“La classe operaia va in paradiso…
però si è rotto l’ascensore e deve andare a piedi”
(Francesco di Giacomo)
21 luglio
Ci sarai sempre. Buon viaggio
Capitano!
Wazza
Il ricordo di “Pince Faster”
Sandrino Pigozzi, in arte "Prince Faster",
noto speaker della capitale, Radio Rock, Radio Popolare…
Francesco di Giacomo
In questi mesi ho provato un paio di
volte a mettermi davanti alla tastiera e scrivere di lui, di come l’ho
conosciuto, scrivere e raccontare un uomo.
Raccontare anche quello che
rappresentava per me Francesco Di Giacomo musicista; non ci sono mai riuscito,
qualunque cosa abbia tentato di scrivere mi sembrava banale e priva di
significato, vuota, inutile.
Ci riprovo oggi sperando di scrivere
qualcosa di vagamente leggibile e sensato, ma non è facile per niente.
Il primo concerto del Banco che vidi
fu quello al convento occupato che stava alla fine di via Cavour, erano gli
anni Settanta.
Il primo disco lo comprai con tanti
sacrifici quando ero ancora un ragazzino, mi mettevo i soldi da parte come un
carbonaro, era il 1972 o 73 non ricordo con precisione, ma Darwin mi cambiò la
vita, e chi ha la passione per la musica sa esattamente di cosa parlo, certo
assieme a quel disco così pieno di musica ascoltavo anche Jimi Hendrix, i Pink
Floyd e tutte le “fermate” musicali che un adolescente faceva all’epoca.
Lo chiamavano Big perchè era
veramente Grande, lui, immerso in quella tuta che faceva parte di lui. Li vidi
tante volte dal vivo, anche a Villa Ada con l’orchestra e i ballerini, non
avevo mai visto uno spettacolo del genere, e in quanto ragazzino qualunque cosa
mi incuriosiva, mi entusiasmava, e quello spettacolo mi è rimasto piantato nel
cuore come una saetta.
Ma la vita ogni tanto ti riserva le
“sue” belle sorprese; iniziai a fare radio e iniziai a vivere il mondo della
musica più da vicino, finchè un giorno la mia vita, e la vita del Banco si
incrociarono dentro una radio e davanti ad un microfono. Credo di averli
travolti di domande, restammo un paio d’ore in diretta a parlare di musica;
c’era Vittorio, Francesco, e Rodolfo, penso di avergli chiesto qualunque cosa,
ma loro se ne stavano li tranquilli e sereni a rispondere alle domande di un
ragazzetto matto che straparlava. Grandi professionisti.
Poi un giorno di molti anni dopo, di
molte interviste e molti concerti, li incontrai per caso in un paesino della
Toscana, fu proprio lì che conobbi l’uomo Francesco Di Giacomo. Un uomo
innamorato dell’arte, un appassionato di tutto e con tanta voglia di “sapere”,
era uno che guardava la scena complessiva e si innamorava dei particolari. Ma
era anche un compagnone, uno di quelli che quando “raccontava” si faceva
ascoltare, ma era anche uno che ascoltava molto, ti guardava e rideva nascosto
dietro quella sua barba eterna.
I “dopo concerto” erano dei triclini,
nonostante suonassero in media 2/3 ore, alla fine di ogni concerto uscivano e
si mettevano a chiacchierare con tutti, saluti da una parte, abbracci
dall’altra, “che mi firmi questo disco? che ti fai una foto? ” e loro li pronti
e sempre disponibili, Francesco era il più fracassone di tutti, rideva e
scherzava come un ragazzino al primo giorno di scuola (chi è stato ai loro
concerti mi è buon testimone), mai una parola fuori posto verso il suo pubblico
(eppure, “noi” pubblico siamo dei veri rompicoglioni diciamocelo) che poi alla
fine, molti di quelli che andavano ai loro concerti erano diventati quasi “di
famiglia”.
Ho avuto occasione di conoscerlo
anche più profondamente Francesco, in uno studio di registrazione alle prese
con un disco, sono stato li per degli interi pomeriggi mentre il Banco scriveva
“13″ e sono riuscito ad apprezzarlo anche in quei frangenti così complicati e
quasi “mistici” mentre con un pezzetto di carta e una matita, appoggiato ad uno
spigolo del tavolino di fronte ad una vetrata, scriveva i testi del disco, e
poi se li rileggeva, poi se li cantava nella testa, e poi li cantava veramente,
e di tanto in tanto si girava e diceva… “a Vittò che dici te piace?!” “a
Rodò, prova un pò a mettece na chitaretta”.
Ecco, lui era fatto così, era uno
leggero perché tutto gli scorreva lieve, e anche un disco che è una cosa
davvero impegnativa, gli scorreva lieve addosso, gironzolava per le stanze,
alzava gli occhi, si fermava, ripartiva, cantava, ti guardava… “a Sandrì che
dici pò annà!?!?” e io gli rispondevo- a Francè, ma io… ma che ne so, mica
faccio il musicista” e lui dietro la sua barbona se la rideva pacifico e sereno
come una laguna.
So per certo, che tanta gente che lo
ha conosciuto potrebbe raccontarvi altrettanti aneddoti, altrettanti momenti di
vita, potrebbe raccontarvi più e meglio di me quell’essere umano che viveva
forte dentro i suoi occhi.
Aveva quegli occhi che ti
spiazzavano, perché erano pieni di musica, pieni di gesti accennati, di sorrisi
quasi nascosti per la tanta timidezza che esprimevano, e tutti se lo
coccolavano come fosse uno di famiglia, perché lui ti ci faceva sentire uno di
famiglia, anche solo se ti incrociava con un semplice sguardo, e solo le
persone molto pulite riescono in questo difficilissimo gesto.
Mi piaceva quell’uomo, perché era uno
che veleggiava.
Prince Faster
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