foto di Daniele Ferretti
21 Maggio
" C'è una crepa in ogni
cosa, ma è da lì che entra la luce"
(Leonard Cohen)
Ci sarai sempre... Buon
viaggio Capitano !
Il ricordo di Guido
Bellachioma
“… e mi viene da pensare a quante volte ho scritto
canzoni, con la mano piena di rabbia e di convinzioni” ”E mi viene da pensare,
dall’album “Canto di primavera” -
1979, 21 febbraio 2014: immensa tristezza, è morta una persona cara…
è scomparsa una parte della musica stessa
di cui
era voce, anima, operaio e sublime artista al tempo stesso, non solo nel
cammino col Banco del Mutuo Soccorso. In questi giorni non ho voglia di parlare
di musica, di elencare quanti dischi avesse inciso Francesco Big Di Giacomo, il più grande cantante nella storia del rock italiano
insieme a Demetrio Stratos degli Area, su Internet si trova di tutto e di più… in un altro momento mi piacerebbe farlo per i dischi che non ha
pubblicato, vedi … Cenerentola, la parte mancante con le musiche del romano Paolo Sentinelli… ora ho solo voglia di parlare di Francesco…
NONOSTANTE
IL GIURAMENTO Avevo giurato di non farlo. Non ce l'ho fatta a mantenere questa
promessa, mentivo a me stesso sapendo di farlo…
avevo perso in partenza. Mi sono armato di coraggio e sono andato a
trovarlo, nonostante nella mia vita sia stato pochissime volte in quei...
posti, di cui odio pronunciare persino il nome, che hanno uno strano odore. Più
che di morte di malinconia, quasi il dolore stordisse i sensi, sorta dindotta autodifesa,
impossibilità di vivere tutto il dolore che precipita addosso in quei momenti…
da soli pur in mezzo alla
gente. Ci sono stato a forza per mia madre e mio padre, preferisco ricordare le
persone con la linfa della vita che scorre. Non ho paura della morte, forse
perché amo tanto la vita, come l’amava Francesco. Ho pensato a quel suo modo strascicato di apostrofarmi,
un po’.. prendendomi in giro: ”A Bellachio, che stai a fa?
Sempre a traffica… còstò rock progressivo! Guarda
che io so bravo a fare pure altre cose…
IL
FADO, GLI ANIMALS, I BEATLES E LE SUE STORIE DI VITA E bravo lo era sul serio.
Mica solo a “giocare” con la musica prog insieme a
suo “fratello” Vittorio
Nocenzi e al resto della famiglia Banco del Mutuo Soccorso in qualsiasi periodo
della loro lunga storia. Gli piaceva raccontare, rispetto al suo ingresso nel
Banco, datato 1971, dopo il secondo festival Pop di Caracalla: “Vittorio
Nocenzi cercava un cantante alto e biondo, arrivai io, che sono l’esatto contrario, ma non è andata
male come avventura”. Amava il fado (prova ne è il CD ”O Fado” con Eugenio Finardi e Marco
Poeta), i Beatles, prima ancora Elvis Presley e gli Animals di Eric Burdon, di
cui interpretava in modo magistrale la loro versione di ”House of the Rising Sun”,
brano folk interpretato, tra gli altri, da Bob Dylan, Jimi Hendrix, Tracy
Chapman e Muse. E poi, oltre al Banco, tanti dischi e suonatecon Sam Moore (proprio quello
dell’immortale “Soul Man”), Indaco, Kenze
Neke, Edoardo De Angelis, Têtes de Bois, Periferia del Mondo, Tony Carnevale,
Piotta. E poi, e poi narrava storie di vita in modo insuperabile, facendoti
ridere anche quando ne raccontava i dolori, non solo le gioie. Mi piaceva
ascoltarlo, soprattutto quando non parlava di musica perché le sue parole
avevano il ritmo delle emozioni sincere…
LA SUA
SARDEGNA Sardo per caso, altrimenti sarebbe nato a Roma, amava la Sardegna
profondamente. Ci sorridevamo mentre ricordava i giorni trascorsi nell’isola, allora davvero
selvaggia, dove nacque il 22 agosto 1947 a La Caletta, frazione di Siniscola
(Nuoro), e rimase fino a 5 anni. Leone come me, più sornione di me, fiero e
pigro al tempo stesso. Gli si accendevano gli occhi nel raccontarmi dEligio ed Elvezia, il padre
abruzzese e la madre di famiglia romana dal 1400, partiti dalla Capitale per
curare un latifondo dove avevano a disposizione una bella casetta. Eligio lo
prendeva spesso in sella al proprio cavallo e
via al galoppo verso l’avventura,
sospesa tra il mare e la montagna, tra le ginestre e la salsedine. Padre e
figlio al ritorno erano affamati come lupi e trovavano un mare di leccornie ad
attenderli. La madre era una cuoca sopraffina e Francesco ne godeva
abbondantemente. Il mare intorno lo faceva assomigliare a quei pesciolini che
catturava lungo la riva con l’amo e il
filo, presi in prestito dai pescatori che gli volevano bene; li metteva
amorevolmente in una vasca naturale, formata durante la bassa marea in mezzo
alle rocce, dove rimaneva sempre l’acqua, li osservava per ore e poi, naturalmente, li liberava. E mi
raccontava anche che aveva una vera e propria guardia del corpo: un cagnone
grande grande, almeno così sembrava a lui piccolino, dal nome bizzarro alquanto…
“Giudicati”… insieme per ore e quando non camminavano rimanevano sdraiati
semplicemente ad osservare il mare.
