“Sowing Light”
I
SALICI:
Devid
Strussiat (voci, testi, chitarre acustiche, e-bow)
Stefano
Razza (batteria e percussioni)
Marco Fumis (chitarre elettriche, tar)
Marco Fumis (chitarre elettriche, tar)
Marco
Stafuza (mandola, viella, ghironda)
Simone
Paulin (tromba, corno djambè, marranzano)
Stefano
Rusin (basso elettrico, contrabbasso, basso tuba
La prima cosa che
sorprende di questo gruppo sono alcuni degli strumenti che utilizzano per
comporre e suonare le loro canzoni.
Il tar, la viella, la ghironda, ecc. fanno nascere il
“sospetto” che ciò che andremo ad ascoltare sarà qualcosa di molto particolare
e originale, sarà una fusione, se vogliamo un’azzeccata contaminazione tra
mondi musicali apparentemente lontani.
Sarà un viaggio.
Liriche in lingua
inglese, ma per capire meglio e cercare di essere efficaci ho avuto la
possibilità di utilizzare le note del booklet.
Quindi posseggo, un
“condensato” che spiega il significato di ogni brano.
Il primo è “ Ocean’s
Outschine”, che nelle sue note iniziali ci offre un’intro, che apre la porta ad
una linea melodica caratterizzata dal dialogo tra la voce di Devid e Simone
Paulin sostenuto da un struttura ritmica sempre presente ed efficace grazie al
basso di Stefano Rusin e Stefano Razza alla batteria.
Le atmosfere sono
molto aeree ed ampie e rendono bene l’idea del viaggio che i sei musicisti
vogliono raccontarci.
Nel finale, e non
sorprende, appare qualche richiamo/ “ricamo” psichedelico.
Il tutto ha il sapore
di un’ampia armonia con la conclusione appena accennata di una chitarra
acustica.
Il tema del viaggio
viene ripreso in “Fernando”, una ballata dove spiccano ancora Paulin, la
ritmica piuttosto incalzante e la
chitarra (Marco Fumis), in un pregevole
assolo.
I molti cambi di tonalità
non compromettono la solidità del suono, e nel finale la tromba accenna
anche ad
un fraseggio jazzistico che trovo un po’ avulso dal resto dell’insieme.
“Wild one”: non trovo
in questa canzone molti elementi pop, come dichiara lo stesso Devid, anzi la
trovo molto articolata nel suo sviluppo; dalle prime battute evoca antiche
atmosfere dei primi Genesis, soprattutto per merito di dolci arpeggi
chitarristici; nella seconda parte il ritmo si fa incalzante, un 4/4 molto
semplice, ma il cerchio viene chiuso prima da alcuni accenni prog ed un finale
che rimanda all’inizio.
Continuo a sentire
profumi di lunghi viaggi e la raffinatezza unita ad una grande eleganza vengono
sempre più ad evidenziarsi.
“Got a clock”,
intrigante brano, un po’ inquietante,
sembrerebbe estratto della colonna sonora di un film giallo, il ritmo dà
l’idea di un pedinamento in qualche angolo buio di una città immaginaria.
Il tutto scandito dal
tempo che scorre, “a clock”, che batte, a volte amico. ed acerrimo nemico in
altre situazioni, in altri luoghi. Il tempo scandito dalle percussioni con un
inatteso suono del maranzano.
Volto pagina e quindi
brano,”Young Heart be in Love Tonight”: per questo pezzo non utilizzo molte
parole, mi ha preso sin dai primi accordi di chitarra acustica, mi ha fatto
capire la capacità che hanno questi musicisti nel partire in maniera a volte
soffusa, per svilupparsi e crescere, crescere ancora e spaziare in fraseggi mai
scontati, e dare luogo ad un “volume di suono” molto avvolgente.
Bellissima “Round
& Round”, dai suoni psichedelici - grazie alle chitarre di Marco Fumis - e
dalle fantasiose ritmiche che fanno da sottofondo alla voce di Devid: è un
brano che non mi stancherei di ascoltare
anche per il finale il cui protagonista
è un solo strumento. Confesso che non so quale sia!
