project, si trattava del debutto live, e la presenza
dell’illustre ospite Mario Arcari, musicista
senza
confini per definizione, ha arricchito e rafforzato l’identità di un gruppo in
grado di viaggiare, in musica, nel tempo e nello spazio, senza badare alle
frontiere che solo sulla carta separano il flamenco dal rock o la musica
dell’isola di Reunion dal tango.
L’oboe
di Arcari ha attraversato quaranta anni di musica in Italia e nel mondo,
spaziando dalle esperienze del Gruppo Folk internazionale con Moni Ovadia ai
“Six Mobiles”, di Roberto Ottaviano, dal “Pipetett” di Franz Koglemann con Paul
Bley, Steve Lacy, Ran Blake, alle “conduction” di Butch Morris fino alle
esperienze di ambito contemporaneo negli ensemble “Sentieri Selvaggi”, e “Parma
Jazz Frontiere”.
Ha
lasciato inoltre un’impronta indelebile, con i suoi strumenti a fiato etnici,
in alcuni capolavori della musica italiana firmati da Ivano
Fossati
e Fabrizio De Andrè, ed alcuni passaggi di “Creuza de ma” o di “Anime Salve”
che tutti abbiamo nella memoria sono proprio opera sua.
L’oboe
di Arcari sembra avere assimilato tutto questo vissuto, ed oggi suona come una
sintesi fra il jazz, interpretato con grande partecipazione emotiva in un
classico come “Nature Boy”, la musica popolare, che anima le suggestioni
mediterranee delle composizioni di Bellato, ed un’idea di musica creativa
davvero senza confini, resa palpabile dall’omaggio agli Oregon di Paul Winter,
un altro che come Arcari ha portato lo strumento fuori dai confini della musica
classica.
Bellato
conferma doti compositive di sicuro spessore, una tecnica da virtuoso alla
chitarra acustica che usa alternando agevolmente parti ritmiche ed armoniche,
ed una decisa personalità come leader di un trio che, con le percussioni creative
di Cervetto ed il basso “pastorizzato” del giovane Fugassa, avrà molto dire
nello sviluppo del proprio percorso.
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