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lunedì 11 marzo 2024

Ricordando Keith Emerson

"Quella era un'epoca di grandi sperimentazioni ed eravamo eccitati per la direzione che prendeva il nostro suono, così come lo era il nostro pubblico.

Percorrevamo la stessa strada. Ascoltavo la Premiata Forneria Marconi e il Banco, e con gli ELP formammo un’etichetta, la Manticore, per incoraggiare queste band. Non ho mai avuto a che fare con la PFM quanto Greg e Pete Sinfield, ma eravamo amici e ho visto i loro concerti, li ammiravo molto". (Keith Emerson)

Ci lasciava tragicamente l’11 marzo 2016 Keith Emerson…

Per non dimenticare!

Wazza

A seguire il ricordo di Gianni Nocenzi


Per Keith...

Ho conosciuto e amato Emerson grazie ad un suono, e grazie a quel suono è nata la mia passione per il timbro che mi accompagna da sempre. Ricordo la grande emozione di musicista poco più che adolescente quando ascoltai per la prima volta il ‘solo’ di Keith sul finale di ‘Lucky Man’. Una sonorità all’epoca inaudita e meravigliosa ed il fraseggio che l’aveva subito fatta propria adattandovisi con grande maestria. Un suono che si impennava alle ottave superiori in maniera completamente diversa da come puoi fare con un normale ‘glissato’ su una tastiera. Qui si sentiva il passaggio da un’altezza a un’altra passando per tutte le frequenze, hertz per hertz. L’ottava non era più divisa nei consueti 12 semitoni del sistema temperato e si andava ben oltre i quarti o addirittura gli ottavi di tono. Era il ‘Glide’, circuito implementato dal genio di Robert Moog, ed altri pionieri come Buchla, nei primi sintetizzatori analogici. Di un colpo con i synth si era azzerato il dilemma del dividere in parti uguali (quante?) l’ottava, dilemma che aveva impegnato tutti i più grandi pensatori da Pitagora a Vincenzo Galilei (padre di Galileo), Newton etc: tutte le frequenze avevano uguale diritto di cittadinanza, erano tutte suonabili senza soluzione di continuità, con conseguenze potenzialmente esplosive sull’armonia. 


Keith con il coraggio e la curiosità del pioniere portava in musica l’invenzione tecnologica non limitandosi a subirne il fascino o esponendola/imponendola come nuovo potere incantatorio per il pubblico, ma la penetrava con la sua arte e la trasformava subito in mezzo espressivo di grande emozione (pochi altri in quel periodo, penso al Carlos di Arancia Meccanica).

Inutile qui che io ricordi il pianista, il virtuoso di Hammond. Che Emerson sia stato un vero e proprio caposcuola per intere generazioni di musicisti è un fatto universalmente accettato. Quello che ritengo non sia mai stato sufficientemente riconosciuto è invece il suo enorme merito di divulgatore che ha contribuito non poco ad elevare la qualità dell’ascolto del pubblico di quegli anni e del tempo a seguire. Pensando alla pochezza dell’attuale panorama musicale il coraggio di sdoganare nel rock autori di musica cosiddetta classica, rivisitandoli con l’energia e i suoni di una band elettroacustica davanti a platee gigantesche, è stato un coraggio enorme. Non solo Mussorgskij e i suoi ‘Quadri’, non a caso premiati da un successo planetario, l’attenzione di Emerson era privilegiatamente rivolta ad autori della contemporaneità del ‘900 spesso misconosciuti perfino nei Conservatori come Bartòk, Ginastera, Copland. Un grande servizio alla Musica!


E poi l’uomo. Il classico humour anglosassone con un di più di dolcezza e pacatezza. Ricordo quando con il Banco eravamo a Londra in procinto di partire per il tour Europeo per il lancio del nostro 4° disco pubblicato da Manticore. Ero in grande difficoltà. Per motivi tecnici e logistici sembrava impossibile includere nel backline del tour il mio pianoforte acustico, ma io mi ostinavo a volerlo fare rifiutando l’alternativa di un piano elettrico. Arrivò Keith e disse semplicemente: ‘Gianni, no problem’ con un sorriso dolce ed intelligente. Il giorno dopo mi trovai davanti ad un enorme flight case all’interno del quale i tecnici, su sua istruzione e lavorando tutta la notte, avevano inserito il mio pianoforte già cablato con i primi microfoni a condensatore corti e pannelli fono assorbenti, risolvendo magicamente tutti i problemi di trasporto, peso ed acustica. Da grande musicista aveva capito immediatamente che non si trattava di un capriccio ma che il piano elettrico avrebbe influenzato negativamente il mio pianismo e di conseguenza il suono generale del gruppo.


Nulla a che a fare con lo stereotipo della rockstar ma un mix di sensibilità, passione ed intelligenza espresse al massimo grado nella sua arte, con un talento musicale magistrale.

Ecco perché sono costernato e profondamente addolorato dopo aver letto un articolo, segnalatomi da amici indignati, nel quale viene definito 'sado-musicista' per il vezzo di infilare dei pugnali tra i tasti del suo Hammond L100 al fine di prolungarne il suono. Fin qui, secondo me, pura ignoranza (nell’etimo) da parte del giornalista. Ignoranza del personaggio e del movimento musicale dell’epoca all’interno del quale anche certi atteggiamenti sopra le righe facevano ‘glamour’ e trovavano cittadinanza per comunicare meglio con platee enormi. D’altra parte, è sempre stato così nello spettacolo e lo è ancora, spesso però senza una sottostante sostanza artistica che in Emerson era invece maiuscola. Ignoranza a parte, però, quello che ho trovato indecente e oscenamente gratuito è il collegamento, che l’ineffabile giornalista fa, con la violenza ai danni delle donne, un tema, questo sì, che meriterebbe molta più sensibilità ed accortezza. La cinica chiosa di un pezzo malnato (‘quanto al sadomusicista, con tutto il rispetto, se ne è andato da qualche anno’) la lasciamo volentieri all’autore e ce ne faremo facilmente una ragione: per chi ama la Musica la drammatica scomparsa di Keith Emerson e della sua arte lascia un vuoto enorme.”



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