“ANOTHER TIME,
ANOTHER SPACE”
articolo scritto da
Jerry Cutillo per la rivista SOUND
incluso nel libro "Come una volpe tesa a rubare nel cortile delle voci"
incluso nel libro "Come una volpe tesa a rubare nel cortile delle voci"
Leggevo di Rocchi sulle riviste musicali specializzate degli
anni ’70 ed ero affascinato dal suo approccio, radical - hippy, alle cose del
mondo. Gigi, il percussionista che suonava con lui, viveva nel mio quartiere e
Mino De Martino (ex Giganti) con il quale dal ’75 condividevo esperienze
musicali, accennava spesso all’orientamento psichedelico/sperimentale che aveva
Claudio con le sette note. La mia alba musicale fu quindi condizionata dalle
icone luminose che brillavano nei concerti alternativi. Rocchi era un punto di
riferimento per la controcultura nel nostro paese. Gruppi aperti e comuni
alternative erano l’humus da cui partivano i suoi messaggi subliminali e l’eco
delle sue iniziative colorava i sogni di noi giovani freaks. Nel ‘74 le dieci
giornate per la non violenza al Parco Schuster di Roma confermarono il
cantautore milanese quale uno dei maggiori protagonisti del movimento pacifista
nel nostro paese. Io rimanevo incantato da quelle vibrazioni che arrivavano
dritte al cuore e ti trascinavano via dallo squallore urbano. Ascoltando “Volo
magico n. 1” provavo l’emozione di un viaggio attraverso i tormenti umani fino
all’ascesa verso le sfere più alte del cosmo. Quelle note risuonavano tra
storie di tossicodipendenze e angosce esistenziali, con Rocchi che incarnava
una nuova visione del mondo. Questo menestrello del “peace and love” era una figura molto carismatica e le sue storie di
vita alternativa ne sottolineavano l’indole rivoluzionaria e pacifista. Le sue
provocazioni poi, dissacravano i dogmi dei perbenisti ed accendevano le
fantasie dei più giovani. Penetravo con lo sguardo la copertina interna di quel
vinile, suo secondo album, abbandonandomi ad un viaggio verso il sole. Un libro
sonoro mi guidava oltre gli incubi anoressici e un mandala di luce e conoscenza
mi proteggeva dai fantasmi della mia mente. Incurabile beatnik, provo, hippy,
fortissimamente freak, Rocchi apriva le porte dell’esperienza. Quando risposi
al suo richiamo, nel ’76, partii stipato in una 500 con altri tre amici alla
volta di Milano per il festival del proletariato giovanile a Parco Lambro.
L’organizzazione dell’evento era curata dalla rivista “Re Nudo” per la quale
Rocchi scriveva esprimendo, insieme ad altre brillanti penne del tempo, il
verbo della nuova era. I tempi però stavano già cambiando e l’assalto alle
scorte del punto ristoro del parco, con seguente lancio di polli surgelati,
rimane alla memoria… secondo soltanto al saccheggio compiuto un anno prima da
altri facinorosi in occasione del concerto di Lou Reed al Palasport. Passò il
tempo e, cominciata la mia storia musicale, i testi di Rocchi continuarono a
risuonarmi dentro. Il giardino incantato, nel quale per qualche tempo avevamo
creduto di vivere, rimase lontano ma carico di stimoli che continuarono a
nutrire le mie pulsioni creative. Certe magiche atmosfere continuavano infatti
ad aleggiare nelle produzioni musicali che realizzavo con Mino (il quale mi
suggerì più volte di proporre al suo amico Claudio le mie composizioni) nelle
sperimentazioni con sua moglie Terra Di Benedetto (che insieme ai due aveva
realizzato l’album sperimentale “Essenza”) e nelle canzoni suonate con Yuri
Camisasca con il quale nel ’91, partecipai al festival di Villa Celimontana. Il
livello di concentrazione, serenità interiore e maturità artistica che
sperimentai con questi artisti, mi proiettò nel clima della scena musicale
milanese primi anni ’70. Anche Rocchi, come Yuri Camisasca, si ritirò dalle
scene sul finire di quegli anni e monasteri, India e montagne Nepalesi
divennero i loro rifugi per preservare le menti dagli scontri frontali degli
anni di piombo e continuare il viaggio sulle vie della conoscenza. Sacre
scritture e canti di salmi per Yuri…. Bakti yoga e astinenza sessuale per
Claudio. Questo era il percorso che portava alla massima elevazione spirituale.