Completamente diversa
è l’allegra atmosfera di “Mariutta”, ballata allegra, vagamente country, con un
basso tuba molto dixie… altra bella fusione.
Questa canzone dice
che I Salici sanno anche raccontare storie allegre, vicende che potrebbero
capitare a ognuno di noi donna o uomo, con un lieto fine.
L’amore può battere
qualsiasi avversario quando è sincero.
Con “Bee Bop”
ritorniamo nel territorio del rock più genuino, intenso, aggressivo, anche se
non si capisce chi è l’avversario da aggredire; se vogliamo, una struttura
abbastanza semplice, ma il dialogo tra chitarra e tromba, che volteggiano e
volano sulla parte ritmica, compatta e potente, danno un tocco di ricercatezza,
per nulla scontato, un’altra bella sorpresa.
Il finale è un grande
crescendo che improvvisamente si tronca.
“Louther than so” è un
esempio di come si può comporre un brano decisamente dolce, da ascoltare con
gli occhi chiusi, senza essere melenso e sdolcinato; c’è tanto cuore specie
nella fisarmonica che ci accompagna al finale.
L’ultimo brano, “Bardo
Thodol / Bossanova”, credo meriti un discorso a parte, forse perché riassume
molte delle emozioni che sono scaturite dalle canzoni precedenti.
Qualcuno, forse loro
stessi, hanno definito questa pagina musicale “ambiziosa”.
Verissimo! Ma la
voglia di ambire, di cercare, di provare, di sperimentare, rendono questa band originalissima e molto raffinata.
Forse a volte si nota
una ricerca eccessiva del dettaglio, che però denota anche un notevole
coraggio, il non volere identificarsi in nessun clichè, che per qualcuno può
rappresentare un confortevole rifugio, nella musica e forse anche nella vita,
un po’ come coltivare il proprio orticello senza badare a ciò che succede
intorno.
Vorrei sottolineare il
finale, che in alcuni momenti mi ha ricordato “ San Jacinto” di Peter Gabriel.
Ho qualche difficoltà
a trovare la conclusione di queste poche righe, vorrei essere originale come “I
Salici”, ma non lo sono.
E’ difficile
descrivere le emozioni, impossibile darne oggettività, chiudo dicendo molto
semplicemente che è stato bello
scoprirli, scrivere di loro e ascoltarli
con la dovuta attenzione e cercando di capire.
Sicuramente la varietà
dei suoni e delle interpretazione nasce anche da un grande senso di
appartenenza ai luoghi di origine.
Trovo molta naturalità
in quello che suonano e che raccontano.
Cercando di essere
spontaneo e naturale come loro, direi che… è stato piacevole scrivere di loro
ed ancora più interessante ascoltarli e penso che lo sarà anche per chi li
vorrà ascoltare.
BIO…
I SALICI nascono nel 2009 dall'incontro di sonorità
psichedeliche (Strussiat, Fumis Paulin) con la musica medioevale del 1200
(Stafuza), musica che ancora oggi anima molti momenti delle performance live.
Nel 2010 i Salici realizzano il primo EP come colonna sonora del documentario
di AESON a cura di Alfio Di Lena. Nel 2012, entra nella band Stefano Rusin al e
contrabbasso dopo un periodo di sperimentazioni live nutrito da fasi di ricerca
in studio, pubblicano Nowhere better Than This place, Somewhere better than
this place”, co-prodotto con Marco Beltramini, ricevendo entusiastici riscontri
da parte di critica e pubblico.
L'attività dal vivo della band si intensificata e Stafano
Razza si integra con le sue batterie.I SALICI si esibiscono in contesti
prestigiosi quali Folkest, Imola in musica, Hysteria festival, Festintenda
(come spalla per gli Ozric Tentacles), Pietrasonica.
Sul finire del 2013 iniziano le registrazioni di SOWING LIGHT
che è stato bubblicato in Cd com e autoproduzione e in vinile per LINÈRIA a
gennaio 2015.
Contemporanemente all’attività musicale I SALICI sono attivi
nell’organizzazione del festival AESON ARTI NELLA NATURA, in campagne di
sensibilizzazione attiva della sensibilizzazione del patrimonio naturale e
della cultura rurale.
LINK
Nessun commento:
Posta un commento