IL RITORNO
A CASA: ROMA NEL CUORE Quel suo essere profondamente romano nel dna, nel senso
più nobile del termine, usciva sempre fuori
quando parlava seriamente, quando scherzava, quando guardava l’interlocutore con quel leggero
sorriso agli angoli della bocca, quando suggeriva un ricordo sfizioso e
inaspettato. Come quel giorno che mi zittì mentre gli chiedevo lumi sull’esperienza inglese con la
Manticore di Keith Emerson, Greg Lake & Carl Palmer (mica tre qualsiasi,
vere leggende della storia musicale internazionale): “Lo sai quando ho cantato
veramente per la prima volta?” - prosegue, senza aspettare la mia risposta,
mentre io già mi scervellavo per capire a cosa si stesse riferendo - alla scuola delle monache in
cui andavo al Pigneto. Avevo una bella voce, forse la più bella della scuola,
solo…” ride profondamente – “mi facevano cantare con le bambine. Ero l’unico maschietto in mezzo alle
femminucce. E alla mia faccia sorpresa si metteva a ridere in modo sommesso.
Alle sue parole cercavo di rievocare la Roma che conoscevo solo attraverso
fotografie sfuocate, patrimonio di famiglia o ritagliate dai vecchi giornali,
ormai più in grigio che in bianco/nero. Chiudevo gli occhi e
magia
con la voce di Francesco nelle
orecchie quel mondo lontano si animava; assaporavo i profumi che non avevo mai
respirato perché non ero ancora nato, mi sembrava persino di scorgere mio padre
o mio nonno che giocavano a carte con i suoi, magari in qualche cortile col
bucato steso. La Roma di Francesco nel 1953 aveva mille colori e odori, che in
parte ha perso; grazie alla sua straordinaria vivacità oratoria vivevo letteralmente le sfumature
infinite di quella città multietnica, più ricca dumanità dell’oggi,
nonostante fosse appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale. Le tappe del suo
ritorno a casa: prima qualche mese a Genazzano, poi Piazza dei Condottieri, tra
un accampamento Rom e la Marranella, le bande di ragazzini che passano tutto il
giorno per strada tra fortini costruiti in mezzo agli alberi e guerre
improvvise con le mazzafionde come armi letali. A 13 anni la famiglia si trasferisce ai Palazzi Federici in
viale XXI aprile (progettati dallarchitetto Mario De Renzi, costruiti tra il 1931 e il 1937. Vi hanno
girato due film: Una giornata particolare di Ettore Scola, 1977, e Romanzo di
un giovane povero con Alberto Sordi). Frequenta la scuola media Giosuè Borsi a
S.Lorenzo, fuori zona (allora le distanze erano davvero distanze, stiamo
parlando del 1960) e questo non gli facilita l’inserimento sociale. Come se non bastasse contrae una grave malattia
alle gambe che lo costringe a letto per un paio d’anni, poi la lenta riabilitazione. Quando si trova nuovamente in
contatto con i ragazzi della sua età ha 16 anni. In quel periodo inizia la
formazione della sua straordinaria sensibilità e cultura, dato che per superare
quegli interminabili momenti legge in continuazione. Fortunatamente riesce ad
uscirne fuori e da quel momento si apre davvero al mondo. Nonostante il fisico monumentale non ha problemi di rapporti,
è simpatico, battuta pronta e canta già da urlo. Luoghi d’incontro
in cui si comincia a parlare moltissimo di musica: gelateria Capolea di Piazza
Gnoli (esiste ancora oggi), Bar Ferrara di via Lanciani, giardini di piazza
Winkelmann. È con i brani di Presley, Animals, Kinks, Rolling Stones che
Francesco inizia a diventare Big. Il
suo primo concerto da grandeè coi
Nobili, nome scelto allultimo
momento per la congrega di amici che lo supporta, nel teatro della Chiesa dei
SS Martiri Canadesi dove Francesco straccia le vocidei due gruppi, rigorosamente
romani, che completano la serata: Jewels e Toys. Da quel momento la musica
entra prepotentemente nella sua vita. Il gruppo cambia nome in Dannati e nel
1967 in Le Esperienze, che nel 1968 sembra debbano incidere un 33 giri con letichetta romana per eccellenza,
la RCA di via Tiburtina. Dopo un tour in Germania, alla fine del 1970 la band
si scioglie, e avviene lincontro
fondamentale con Vittorio Nocenzi, il fratello che, essendo figlio unico,