Tuttavia, dopo lunghi anni, tornarono entrambi nel mondo e ripresero le loro
rispettive attività artistiche. Fu nel maggio del 2011 che Claudio si
sintonizzò sulle mie Oscillazioni Alchemiche Kompresse (OAK) per realizzare
insieme uno spettacolo. Seduto in un bar, ascoltavo con grande interesse le sue
storie mentre lo stimolo ad interagire con il suo universo di conoscenza
aumentava progressivamente insieme alla certezza che la nostra imminente
esperienza musicale sarebbe stata spontanea e sui binari della pura creatività
(come era avvenuto con Mino, Terra e Yuri e tanti altri). Notai anche come in
poche frasi Claudio fosse capace di ripercorrere fatti e personaggi in pieno
stile giornalistico, da autentico crooner. Donava a tutti un profilo, un
colore, una sostanza. Tracciando arcobaleni luminosi Claudio passava
dall’esperienza con gli Hare Krishna al lungo digiuno sessuale… dalla
sorprendente storia d’amore con la scrittrice Schimperna all’antipatia di Mario
Luzzato Fegiz nei suoi confronti.. Discorreva prolungandosi in dettagli, lucido
e pertinente con il suo tono cantilenante… inimitabile… senza pause… ma… di
musica non se ne parlò. Ci incontrammo nuovamente per effettuare un sopralluogo
sul posto dove avremmo suonato. Portava le stampelle per dei sopraggiunti
problemi ad un’anca ma la sua forza d’animo era straordinaria. Nel club ci
sedemmo osservando a lungo location e pubblico presente ed infine provammo a
quantificare il compenso relativo al nostro concerto per orientare il discorso
con i gestori del locale. Claudio contava numericamente le persone presenti in
sala lì quella sera, elaborando poi un risultato tra prezzo di ingresso e
numero di presenti. Fu veramente illuminante! Con un semplice calcolo arrivò ad
una soluzione in maniera estremamente pragmatica… un vero insegnamento! Ma… di
musica non se ne parlò. In seguito agli spettacoli realizzati dal mio gruppo
OAK in compagnia di diversi artisti internazionali, io e la mia band avevamo
sviluppato una buona capacità di adattamento alle varie esigenze dei nostri
ospiti. Per cui, il giorno del concerto, fu con piacere che vedemmo Claudio
presentarsi con oltre sette chitarre acustiche che insieme alle sue
inseparabili candele posizionammo, come ci chiese, su buona parte del palco. Il
tempo volò e fu già l’ora di iniziare. Il pubblico cominciò ad affluire e una
cerchia di persone, notai, si presentò al cospetto di Claudio con offerte
devozionali. “In effetti, la linea di confine tra l’essere seguaci o fans è
sottilissima” pensai… Erano persone cordiali e simpatiche. Uno di loro mostrò
una gigantografia che ritraeva Claudio in concerto con il suo gruppo al
Palaeur. La formazione nella foto era ben nutrita ed osservando l’immagine da
vicino potei scorgere il mio amico Gigi alle congas. Poi cominciammo a suonare.
Claudio aveva espresso la sua preferenza di suddividere lo spettacolo in più
parti: la prima con la nostra musica, poi un’altra con lui come solista ed
infine un ultima tutti insieme. Al termine del primo set Claudio fece partire
un documento filmato molto vintage del suo brano più celebre “La realtà non
esiste” per poi suonarne una versione diversa, alterata dal suono di un loop
ipnotico e lacerante. Un vero tuffo nella sperimentazione Rocchiana,
caratterizzata dal susseguirsi di flash sonori che marcavano il divario tra
presente e vicende passate. Continuò poi la sua performance pizzicando una
delle chitarre su tappeti sonori dilatati narrando episodi di vite parallele;
racconti deliranti e poesie tridimensionali molto coinvolgenti. Poi nel finale
ci chiamò ad uno ad uno sul palco per quella che presto divenne una jam session
di commiato.
Fu un’esperienza molto formativa, con Claudio che si dimostrò
un’artista avanti con i tempi, un uomo dalle mille risorse nonostante la malattia
lo stesse visibilmente debilitando nel corpo e forse anche nell’animo. Ma
avendo lui fatto tesoro dell’utilità di abbracciare forme diverse di
espressione, di inventarsi e reinventarsi cantante o dj, artista o manager,
santo o egocentrico in un carosello di vite e profili umani, ci aveva
impartito, fors’anche involontariamente, l’ultima delle lezioni: Quella che
dimostrava che la realtà non esiste e… neanche il sogno! La sua scomparsa ha
creato un profondo vuoto di energia ma la sua voce ci parlerà ancora attraverso
le realizzazioni che hanno puntellato la sua lunga storia artistica e poi…
chissà… con i tipi come Claudio non si può mai sapere… Another time, another
space.
Jerry Cutillo
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