Francesco non ha mai avuto ma questa è unaltra storia
quella
che lo vede attore sensibile di tutti i brani vocali del Banco del Mutuo Soccorso,
persino di quelli dell’album
strumentale ”di terra”,del 1978, dove i versi di una
sua poesia si trasformano nei titoli delle sette composizioni orchestrali: Nel cielo e nelle altre cose
mute Terramadre, Non senza dolore Io vivo Né più di un albero non meno di una
stella Nei suoni e nei silenzi Di terra
ARRIVA
UNA MATTINA CHE
La
mattina del 22 febbraio, mentre guidavo verso l’Istituto di medicina legale a trovarlo, non pensavo al Banco del Mutuo
Soccorso, alle splendide canzoni che ci ha donato con Vittorio, ai racconti sui
festival pop di Caracalla o Villa Pamphili, ai leggendari anni 70
non avevo la testa al
Francesco artista, bensì al Big uomo, rimasto un po bambino nel suo eterno
rincorrere le emozioni, e a quel punto mi è spuntato un breve sorriso. D’altronde me ne faceva fare di
sorrisi e risate quando partivaper
qualche barzelletta. All’arrivo ho
trovato amici e persone semplici con la stessa mia incredulità negli occhi e la
segreta speranza che si alzasse da un momento all’altro e dicesse: “Ho scherzato”. Sono rimasto da solo con lui per
qualche minuto a pensare, senza forze, senza aver quasi coraggio di guardarlo,
le mie lacrime, sono sicuro, erano anche le vostre
ero convinto di non averne
più.
IL
TRIBUTO DEI SOCIAL E NON SOLO Il popolo di Facebook e dInternet, che a volte ha un
grande cuore, gli ha tributato commossi e sentiti omaggi in questi giorni. Tra
poco gli si stringerà intorno per l’ultimo abbraccio a Zagarolo, il paese in provincia di Roma dove abitava
da molti anni. Non ci sarà funzione religiosa, daltronde l’ultimo
verso da lui scritto per la commovente “Canto nomade per un prigioniero
politico”, così recita: “Non sprecate
per me una messa da requiem, io sono nato libero”. Questo è l’sms che mi ha inviato Vittorio
Nocenzi per dare la notizia, lo trovo meravigliosamente in linea con loro due:
"Francesco ti aspetta per un brindisi giovedì 27 febbraio dalle 15 alle 19
nel Salone delle Bandiere di Palazzo Rospigliosi a Zagarolo. VN". Non
portate fiori, ma, se volete, aiutate Emergency, che troverete in un punto di
raccolta sul posto. Dal parcheggio della piazza del Mercato (Via della Valle
del Formale) ci sarà un servizio di navetta per andare a Palazzo Rospigliosi.
Francesco, primo a prendersi in giro, persino cinicamente, era davvero la voce più bella di questa straordinaria
musica senza confine che, misteriosamente, qualcuno ha definito rock progressivo. Gli altri
amici/artisti non se ne abbiano a male, Big era unico.
L’ULTIMO SORRISO Cantiamo le
sue/nostre canzoni come le avrebbero cantate i nostri nonni
perché ancora ci facciamo le
foto con le nonne dei paesi e sentiamo le loro storie di magie e di speranze
ed è ancora da quelle foto in
bianco nero, foto di sudori, sorrisi e speranze, che troviamo la nuova poesia.
I nostri avi non portavano cappelloni e non guidavano diligenze come nei film
western di John Ford
ma, a
dorso dasino e un cappello di paglia
con una spiga di grano tra i denti, immaginavano forte qualcosa che non li
avrebbe traditi
un amore
un amico
un paese
ed è a loro memoria e a
nostro futuro che andiamo in giro a raccontare di come la canzone della nostra
vita possa e debba essere progressiva, proprio in questi tempi ineducati e
frettolosi, funestati da MP3 di bassa qualità e suoni di sottofondo scambiati
per musica
come un vecchio giro dItalia di 50 anni fa, quando
si andava a trovare la gente sull’uscio di casa
e non si
andava mai via senza un sorriso senza un saluto senza un abbraccio
Ciao Francesco
per noi sarai sempre Big del
Banco
fino alla fine nei nostri
cuori… “Non mi svegliate ve ne prego ma lasciate che io dorma questo sonno, c'è
ancora tempo per il giorno quando gli occhi si imbevono di pianto, i miei
occhi... di pianto…” Non mi rompete, dall’album “Io sono nato libero” - 1973
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